IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
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PARTE
TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE
SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
Esodo
20,2-17 Deuteronomio 5,6-21 Formula catechistica
Io
sono il Signore tuo Dio
che
ti ho fatto uscire
dal
paese d'Egitto,
dalla
condizione di schiavitù.
Io
sono il Signore tuo Dio
che
ti ho fatto uscire
dal
paese di Egitto,
dalla
condizione servile.
Io
sono il Signore Dio tuo:
Non
avrai
altri
dei di fronte a me.
Non
ti farai
idolo
né immagine alcuna
di
ciò che è lassù nel cielo,
né
di ciò che è quaggiù sulla terra,
né
di ciò che è nelle acque,
sotto
terra.
Non
ti prostrerai
davanti
a loro
e
non li servirai.
Perché
io, il Signore,
sono
il tuo Dio,
un
Dio geloso,
che
punisce la colpa dei padri
nei
figli
fino
alla terza
e
alla quarta generazione,
per
coloro che mi odiano,
ma
che dimostra il suo favore
fino
a mille generazioni, per coloro
che
mi amano e osservano
i
miei comandamenti.
Non
avere
altri
dei di fronte a me...
1
Non avrai altro Dio
fuori
di me.
Non
pronuncerai
invano
il nome
del
Signore tuo Dio,
perché
il Signore non lascerà
impunito
chi
pronuncia
il suo nome invano.
Non
pronunciare invano
il
nome del Signore
tuo
Dio...
2
Non nominare
il
nome di Dio invano
Ricordati
del giorno
di
sabato per santificarlo.
Sei
giorni
faticherai
e
farai ogni tuo lavoro;
ma
il settimo giorno
è
il sabato
in
onore del Signore, tuo Dio.
Tu
non farai alcun lavoro,
né
tu, né tuo figlio, né tua figlia,
né
il tuo schiavo, né la tua schiava,
né
il tuo bestiame, né il forestiero
che
dimora presso di te.
Perché
in sei giorni
il
Signore ha fatto
il
cielo e la terra e il mare
e
quanto è in essi,
ma
si è riposato il giorno settimo.
Perciò
il Signore
ha
benedetto il giorno di sabato
e
lo ha dichiarato sacro.
Osserva
il giorno di sabato
per
santificarlo...
3
Ricordati di
santificare
le feste.
Onora
tuo padre e tua madre
perché
si prolunghino
i
tuoi giorni nel paese
che
ti dà
il
Signore, tuo Dio.
Onora
tuo padre
e
tua madre...
4.
Onora il padre
e
la madre.
Non
uccidere. Non uccidere. 5. Non uccidere.
Non
commettere Non commettere 6. Non commettere
adulterio.
adulterio. atti impuri.
Non
rubare. Non rubare. 7. Non rubare.
Non
pronunciare
falsa
testimonianza
contro
il tuo prossimo.
Non
pronunciare
falsa
testimonianza
contro
il tuo prossimo.
8.
Non dire
falsa
testimonianza.
Non
desiderare
la
casa del tuo prossimo.
Non
desiderare
la
moglie del tuo prossimo,
né
il suo schiavo,
né
la sua schiava,
né
il suo bue, né il suo asino,
né
alcuna cosa
che
appartenga al tuo prossimo.
Non
desiderare
la
moglie del tuo prossimo.
9.
Non desiderare
la
donna d'altri.
Non
desiderare alcuna
delle
cose
che
sono del tuo prossimo.
10.
Non desiderare
la
roba d'altri.
“Maestro,
che devo fare...?”
2052
“Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”. Al
giovane che gli rivolge questa domanda, Gesù risponde innanzitutto richiamando
la necessità di riconoscere Dio come "il solo Buono", come il Bene
per eccellenza e come la sorgente di ogni bene. Poi Gesù gli dice: “Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed elenca al suo interlocutore i
comandamenti che riguardano l'amore del prossimo: “Non uccidere, non
commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e
tua madre”. Infine Gesù riassume questi comandamenti in una formulazione
positiva: “Ama il prossimo tuo come te stesso” ( Mt 19,16-19 ).
2053
A questa prima risposta, se ne aggiunge subito una seconda: “Se vuoi essere
perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel
cielo; poi vieni e seguimi” ( Mt 19,21 ). Essa non annulla la prima. La
sequela di Gesù implica l'osservanza dei comandamenti. La Legge non è abolita,
[Cf Mt 5,17 ] ma l'uomo è invitato a ritrovarla nella Persona del suo Maestro,
che ne è il compimento perfetto. Nei tre Vangeli sinottici, l'appello di Gesù,
rivolto al giovane ricco, a seguirlo nell'obbedienza del discepolo e
nell'osservanza dei comandamenti, è accostato all'esortazione alla povertà e
alla castità [Cf Mt 19,6-12; Mt 19,21; Mt 19,23-29 ]. I consigli evangelici
sono indissociabili dai comandamenti.
