IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Parte TERZA - sezione seconda
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PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE SECONDA - I
DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO SECONDO - “AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE
STESSO”
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IL SETTIMO
COMANDAMENTO
Non
rubare ( Es 20,15; Dt 5,19 ).
Non
rubare ( Mt 19,18 ).
2401 Il settimo
comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo
e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive
la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del
lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione
universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si
sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo.
I. La destinazione universale e
la proprietà
privata dei beni
2402 All'inizio,
Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell'umanità,
affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i
frutti [Cf Gen 1,26-29 ]. I beni della creazione sono destinati a tutto il
genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia
garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata
dalla violenza. L'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la
libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri
bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale
appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra
gli uomini.
2403 Il diritto
alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina
l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione
universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune
esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo
esercizio.
2404 “L'uomo,
usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente
possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano
giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 69]. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un
amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti
con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti.
2405 I beni di
produzione - materiali o immateriali - come terreni o stabilimenti, competenze o
arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a
vantaggio del maggior numero di persone. Coloro che possiedono beni d'uso e di
consumo devono usarne con moderazione, riservando la parte migliore all'ospite,
al malato, al povero.
2406 L' autorità
politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del
diritto di proprietà in funzione del bene comune [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 71; Lett. enc. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 42;
Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 40; 48].
II. Il rispetto delle persone e dei loro beni
2407 In materia
economica, il rispetto della dignità umana esige la pratica della virtù della
temperanza, per moderare l'attaccamento ai beni di questo mondo; della virtù
della giustizia, per rispettare i diritti del prossimo e dargli ciò che gli è
dovuto; e della solidarietà, seguendo la regola aurea e secondo la liberalità
del Signore, il quale “da ricco che era, si è fatto povero” per noi, perché
noi diventassimo “ricchi per mezzo della sua povertà” ( 2Cor 8,9 ).
Il rispetto dei beni altrui
2408 Il settimo
comandamento proibisce il furto, cioè l'usurpazione del bene altrui contro la
ragionevole volontà del proprietario. Non c'è furto se il consenso può essere
presunto, o se il rifiuto è contrario alla ragione e alla destinazione
universale dei beni. E' questo il caso della necessità urgente ed evidente, in
cui l'unico mezzo per soddisfare bisogni immediati ed essenziali (nutrimento,
rifugio, indumenti..) è di disporre e di usare beni altrui [Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 69].
2409 Ogni modo
di prendere e di tenere ingiustamente i beni del prossimo, anche se non è in
contrasto con le disposizioni della legge civile, è contrario al settimo
comandamento. Così, tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti
smarriti; commettere frode nel commercio; [Cf Dt 25,13-16 ] pagare salari
ingiusti; [Cf Dt 24,14-15; Gc 5,4 ] alzare i prezzi, speculando sull'ignoranza o
sul bisogno altrui [Cf Am 8,4-6 ].
Sono pure
moralmente illeciti: la speculazione, con la quale si agisce per far
artificiosamente variare la stima dei beni, in vista di trarne un vantaggio a
danno di altri; la corruzione, con la quale si svia il giudizio di coloro che
devono prendere decisioni in base al diritto; l'appropriazione e l'uso privato
dei beni sociali di un'impresa; i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la
contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero.
Arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche è
contrario alla legge morale ed esige il risarcimento.
2410 Le promesse
devono essere mantenute, e i contratti rigorosamente osservati nella misura in
cui l'impegno preso è moralmente giusto. Una parte rilevante della vita
economica e sociale dipende dal valore dei contratti tra le persone fisiche o
morali. E' il caso dei contratti commerciali di vendita o di acquisto, dei
contratti d'affitto o di lavoro. Ogni contratto deve essere stipulato e
applicato in buona fede.
2411 I contratti
sottostanno alla giustizia commutativa,
che regola gli scambi tra le persone e tra le istituzioni nel pieno rispetto dei
loro diritti. La giustizia commutativa obbliga strettamente; esige la
salvaguardia dei diritti di proprietà, il pagamento dei debiti e l'adempimento
delle obbligazioni liberamente contrattate. Senza la giustizia commutativa,
qualsiasi altra forma di giustizia è impossibile.
Va distinta la
giustizia commutativa dalla giustizia legale, che riguarda ciò che il cittadino
deve equamente alla comunità, e dalla giustizia distributiva, che regola ciò
che la comunità deve ai cittadini in proporzione alle loro prestazioni e ai
loro bisogni.
2412 In forza
della giustizia commutativa, la riparazione dell'ingiustizia commessa esige la
restituzione al proprietario di ciò di cui è stato derubato.
Gesù fa
l'elogio di Zaccheo per il suo proposito: “Se ho frodato qualcuno, restituisco
quattro volte tanto” ( Lc 19,8 ). Coloro che, direttamente o indirettamente,
si sono appropriati di un bene altrui, sono tenuti a restituirlo, o, se la cosa
non c'è più, a rendere l'equivalente in natura o in denaro, come anche a
corrispondere i frutti e i profitti che sarebbero stati legittimamente ricavati
dal proprietario. Allo stesso modo hanno l'obbligo della restituzione, in
proporzione alla loro responsabilità o al vantaggio avutone, tutti coloro che
in qualche modo hanno preso parte al furto, oppure ne hanno approfittato con
cognizione di causa; per esempio, coloro che l'avessero ordinato, o appoggiato,
o avessero ricettato la refurtiva.
2413 I giochi
d'azzardo (gioco delle carte, ecc) o le scommesse non sono in se stessi contrari
alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona
di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La
passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù. Truccare le
scommesse o barare nei giochi costituisce una mancanza grave, a meno che il
danno causato sia tanto lieve da non poter essere ragionevolmente considerato
significativo da parte di chi lo subisce.
2414 Il settimo
comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione,
egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all' asservimento di
esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a
venderli e a scambiarli come fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza,
ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro
dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone
cristiano di trattare il suo schiavo cristiano “non più come schiavo, ma. . .
come un fratello... come uomo..., nel Signore” ( Fm 1,16 ).
Il rispetto dell'integrità della creazione
2415 Il settimo
comandamento esige il rispetto dell'integrità della creazione. Gli animali,
come le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene
comune dell'umanità passata, presente e futura [Cf Gen 1,28-31 ]. L'uso delle
risorse minerali, vegetali e animali dell'universo non può essere separato dal
rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri
viventi accordata dal Creatore all'uomo non è assoluta; deve misurarsi con la
sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle
generazioni future; esige un religioso rispetto dell'integrità della creazione
[Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37-38].
2416 Gli animali
sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura [Cf Mt 6,26 ].
Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria [Cf Dn 3,79-81
]. Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con
quale delicatezza i santi, come san Francesco d'Assisi o san Filippo Neri,
trattassero gli animali.
2417 Dio ha
consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine [Cf Gen
2,19-20; Gen 9,1-4 ]. E' dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere
al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché
aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le
sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente
accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o
salvare vite umane.
2418 E'
contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre
indiscriminatamente della loro vita. E' pure indegno dell'uomo spendere per gli
animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria
degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di
quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone.
III. La dottrina sociale della Chiesa
2419 “La
Rivelazione cristiana ci guida a un approfondimento delle leggi che regolano la
vita sociale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. La Chiesa dal
Vangelo riceve la piena rivelazione della verità dell'uomo. Quando compie la
sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la
sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le
esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina.
2420 La Chiesa dà
un giudizio morale, in materia economica e sociale, “quando ciò sia richiesto
dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 23]. Per ciò che attiene alla sfera della
moralità, essa è investita di una missione distinta da quella delle autorità
politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene comune in
quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di inculcare le
giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni
socio-economiche.
2421 La dottrina
sociale della Chiesa si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca
dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove
strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della
società, dello Stato e dell'autortià, le sue nuove forme di lavoro e di
proprietà. Lo sviluppo della dottrina della Chiesa, in materia economica e
sociale, attesta il valore permanente dell'insegnamento della Chiesa e, ad un
tempo, il vero senso della sua Tradizione sempre viva e vitale [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].
2422
L'insegnamento sociale della Chiesa costituisce un corpo dottrinale, che si
articola man mano che la Chiesa, alla luce di tutta la parola rivelata da Cristo
Gesù, con l'assistenza dello Spirito Santo, interpreta gli avvenimenti nel
corso della storia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis,
1; 41]. Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona
volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli.
2423 La dottrina
sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di
giudizio, offre orientamenti per l'azione:
Ogni sistema
secondo cui i rapporti sociali sarebbero completamente determinati dai fattori
economici, è contrario alla natura della persona umana e dei suoi atti [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 24].
2424 Una teoria
che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività
economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca
di produrre i suoi effetti perversi. E' una delle cause dei numerosi conflitti
che turbano l'ordine sociale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 63;
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 7; Id. , Lett. enc. Centesimus
annus, 35].
Un sistema che
sacrifica “i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi
all'organizzazione collettiva della produzione” è contrario alla dignità
dell'uomo [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 65]. Ogni pratica che riduce le
persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto,
asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla
diffusione dell'ateismo. “Non potete servire a Dio e a Mammona” ( Mt 6,24;
Lc 16,13 ).
2425 La Chiesa
ha rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi mo derni, al
“comunismo” o al “socialismo”. Peraltro essa ha pure rifiutato, nella
pratica del “capitalismo”, l'individualismo e il primato assoluto della
legge del mercato sul lavoro umano [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 10; 13; 44]. La regolazione dell'economia mediante la sola pianificazione
centralizzata perverte i legami sociali alla base; la sua regolazione mediante
la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché
“esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato” [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 10; 13; 44]. E' necessario
favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche,
secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune.
IV. L'attività economica e la giustizia sociale
2426 Lo sviluppo
delle attività economiche e l'aumento della produzione sono destinati a
soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad
accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la potenza; essa
è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo nella sua
integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi,
l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine morale, nel
rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio
sull'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,64].
2427 Il lavoro
umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a
prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la
terra [Cf Gen 1,28; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 34; Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Centesimus annus, 31]. Il lavoro, quindi, è un dovere: “Chi non
vuol lavorare, neppure mangi” ( 2Ts 3,10 ) [Cf 1Ts 4,11 ]. Il lavoro esalta i
doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo. Sopportando
la penosa fatica [Cf Gen 3,14-19 ] del lavoro in unione con Gesù, l'artigiano
di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo coopera con il
Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando
la croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 27]. Il lavoro può essere un mezzo di
santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.
2428 Nel lavoro
la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua
natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne è l'autore
e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro [Cf ibid.
, 6].
Ciascuno deve
poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per
quella dei suoi familiari, e servire la comunità umana.
2429 Ciascuno ha
il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri
talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per
raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli
ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune [Cf
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 32; 34].
2430 La vita
economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si
spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano [Cf Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Laborem exercens, 11]. Si farà di tutto per comporre tali conflitti
attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale:
i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le
organizzazioni sindacali, ed, eventuamente, i pubblici poteri.
2431 La
responsabilità dello Stato. “L'attività economica, in particolare quella
dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale,
giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie
delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e
servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è
quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti
del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e
onestà. . . Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio
dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima
responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e
associazioni di cui si compone la società” [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 48].
2432 I
responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità
economica ed ecologica delle loro operazioni [Cf ibid., 37]. Hanno il dovere di
considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti .
Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che
assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.
2433 L' accesso
al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta
discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche
e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Laborem exercens, 19; 22-23]. In rapporto alle circostanze, la società deve da
parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48].
2434 Il giusto
salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito
può rappresentare una grave ingiustizia [Cf Lv 19,13; 2434 Dt 24,14-15; Gc 5,4
]. Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia
delle prestazioni di ciascuno. “Il lavoro va remunerato in modo tale da
garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una
vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale,
corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di
ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune” [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 67]. Non è sufficiente l'accordo tra le parti a
giustificare moralmente l'ammontare del salario.
2435 Lo sciopero
è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto
meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente
inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano
obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto
con il bene comune.
2436 E' ingiusto
non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle
legittime autorità.
La privazione
del lavoro, a causa della disoccupazione, quasi sempre rappresenta, per chi ne
è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della
vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano
per la sua famiglia [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 18].
V. Giustizia e solidarietà tra le nazioni
2437 A livello
internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da
provocare un vero “fossato” tra le nazioni [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 14]. Da una parte vi sono coloro che possiedono e
incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i
debiti.
2438 Varie
cause, di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi “alla
questione sociale. . . una dimensione mondiale” [Cf Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Sollicitudo rei socialis, 14]. Tra le nazioni, le cui politiche sono già
interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa indispensabile
allorché si tratta di bloccare “i meccanismi perversi” che ostacolano lo
sviluppo dei paesi meno progrediti [Cf ibid., 17; 45]. A sistemi finanziari
abusivi se non usurai, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35] a
relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti si deve
sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di
sviluppo morale, culturale ed economico, “ridefinendo le priorità e le scale
di valori” [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35].
2439 Le nazioni
ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se
stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state
impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di
solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere
delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.
2440 L' aiuto
diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali,
causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non
basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far
fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni
economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi
con i paesi meno sviluppati [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 16]. E' necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla
ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione [Cf Giovanni Paolo II, Lett
enc. Centesimus annus, 26]. Questi principi vanno applicati in una maniera tutta
particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel Terzo
Mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri.
2441 Alla base
di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio
e della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li
mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo
sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e
l'apertura alla trascendenza [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 32; Id. , Lett. enc. Centesimus annus, 51].
2442 Non spetta
ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e
nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione
dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro
concittadini. L'azione sociale può implicare una pluralità di vie concrete;
comunque, avrà sempre come fine il bene comune e sarà conforme al messaggio
evangelico e all'insegnamento della Chiesa. Compete ai fedeli laici “animare,
con impegno cristiano, le realtà temporali, e, in esse, mostrare di essere
testimoni e operatori di pace e di giustizia” [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 47; cf 42].
VI. L'amore per i poveri
2443 Dio
benedice coloro che soccorrono i poveri e disapprova coloro che se ne
disinteressano: “Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non
volgere le spalle” ( Mt 5,42 ). “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente
date” ( Mt 10,8 ). Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto
avranno fatto per i poveri [Cf Mt 25,31-46 ]. Allorché “ai poveri è
predicata la buona novella” ( Mt 11,5 ), [Cf Lc 4,18 ] è segno che Cristo è
presente.
2444 “L'amore
della Chiesa per i poveri. . . appartiene alla sua costante tradizione”
[Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57]. Si ispira al Vangelo delle
beatitudini, [Cf Lc 6,20-22 ] alla povertà di Gesù [Cf Mt 8,20 ] e alla sua
attenzione per i poveri [Cf Mc 12,41-44 ]. L'amore per i poveri è anche una
delle motivazioni del dovere di lavorare per far parte dei beni “a chi si
trova in necessità” ( Ef 4,28 ). Tale amore per i poveri non riguarda
soltanto la povertà materiale, ma anche le numerose forme di povertà culturale
e religiosa [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 57].
2445 L'amore per
i poveri è inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro
uso egoistico:
E ora a voi,
ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre
ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il
vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si
leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco.
Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi
defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste
dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete
gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per
il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può
opporre resistenza ( Gc 5,1-6 ).
2446 San
Giovanni Crisostomo lo ricorda con forza: “Non condividere con i poveri i
propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni che
possediamo: sono dei poveri” [San Giovanni Crisostomo, In Lazarum, 1, 6: PG
48, 992D]. “Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si
offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” [Conc.
Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 8].
Quando doniamo
ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali,
ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità,
adempiamo un dovere di giustizia [San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21].
2447 Le opere di
misericordia sono le azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro
prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali [Cf Is 58,6-7; Eb 13,3 ].
Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia
spirituale, come perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia
corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame,
nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel
visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti [Cf Mt 25,31-46 ].
Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri [Cf Tb 4,5-11; Sir 17,17 ] è una
delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di
giustizia che piace a Dio: [Cf Mt 6,2-4 ].
Chi ha due
tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto (
Lc 3,11 ). Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, e tutto sarà puro
per voi ( Lc 11,41 ). Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace,
riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che
giova? (
Gc 2,15-16 ) [Cf 1Gv 3,17 ].
2448 “Nelle sue molteplici forme - spogliamento materiale,
ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte - la
miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in
cui l'uomo si trova dopo il primo peccato, e del suo bisogno di salvezza. E' per
questo che essa ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, il quale ha
voluto prenderla su di sé, e identificarsi con "i più piccoli tra i
fratelli". E' pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto
di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini,
malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a
sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di
beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili” [Congregazione
per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 68].
2449 Fin
dall'Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di
remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno,
obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori
giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con
l'esortazione del Deuteronomio: “I bisognosi non mancheranno mai nel paese;
perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo
fratello povero e bisognoso nel tuo paese” ( Dt 15,11 ). Gesù fa sua questa
parola: “I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me” (
Gv 12,8 ). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti:
comprano “con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali. . . ”
( Am 8,6 ), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi
fratelli: [Cf Mt 25,40 ]
Il giorno in cui
sua madre la rimproverò di accogliere in casa poveri e infermi, santa Rosa da
Lima senza esitare le disse: “Quando serviamo i poveri e i malati, serviamo
Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l'aiuto al nostro prossimo, perché nei
nostri fratelli serviamo Gesù” [P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668].
2450 “Non
rubare” ( Dt 5,19 ). “Né ladri, né avari,... né rapaci erediteranno il
Regno di Dio” ( 1Cor 6,10 ).
2451 Il settimo
comandamento prescrive la pratica della giustizia e della carità nella gestione
dei beni terreni e dei frutti del lavoro umano.
2452 I beni
della creazione sono destinati all'intero genere umano. Il diritto alla proprietà
privata non abolisce la destinazione universale dei beni.
2453 Il settimo
comandamento proibisce il furto. Il furto consiste nell'usurpare il bene altrui,
contro la volontà ragionevole del proprietario.
2454 Ogni modo
di prendere ed usare ingiustamente i beni altrui è contrario al settimo
comandamento. L'ingiustizia commessa esige riparazione. La giustizia commutativa
esige la restituzione di ciò che si è si è rubato.
2455 La legge
morale proibisce gli atti che, a scopi mercantili o totalitari, provocano
l'asservimento di esseri umani, il loro acquisto, la loro vendita, il loro
scambio, come fossero merci.
2456 Il dominio
accordato dal Creatore all'uomo sulle risorse minerali, vegetali e animali
dell'universo, non può essere disgiunto dal rispetto degli obblighi morali,
compresi quelli che riguardano le generazioni future.
2457 Gli animali
sono affidati all'uomo, il quale dev'essere benevolo verso di essi. Possono
servire alla giusta soddisfazione dei suoi bisogni.
2458 La Chiesa dà
un giudizio in materia economica e sociale quando i diritti fondamentali della
persona o la salvezza delle anime lo esigono. Essa si interessa del bene comune
temporale degli uomini in funzione del suo ordinamento al Bene supremo, ultimo
nostro fine.
2459 L'uomo
stesso è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale. Il
nodo decisivo della questione sociale è che i beni creati da Dio per tutti, in
effetti arrivino a tutti, secondo la giustizia e con l'aiuto della carità.
2460 Il valore
primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, il quale ne è l'autore e il
destinatario. Mediante il lavoro, l'uomo partecipa all'opera della creazione.
Compiuto in unione con Cristo, il lavoro può essere redentivo.
2461 Il vero
sviluppo è quello dell'uomo nella sua integralità. Si tratta di far crescere
la capacità di ogni persona a rispondere alla propria vocazione, quindi alla
chiamata di Dio [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 29].
2462 L'elemosina
fatta ai poveri è una testimonianza di carità fraterna: è anche un'opera di
giustizia che piace a Dio.
2463 Nella
moltitudine di esseri umani senza pane, senza tetto, senza fissa dimora, come
non riconoscere Lazzaro, il mendicante affamato della parabola? [Cf Lc 17,19-31
] Come non risentire Gesù: “Non l'avete fatto a me” ( Mt 25,45 )?
L'OTTAVO
COMANDAMENTO
Non pronunciare
falsa testimonianza contro il tuo prossimo ( Es 20,16 ).
Fu detto agli
antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti ( Mt 5,33
).
2464 L'ottavo
comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri.
Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone
del suo Dio il quale è e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono,
con parole o azioni, un rifiuto ad impegnarsi nella rettitudine morale: sono
profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza.
I. Vivere nella verità
2465 L'Antico
Testamento lo attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità
[Cf Pr 8,7; 2465 2Sam 7,28 ]. La sua legge è verità [Cf Sal 119,142 ]. La sua
“fedeltà dura per ogni generazione” ( Sal 119,90 ) [Cf Lc 1,50 ]. Poiché
Dio è il “Verace” ( Rm 3,4 ), i membri del suo popolo sono chiamati a
vivere nella verità [Cf Sal 119,30 ].
2466 In Gesù
Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. “Pieno di grazia e di
verità” ( Gv 1,14 ), egli è la “luce del mondo” ( Gv 8,12 ), egli è la
Verità [Cf Gv 14,6 ]. “Chiunque crede” in lui non rimane “nelle
tenebre” ( Gv 12,46 ). Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola,
per conoscere la verità che fa liberi [Cf Gv 8,32 ] e che santifica [Cf Gv
17,17 ]. Seguire Gesù, è vivere dello “Spirito di verità” ( Gv 14,17 )
che il Padre manda nel suo nome [Cf Gv 14,26 ] e che guida alla verità tutta
intera” ( Gv 16,13 ). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato
della verità: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no” ( Mt 5,37 ).
2467 L'uomo è
naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla:
“A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, . . .
sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la
verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad
aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le
esigenze della verità” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2468
La verità in quanto rettitudine dell'agire e del parlare umano è detta veracità,
sincerità o franchezza. La verità o veracità è la virtù che consiste nel
mostrarsi veri nei propri atti e nell'affermare il vero nelle proprie parole,
rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.
2469 “Sarebbe
impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero confidenza reciproca,
cioè se non si dicessero la verità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
II-II, 109, 3, ad 1]. La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto
gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve
essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e
la discrezione. Per giustizia, “un uomo deve onestamente manifestare a un
altro la verità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 109, 3, ad
1].
2470 Il
discepolo di Cristo accetta di “vivere nella verità”, cioè nella semplicità
di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità.
“Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre,
mentiamo e non mettiamo in pratica la verità” ( 1Gv 1,6 ).
II. “Rendere testimonianza alla verità”
2471 Davanti a
Pilato Cristo proclama di essere “venuto nel mondo per rendere testimonianza
alla verità” ( Gv 18,37 ). Il cristiano non deve vergognarsi “della
testimonianza da rendere al Signore”( 2Tm 1,8 ). Nelle situazioni in cui si
richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla
senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici. Il credente
deve “conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli
uomini” ( At 24,16 ).
2472 Il dovere
dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come
testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è
trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di
giustizia che comprova o fa conoscere la verità [ Cf Mt 18,16 ].
Tutti i
cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l'esempio della vita e
con la testimonianza della parola l'uomo nuovo, che hanno rivestito col
Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con
la Confermazione [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 11].
2473 Il martirio
è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un
testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e
risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della
fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza.
“Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di
raggiungere Dio” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1].
2474 Con la più
grande cura la Chiesa ha raccolto i ricordi di coloro che, per testimoniare la
fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli Atti dei Martiri.
Costituiscono gli archivi della Verità scritti a lettere di sangue:
Nulla mi
gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire
per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco
colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il momento in
cui sarò partorito è imminente. . [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad
Romanos, 4, 1].
Ti benedico per
avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere
annoverato tra i tuoi martiri. . . Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della
fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti
benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, sacerdote eterno e
onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo
Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen [San Policarpo, in
Martyrium Polycarpi, 14, 2-3].
III. Le offese alla verità
2475 I discepoli
di Cristo hanno rivestito “l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e
nella santità vera” ( Ef 4,24 ). Bandita la menzogna, [Cf Ef 4,25 ] essi
hanno deposto “ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni
maldicenza” ( 1Pt 2,1 ).
2476 Falsa
testimonianza e spergiuro. Una affermazione contraria alla verità, quando è
fatta pubblicamente, riveste una gravità particolare. Fatta davanti ad un
tribunale, diventa una falsa testimonianza [Cf Pr 19,9 ]. Quando la si fa sotto
giuramento, è uno spergiuro. Simili modi di comportarsi contribuiscono sia alla
condanna di un innocente sia alla assoluzione di un colpevole, oppure ad
aggravare la pena in cui è incorso l'accusato [Cf Pr 18,5 ]. Compromettono
gravemente l'esercizio della giustizia e l'equità della sentenza pronunciata
dai giudici.
2477 Il rispetto
della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola
che possano causare un ingiusto danno [Cf Codice di Diritto Canonico, 220]. Si
rende colpevole:
- di giudizio
temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza
sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo;
- di maldicenza
colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze
altrui a persone che li ignorano; [Cf Sir 21,28 ]
- di calunnia
colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli
altri e dà occasione a erronei giudizi sul loro conto.
2478 Per evitare
il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è
possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo
prossimo:
Ogni buon
cristiano deve essere più disposto a salvare l'affermazione del prossimo che a
condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli
le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non
basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si
salvi [Sant'Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 22].
2479 Maldicenze
e calunnie distruggono la reputazione e l' onore del prossimo. Ora, l'onore è
la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto
naturale all'onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto.
Ecco perché la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e
della carità.
2480 E' da
bandire qualsiasi parola o atteggiamento che, per lusinga, adulazione o
compiacenza, incoraggi e confermi altri nella malizia dei loro atti e nella
perversità della loro condotta. L'adulazione è una colpa grave se si fa
complice di vizi o di peccati gravi. Il desiderio di rendersi utile o l'amicizia
non giustificano una doppiezza del linguaggio. L'adulazione è un peccato
veniale quando nasce soltanto dal desiderio di riuscire piacevole, evitare un
male, far fronte ad una necessità, conseguire vantaggi leciti.
2481 La iattanza
o millanteria costituisce una colpa contro la verità. Ciò vale anche per l'
ironia che tende ad intaccare l'apprezzamento di qualcuno caricaturando, in
maniera malevola, un qualche aspetto del suo comportamento.
2482 “La
menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare”
[Sant'Agostino, De mendacio, 4, 5: PL 40, 491]. Nella menzogna il Signore
denuncia un'opera diabolica: “Voi. . . avete per padre il diavolo. . . non vi
è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e
padre della menzogna” ( Gv 8,44 ).
2483 La menzogna
è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare o agire contro la
verità per indurre in errore. Ferendo il rapporto dell'uomo con la verità e
con il suo prossimo, la menzogna offende la relazione fondamentale dell'uomo e
della sua parola con il Signore.
2484 La gravità
della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle
circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne
sono le vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale,
diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della
carità.
2485 La menzogna
è per sua natura condannabile. E' una profanazione della parola, la cui
funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta. Il proposito
deliberato di indurre il prossimo in errore con affermazioni contrarie alla
verità costituisce una mancanza in ordine alla giustizia e alla carità. La
colpevolezza è maggiore quando l'intenzione di ingannare rischia di avere
conseguenze funeste per coloro che sono sviati dal vero.
2486 La menzogna
(essendo una violazione della virtù della veracità) è una autentica violenza
fatta all'altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la
condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione
degli spiriti e tutti i mali che questa genera. La menzogna è dannosa per ogni
società; scalza la fiducia tra gli uomini e lacera il tessuto delle relazioni
sociali.
2487 Ogni colpa
commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione, anche
se il colpevole è stato perdonato. Quando è impossibile riparare un torto
pubblicamente, bisogna farlo in privato; a colui che ha subito un danno, qualora
non possa essere risarcito direttamente, va data soddisfazione moralmente, in
nome della carità. Tale dovere di riparazione riguarda anche le colpe commesse
contro la reputazione altrui. La riparazione, morale e talvolta materiale, deve
essere commisurata al danno che è stato arrecato. Essa obbliga in coscienza.
IV. Il rispetto della verità
2488 Il diritto
alla comunicazione della verità non è incondizionato. Ognuno deve conformare
la propria vita al precetto evangelico dell'amore fraterno. Questo richiede,
nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità
a chi la domanda.
2489 La carità
e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di
informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto
della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che
è opportuno non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il
dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è
tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla [Cf Sir
27,16; Pr 25,9-10 ].
2490 Il segreto
del sacramento della Riconciliazione è sacro, e non può essere violato per
nessun motivo. “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è
assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con
parole o in qualunque altro modo e per quasiasi causa” [Codice di Diritto
Canonico, 983, 1].
2491 I segreti
professionali - di cui sono in possesso, per esempio, uomini politici, militari,
medici e giuristi - o le confidenze fatte sotto il sigillo del segreto, devono
essere serbati, tranne i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse
causare a chi li confida, a chi ne viene messo a parte, o a terzi danni molto
gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità. Le
informazioni private dannose per altri, anche se non sono state confidate sotto
il sigillo del segreto, non devono essere divulgate senza un motivo grave e
proporzionato.
2492 Ciascuno
deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone. I
responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le
esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. L'ingerenza
dell'informazione nella vita privata di persone impegnate in un'attività
politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità
e la loro libertà.
V. L'uso dei mezzi di comunicazione sociale
2493 Nella
società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare
importanza nell'informazione, nella promozione culturale e nella formazione.
Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà
delle notizie trasmesse, all'influenza esercitata sull'opinione pubblica.
2494
L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Inter mirifica, 11]. La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la
libertà, la giustizia e la solidarietà:
Il retto
esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia
sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia
onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i
legittimi diritti e la dignità dell'uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia
nella loro divulgazione [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11].
2495
“E' necessario che tutti i membri della società assolvano, anche in questo
settore, i propri doveri di giustizia e di carità. Perciò si adoperino, anche
mediante l'uso di questi strumenti, a formare e a diffondere opinioni pubbliche
rette” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11]. La
solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e
della libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il
rispetto degli altri.
2496 I mezzi di
comunicazione sociale (in particolare i mass-media) possono generare una certa
passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di
spettacoli. Di fronte ai mass-media i fruitori si imporranno moderazione e
disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e
retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste.
2497 Proprio per
i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno
l'obbligo, nella diffusione dell'informazione, di servire la verità e di non
offendere la carità. Si sforzeranno di rispettare, con pari cura, la natura dei
fatti e i limiti del giudizio critico sulle persone. Devono evitare di cadere
nella diffamazione.
2498
“Particolari doveri. . . incombono sull' autorità civile in vista del bene
comune. . . E' infatti compito della stessa autorità. . . difendere e
proteggere. . . la vera e giusta libertà di informazione”. . . “Mediante la
promulgazione di leggi e l'efficace loro applicazione” il potere pubblico
provvederà affinché dall'abuso dei media “non derivino gravi danni alla
moralità pubblica e al progresso della società” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Inter mirifica, 11]. L'autorità
civile punirà la violazione dei diritti di ciascuno alla reputazione e al
segreto intorno alla vita privata. A tempo debito e onestamente fornirà le
informazioni che riguardano il bene generale o danno risposta alle fondate
inquietudini della popolazione. Nulla può giustificare il ricorso a false
informazioni per manipolare, mediante i mass-media, l'opinione pubblica. Non si
attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi.
2499 La morale
denuncia la piaga degli stati totalitari che sistematicamente falsano la verità,
esercitano con i mass-media un'egemonia politica sull'opinione pubblica,
“manipolano” gli accusati e i testimoni di processi pubblici e credono di
consolidare il loro dispotismo soffocando o reprimendo tutto ciò che essi
considerano come “delitti d'opinione”.
VI. Verità, bellezza e arte sacra
2500 La pratica
del bene si accompagna ad un piacere spirituale gratuito e alla bellezza morale.
Allo stesso modo, la verità è congiunta alla gioia e allo splendore della
bellezza spirituale. La verità è bella per se stessa. All'uomo, dotato
d'intelligenza, è necessaria la verità della parola, espressione razionale
della conoscenza della realtà creata ed Increata; ma la verità può anche
trovare altre forme di espressione umana, complementari, soprattutto quando si
tratta di evocare ciò che essa comporta di indicibile, le profondità del cuore
umano, le elevazioni dell'anima, il Mistero di Dio. Ancor prima di rivelarsi
all'uomo mediante parole di verità, Dio si rivela a lui per mezzo del
linguaggio universale della Creazione, opera della sua Parola, della sua
Sapienza: l'ordine e l'armonia del cosmo che sia il bambino sia lo scienziato
sanno scoprire, la grandezza e la bellezza delle creature fanno conoscere, per
analogia, l'Autore, [Cf Sap 13,5 ] “perché li ha creati lo stesso Autore
della bellezza” ( Sap 13,3 ).
La Sapienza è
un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria
dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa si infiltra. E' un
riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e
un'immagine della sua bontà ( Sap 7,25-26 ). Essa in realtà è più bella del
sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta
superiore; a questa, infatti, succede la notte, ma contro la Sapienza la
malvagità non può prevalere ( Sap 7,29-30 ). Mi sono innamorato della sua
bellezza ( Sap 8,2 ).
2501 “Creato
ad immagine di Dio” ( Gen 1,26 ), l'uomo esprime la verità del suo rapporto
con Dio Creatore anche mediante la bellezza delle proprie opere artistiche.
L'arte, invero, è una forma di espressione propriamente umana. Al di là
dell'inclinazione a soddisfare le necessità vitali, comune a tutte le creature
viventi, essa è una sovrabbondanza gratuita della ricchezza interiore
dell'essere umano. Frutto di un talento donato dal Creatore e dello sforzo
dell'uomo, l'arte è una forma di sapienza pratica che unisce intelligenza e
abilità [Cf Sap 7,16-17 ] per esprimere la verità di una realtà nel
linguaggio accessibile alla vista o all'udito. L'arte comporta inoltre una certa
somiglianza con l'attività di Dio nel creato, nella misura in cui trae
ispirazione dalla verità e dall'amore per gli esseri. Come ogni altra attività
umana, l'arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine
ultimo dell'uomo e da esso nobilitata [Cf Pio XII, discorso del 25 dicembre 1955
e discorso del 3 settembre 1950].
2502 L' arte
sacra è vera e bella quando, nella sua forma, corrisponde alla vocazione che le
è propria: evocare e glorificare, nella fede e nella adorazione, il Mistero
trascendente di Dio, Bellezza eccelsa di Verità e di Amore, apparsa in Cristo
“irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” ( Eb 1,3 ),
nel quale “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” ( Col 2,9
), bellezza spirituale riflessa nella Santissima Vergine Madre di Dio, negli
Angeli e nei Santi. L'autentica arte sacra conduce l'uomo all'adorazione, alla
preghiera e all'amore di Dio Creatore e Salvatore, Santo e Santificatore.
2503 Per questo
i vescovi, personalmente o per mezzo di delegati, devono prendersi cura di
promuovere l'arte sacra, antica e moderna, in tutte le sue forme, e di tenere
lontano con il medesimo zelo, dalla Liturgia e dagli edifici del culto, tutto ciò
che non è conforme alla verità della fede e all'autentica bellezza dell'arte
sacra [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
122-127].
2504 “Non
pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo” ( Es 20,16 ). I
discepoli di Cristo hanno rivestito “l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella
giustizia e nella santità vera” ( Ef 4,24 ).
2505 La verità
o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nelle proprie azioni e
nell'esprimere il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla
simulazione e dall'ipocrisia.
2506 Il
cristiano non deve vergognarsi “della testimonianza da rendere al Signore” (
2Tm 1,8 ) in atti e parole. Il martirio è la suprema testimonianza resa alla
verità della fede.
2507 Il rispetto
della reputazione e dell'onore delle persone proibisce ogni atteggiamento o
parola di maldicenza o di calunnia.
2508 La
menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare il prossimo.
2509 Una colpa
commessa contro la verità esige riparazione.
2510 La
“regola d'oro” aiuta a discernere, nelle situazioni concrete, se sia o non
sia opportuno palesare la verità a chi la domanda.
2511 “Il
sigillo sacramentale è inviolabile” [Codice di Diritto Canonico, 983, 1]. I
segreti professionali vanno serbati. Le confidenze pregiudizievoli per altri non
devono essere divulgate.
2512 La società
ha diritto a un'informazione fondata sulla verità, sulla libertà, sulla
giustizia. E' opportuno imporsi moderazione e disciplina nell'uso dei mezzi di
comunicazione sociale.
2513 Le belle
arti, ma soprattutto l'arte sacra, “per loro natura, hanno relazione con
l'infinita bellezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere
dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e
della sua gloria, in quanto nessun altro fine è loro assegnato se non di
contribuire quanto più efficacemente possibile. . . a indirizzare pienamente le
menti degli uomini a Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium,
122].
IL NONO
COMANDAMENTO
Non desiderare
la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo
schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa
che appartenga al tuo prossimo ( Es 20,17 ).
Chiunque guarda
una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore ( Mt
5,28 ).
2514 San
Giovanni distingue tre tipi di smodato desiderio o concupiscenza: la
concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita
[Cf 1Gv 2,16 ]. Secondo la tradizione catechistica cattolica, il nono
comandamento proibisce la concupiscenza carnale; il decimo la concupiscenza dei
beni altrui.
2515 La
“concupiscenza”, nel senso etimologico, può designare ogni forma veemente
di desiderio umano. La teologia cristiana ha dato a questa parola il significato
specifico di moto dell'appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione
umana. L'Apostolo san Paolo la identifica con l'opposizione della “carne”
allo “spirito” [Cf Gal 5,16; Gal 5,17; 2515 Gal 5,24; Ef 2,3 ]. E'
conseguenza della disobbedienza del primo peccato [Cf Gen 3,11 ]. Ingenera
disordine nelle facoltà morali dell'uomo e, senza essere in se stessa un
peccato, inclina l'uomo a commettere il peccato [Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1515].
2516 Già
nell'uomo, essendo un essere composto, spirito e corpo, esiste una certa
tensione, si svolge una certa lotta di tendenze tra lo “spirito” e la
“carne”. Ma essa di fatto appartiene all'eredità del peccato, ne è una
conseguenza e, al tempo stesso, una conferma. Fa parte dell'esperienza
quotidiana del combattimento spirituale:
Per l'Apostolo
non si tratta di discriminare e di condannare il corpo, che con l'anima
spirituale costituisce la natura dell'uomo e la sua soggettività personale;
egli si occupa invece delle opere, o meglio delle stabili disposizioni - virtù
e vizi - moralmente buone o cattive, che sono frutto di sottomissione (nel primo
caso) oppure di resistenza (nel secondo) all' azione salvifica dello Spirito
Santo. Perciò l'Apostolo scrive: “Se pertanto viviamo dello Spirito,
camminiamo anche secondo lo Spirito” ( Gal 5,25 ) [Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Dominum
et Vivificantem, 55].
I. La purificazione del cuore
2517 Il cuore è
la sede della personalità morale: “Dal cuore provengono i propositi malvagi,
gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni” ( Mt 15,19 ). La lotta contro la
concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la pratica
della temperanza:
Conservati nella
semplicità, nell'innocenza, e sarai come i bambini, i quali non conoscono il
male che devasta la vita degli uomini [Erma, Mandata pastoris, 2, 1].
2518 La sesta
beatitudine proclama: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” ( Mt 5,8
). I “puri di cuore” sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza
e la propria volontà alle esigenze della santità di Dio, in tre ambiti
soprattutto: la carità, [Cf 1Tm 4,3-9; 2Tm 2,22 ] la castità o rettitudine
sessuale, [Cf 1Ts 4,7; Col 3,5; 2518 Ef 4,19 ] l'amore della verità e
l'ortodossia della fede [Cf Tt 1,15; 1Tm 1,3-4; 2Tm 2,23-26 ]. C'è un legame
tra la purezza del cuore, del corpo e della fede:
I fedeli devono
credere gli articoli del Simbolo, “affinché credendo, obbediscano a Dio;
obbedendo, vivano onestamente; vivendo onestamente, purifi chino il loro cuore,
e purificando il loro cuore, comprendano quanto credono” [Sant'Agostino, De
fide et symbolo, 10, 25: PL 40, 196].
2519 Ai “puri
di cuore” è promesso che vedranno Dio faccia a faccia e che saranno simili a
lui [Cf 1Cor 13,12; 1Gv 3,2 ]. La purezza del cuore è la condizione preliminare
per la visione. Fin d'ora essa ci permette di vedere secondo Dio, di accogliere
l'altro come un “prossimo”; ci consente di percepire il corpo umano, il
nostro e quello del prossimo, come un tempio dello Spirito Santo, una
manifestazione della bellezza divina.
II. La lotta per la purezza
2520 Il
Battesimo conferisce a colui che lo riceve la grazia della purificazione da
tutti i peccati. Ma il battezzato deve continuare a lottare contro la
concupiscenza della carne e i desideri disordinati. Con la grazia di Dio giunge
alla purezza del cuore
- mediante la
virtù e il dono della castità, perché la castità permette di amare con un
cuore retto e indiviso;
- mediante la
purezza d'intenzione che consiste nel tener sempre presente il vero fine
dell'uomo: con un occhio semplice, il battezzato cerca di trovare e di compiere
in tutto la volontà di Dio; [Cf Rm 12,2; Col 1,10 ]
- mediante la
purezza dello sguardo, esteriore ed interiore; mediante la disciplina dei
sentimenti e dell'immaginazione; mediante il rifiuto di ogni compiacenza nei
pensieri impuri, che inducono ad allontanarsi dalla via dei divini comandamenti:
“La vista provoca negli stolti il desiderio” ( Sap 15,5 );
- mediante la
preghiera:
Pensavo che la
continenza si ottiene con le proprie forze e delle mie non ero sicuro. A tal
segno ero stolto da ignorare che, come sta scritto, nessuno può essere
continente, se Tu non lo concedi. E Tu l'avresti concesso, se avessi bussato
alle tue orecchie col gemito del mio cuore e lanciato in Te la mia pena con fede
salda [Sant'Agostino, Confessiones, 6, 11, 20].
2521 La purezza
esige il pudore. Esso è una parte integrante della temperanza. Il pudore
preserva l'intimità della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che
deve rimanere nascosto. E' ordinato alla castità, di cui esprime la
delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle
persone e della loro unione.
2522 Il pudore
custodisce il mistero delle persone e del loro amore. Suggerisce la pazienza e
la moderazione nella relazione amorosa; richiede che siano rispettate le
condizioni del dono e dell'impegno definitivo dell'uomo e della donna tra loro.
Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell'abbigliamento. Conserva il silenzio
o il riserbo là dove trasparisse il rischio di una curiosità morbosa. Diventa
discrezione.
2523 Esiste non
soltanto un pudore dei sentimenti, ma anche del corpo. Insorge, per esempio,
contro l'esposizione del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa in
certe pubblicità, o contro la sollecitazione di certi mass-media a spingersi
troppo in là nella rivelazione di confidenze intime. Il pudore detta un modo di
vivere che consente di resistere alle suggestioni della moda e alle pressioni
delle ideologie dominanti.
2524 Le forme
che il pudore assume variano da una cultura all'altra. Dovunque, tuttavia, esso
appare come il presentimento di una dignità spirituale propria dell'uomo. Nasce
con il risveglio della coscienza del soggetto. Insegnare il pudore ai fanciulli
e agli adolescenti è risvegliare in essi il rispetto della persona umana.
2525 La purezza
cristiana richiede una purificazione dell'ambiente sociale. Esige dai mezzi di
comunicazione sociale un'informazione attenta al rispetto e alla moderazione. La
purezza del cuore libera dal diffuso erotismo e tiene lontani dagli spettacoli
che favoriscono la curiosità morbosa e l'illusione.
2526 La
cosiddetta permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della
libertà umana. La libertà, per costruirsi, ha bisogno di lasciarsi educare
preliminarmente dalla legge morale. E' necessario chiedere ai responsabili della
educazione di impartire alla gioventù un insegnamento rispettoso della verità,
delle qualità del cuore e della dignità morale e spirituale dell'uomo.
2527 “La Buona
Novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto,
combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa
seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli.
Con la ricchezza soprannaturale feconda, come dall'interno, fortifica, completa
e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo e di
ogni età” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
58].
2528
“Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei
nel suo cuore” ( Mt 5,28 ).
2529 Il nono
comandamento mette in guardia dal desiderio smodato o concupiscenza carnale.
2530 La lotta
contro la concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la
pratica della temperanza.
2531 La purezza
del cuore ci farà vedere Dio: fin d'ora ci consente di vedere ogni cosa secondo
Dio.
2532 La
purificazione del cuore esige la preghiera, la pratica della castità, la
purezza dell'intenzione e dello sguardo.
2533 La purezza
del cuore richiede il pudore, che è pazienza, modestia e discrezione. Il pudore
custodisce l'intimità della persona.
IL DECIMO
COMANDAMENTO
Non desiderare.
. . alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo ( Es 20,17 ). Non desiderare la
casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava,
né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo
prossimo ( Dt 5,21 ).
Là dov'è il
tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore ( Mt 6,21 ).
2534 Il decimo
comandamento sdoppia e completa il nono, che verte sulla concupiscenza della
carne. Il decimo proibisce la cupidigia dei beni altrui, che è la radice del
furto, della rapina e della frode, vietati dal settimo comandamento. “La
concupiscenza degli occhi” ( 1Gv 2,16 ) porta alla violenza e all'ingiustizia,
proibite dal quinto comandamento [Cf Mi 2,2 ]. La bramosia, come la
fornicazione, trova origine nell'idolatria vietata nelle prime tre prescrizioni
della Legge [Cf Sap 14,12 ]. Il decimo comandamento riguarda l'intenzione del
cuore; insieme con il nono riassume tutti i precetti della Legge.
I. Il disordine delle cupidigie
2535 L'appetito
sensibile ci porta a desiderare le cose piacevoli che non abbiamo. Così, quando
si ha fame si desidera mangiare, quando si ha freddo si desidera riscaldarsi.
Tali desideri, in se stessi, sono buoni; ma spesso non restano nei limiti della
ragione e ci spingono a bramare ingiustamente ciò che non ci spetta e
appartiene, o è dovuto ad altri.
2536 Il decimo
comandamento proibisce l' avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura
dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama
delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di
commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi
beni temporali:
La formula
“non desiderare” è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare
il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente
sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la
Sacra Scrittura scrive: “L'avaro non sarà mai sazio del suo denaro” ( Sir
5,9 ) [Catechismo Romano, 3, 37].
2537 Non si
trasgredisce questo comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al
prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale
indica con realismo “coloro che maggiormente devono lottare contro le
cupidigie peccaminose” e che, dunque, “devono con più insistenza essere
esortate ad osservare questo comandamento”:
Sono, cioè,
quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità
delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e
speculazioni; . . . quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli
avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti. . [Catechismo Romano, 3,
37].
2538 Il decimo
comandamento esige che si bandisca dal cuore umano l' invidia. Allorché il
profeta Natan volle suscitare il pentimento del re Davide, gli narrò la storia
del povero che possedeva soltanto una pecora, la quale era per lui come una
figlia, e del ricco che, malgrado avesse bestiame in gran numero, invidiava quel
povero e finì per portargli via la sua pecora [Cf 2Sam 12,1-4 ]. L'invidia può
condurre ai peggiori misfatti [Cf Gen 4,3-7; 1Re 21,1-29 ]. E' per l'invidia del
diavolo che la morte è entrata nel mondo [Cf Sap 2,24 ].
Noi ci facciamo
guerra vicendevolmente, ed è l'invidia ad armarci gli uni contro gli altri...
Se tutti si accaniscono così a far vacillare il corpo di Cristo, dove si
arriverà? Siamo quasi in procinto di snervarlo. . . Ci diciamo membra di un
medesimo organismo e ci divoriamo come farebbero delle belve [San Giovanni
Crisostomo, Homiliae in secundam ad Corinthios, 28, 3-4: PG 61, 594-595].
2539 L'invidia
è un vizio capitale. Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni
altrui e nel desiderio smodato di appropriarsene, sia pure indebitamente. Quando
arriva a volere un grave male per il prossimo, l'invidia diventa un peccato
mortale.
Sant'Agostino
vedeva nell'invidia “il peccato diabolico per eccellenza” [Sant'Agostino, De
catechizandis rudibus, 4, 8]. “Dall'invidia nascono l'odio, la maldicenza, la
calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato
dalla sua fortuna” [San Gregorio Magno, Moralia in Job, 31, 45: PL 76, 621].
2540 L'invidia
rappresenta una delle forme della tristezza e quindi un rifiuto della carità;
il battezzato lotterà contro l'invidia mediante la benevolenza. L'invidia
spesso è causata dall'orgoglio; il battezzato si impegnerà a vivere nell'umiltà.
Vorreste vedere
Dio glorificato da voi? Ebbene, rallegratevi dei progressi del vostro fratello,
ed ecco che Dio sarà glorificato da voi. Dio sarà lodato - si dirà - dalla
vittoria sull'invidia riportata dal suo servo, che ha saputo fare dei meriti
altrui il motivo della propria gioia [San Giovanni Crisostomo, Homilia in ad
Romanos, 7, 3: PG 60, 445].
II. I desideri dello Spirito
2541 L'Economia
della Legge e della Grazia libera il cuore degli uomini dalla cupidigia e
dall'invidia: lo rivolge al desiderio del Sommo Bene; lo apre ai desideri dello
Spirito Santo, che appaga il cuore umano.
Il Dio delle
promesse da sempre ha messo in guardia l'uomo dalla seduzione di ciò che, fin
dalle origini, appare “buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile
per acquistare saggezza” ( Gen 3,6 ).
2542 La Legge
data a Israele non è mai bastata a giustificare coloro che le erano sottomessi;
anzi, è diventata lo strumento della “concupiscenza” [Cf Rm 7,7 ]. Il fatto
che il volere e il fare non coincidano [Cf Rm 7,15 ] indica il conflitto tra la
legge di Dio, la quale è la “legge della mia mente” e un'altra legge “che
mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra” ( Rm 7,23 ).
2543 “Ora,
indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio,
testimoniata dalla Legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in
Gesù Cristo, per tutti quelli che credono” ( Rm 3,21-22 ). Da allora i
credenti in Cristo “hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi
desideri” ( Gal 5,24 ); essi sono guidati dallo Spirito [Cf Rm 8,14 ] e
seguono i desideri dello Spirito [Cf Rm 8,27 ].
III. La povertà di cuore
2544 Ai suoi
discepoli Gesù chiede di preferirlo a tutto e a tutti, e propone di
“rinunziare a tutti” i loro “averi” ( Lc 14,33 ) per lui e per il
Vangelo [Cf Mc 8,35 ]. Poco prima della sua Passione ha additato loro come
esempio la povera vedova di Gerusalemme, la quale, nella sua miseria, ha dato
tutto quanto aveva per vivere [Cf Lc 21,4 ]. Il precetto del distacco dalle
ricchezze è vincolante per entrare nel Regno dei cieli.
2545 Tutti i
fedeli devono sforzarsi “di rettamente dirigere i propri affetti, affinché
dall'uso delle cose di questo mondo e dall'attaccamento alle ricchezze,
contrario allo spirito della povertà evangelica, non siano impediti di tendere
alla carità perfetta” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42].
2546
“Beati i poveri in spirito” ( Mt 5,3 ). Le beatitudini rivelano un ordine di
felicità e di grazia, di bellezza e di pace. Gesù esalta la gioia dei poveri,
ai quali già appartiene il Regno: [Cf Lc 6,20 ]
Il Verbo chiama
“povertà di spirito” l'umiltà volontaria di uno spirito umano e il suo
rinnegamento; e l'Apostolo ci addita come esempio la povertà di Dio quando
dice: “Si è fatto povero per noi” ( 2Cor 8,9 ) [San Gregorio di Nissa,
Orationes de beatitudinibus, 1: PG 44, 1200D].
2547 Il Signore
apostrofa i ricchi, perché trovano la loro consolazione nell'abbondanza dei
beni ( Lc 6,24 ). “Il superbo cerca la potenza terrena, mentre il povero in
spirito cerca il Regno dei cieli” [Sant'Agostino, De sermone Domini in monte,
1, 1, 3: PL 34, 1232]. L'abbandono alla Provvidenza del Padre del cielo libera
dall'apprensione per il domani [Cf Mt 6,25-34 ]. La fiducia in Dio prepara alla
beatitudine dei poveri. Essi vedranno Dio.
IV. “Voglio vedere Dio”
2548 Il
desiderio della vera felicità libera l'uomo dallo smodato attaccamento ai beni
di questo mondo, per avere compimento nella visione e nella beatitudine di Dio.
“La promessa di vedere Dio supera ogni felicità. Nella Scrittura, vedere
equivale a possedere. Chi vede Dio, ha conseguito tutti i beni che si possano
concepire” [San Gregorio di Nissa, Orationes de beatitudinibus, 6: PG 44,
1265A].
2549 Il popolo
santo deve lottare, con la grazia che viene dall'Alto, per ottenere i beni che
Dio promette. Per possedere e contemplare Dio, i cristiani mortificano le loro
brame e trionfano, con la grazia di Dio, sulle seduzioni del piacere e del
potere.
2550 Lungo
questo cammino della perfezione lo Spirito e la Sposa chiamano chi li ascolta [Cf
Ap 22,17 ] alla piena comunione con Dio:
Là sarà la
vera gloria, dove nessuno verrà lodato per sbaglio o per adulazione; il vero
onore, che non sarà rifiutato a nessuno che ne sia degno, non sarà
riconosciuto a nessuno che ne sia indegno; né d'altra parte questi potrebbe
pretenderlo, perché vi sarà ammesso solo chi è degno. Vi sarà la vera pace,
dove nessuno subirà avversità da parte di se stesso o da parte di altri.
Premio della virtù sarà colui che diede la virtù e che promise se stesso come
ciò di cui non può esservi nulla di migliore e di più grande. . . “Sarò
vostro Dio e voi sarete mio popolo” ( Lv 16,12 ). . . Ancora questo indicano.
. . le parole dell'Apostolo: “Perché Dio sia tutto in tutti” ( 1Cor 15,28
). Egli sarà il fine di tutti i nostri desideri, contemplato senza fine, amato
senza fastidio, lodato senza stanchezza. Questo dono, questo affetto, questo
atto sarà certamente comune a tutti, come la stessa vita eterna [Sant'Agostino,
De civitate Dei, 22, 30].
2551 “Là dov'è
il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” ( Mt 6,21 ).
2552 Il decimo
comandamento proibisce la sfrenata cupidigia generata dalla brama smodata delle
ricchezze e del potere insito in esse.
2553 L'invidia
è la tristezza che si prova davanti ai beni altrui e l'irresistibile desiderio
di appropriarsene. E' un vizio capitale.
2554 Il
battezzato combatte l'invidia con la benevolenza, l'umiltà e l'abbandono alla
Provvidenza di Dio.
2555 I cristiani
“hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri” ( Gal 5,24
); sono guidati dallo Spirito e seguono i suoi desideri.
2556 Il distacco
dalle ricchezze è indispensabile per entrare nel Regno dei cieli. “Beati i
poveri in spirito”.
2557 Il vero
desiderio dell'uomo è: “Voglio vedere Dio”. La sete di Dio è estinta
dall'acqua della vita eterna [Cf Gv 4,14 ].