2054
Gesù ha ripreso i dieci comandamenti, ma ha manifestato la forza dello Spirito
all'opera nella loro lettera. Egli ha predicato la “giustizia” che supera
“quella degli scribi e dei farisei” ( Mt 5,20 ) come pure quella dei pagani
[Cf Mt 5,46-47 ]. Ha messo in luce tutte le esigenze dei comandamenti. “Avete
inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere. ... Ma io vi dico: chiunque si
adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” ( Mt 5,21-22 ).
2055
Quando gli si pone la domanda: “Qual è il più grande comandamento della
Legge?” ( Mt 22,36 ), Gesù risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto
il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più
grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il
prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e
i Profeti” ( Mt 22,37-40 ) [Cf Dt 6,5; Lv 19,18 ]. Il Decalogo deve essere
interpretato alla luce di questo duplice ed unico comandamento della carità,
pienezza della Legge:
Il
precetto: non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e
qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo
tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento
della Legge è l'amore ( Rm 13,9-10 ).
Il
Decalogo nella Sacra Scrittura
2056
La parola “Decalogo” significa alla lettera “dieci parole” ( Es 34,28;
Dt 4,13; Dt 10,4 ). Queste “dieci parole” Dio le ha rivelate al suo popolo
sulla santa montagna. Le ha scritte con il suo “dito” ( Es 31,18 ) [Cf Dt
5,22 ] a differenza degli altri precetti scritti da Mosè [Cf Dt 31,9; Dt 31,24
]. Esse sono parole di Dio per eccellenza. Ci sono trasmesse nel libro
dell'Esodo [Cf Es 20,1-17 ] e in quello del Deuteronomio [Cf Dt 5,6-22 ]. Fin
dall'Antico Testamento i Libri Sacri fanno riferimento alle “dieci parole” [Cf
per esempio Os 4,2; Ger 7,9; Ez 18,5-9 ]. Ma è nella Nuova Alleanza in Gesù
Cristo che sarà rivelato il loro pieno senso.
2057
Il Decalogo si comprende innanzi tutto nel contesto dell'Esodo che è il grande
evento liberatore di Dio al centro dell'Antica Alleanza. Siano essi formulati
come precetti negativi, divieti, o come comandamenti positivi (come: “onora
tuo padre e tua madre”), le “dieci parole” indicano le condizioni di una
vita liberata dalla schiavitù del peccato. Il Decalogo è un cammino di vita:
Ti
comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i
suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi ( Dt
30,16 ).
Questa
forza liberatrice del Decalogo appare, per esempio, nel comandamento sul riposo
del sabato, destinato parimenti agli stranieri e gli schiavi:
Ricordati
che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto
uscire di là con mano potente e braccio teso ( Dt 5,15 ).
2058
Le “dieci parole” riassumono e proclamano la legge di Dio: “Queste parole
pronunciò il Signore, parlando a tutta la vostra assemblea, sul monte, dal
fuoco, dalla nube e dall'oscurità, con voce poderosa, e non aggiunse altro. Le
scrisse su due tavole di pietra e me le diede” ( Dt 5,22 ). Perciò queste due
tavole sono chiamate “la Testimonianza” ( Es 25,16 ). Esse contengono
infatti le clausole dell'alleanza conclusa tra Dio e il suo popolo. Queste
“tavole della Testimonianza” ( Es 31,18; Es 32,15; Es 34,29 ) devono essere
collocate nell'“arca” ( Es 25,16; Es 40,1-2 ).
2059
Le “dieci parole” sono pronunciate da Dio durante una teofania (Il Signore
vi ha parlato faccia a faccia sul monte dal fuoco”: Dt 5,4 ). Appartengono
alla rivelazione che Dio fa di se stesso e della sua gloria. Il dono dei
comandamenti è dono di Dio stesso e della sua santa volontà. Facendo conoscere
le sue volontà, Dio si rivela al suo popolo.
2060
Il dono dei comandamenti e della Legge fa parte dell'Alleanza conclusa da Dio
con i suoi. Secondo il libro dell'Esodo, la rivelazione delle “dieci parole”
viene accordata tra la proposta dell'Alleanza [Cf Es 19 ] e la sua stipulazione,
[Cf Es 24 ] dopo che il popolo si è impegnato a “fare” tutto ciò che il
Signore aveva detto e ad “obbedirvi” ( Es 24,7 ). Il Decalogo non viene mai
trasmesso se non dopo la rievocazione dell'Alleanza (Il Signore nostro Dio ha
stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb: Dt 5,2 ).
2061
I comandamenti ricevono il loro pieno significato all'interno dell'Alleanza.
Secondo la Scrittura, l'agire morale dell'uomo prende tutto il proprio senso
nella e per l'Alleanza. La prima delle “dieci parole” ricorda l'iniziativa
d'amore di Dio per il suo popolo:
Poiché
l'uomo, per castigo del peccato, era venuto dal paradiso della libertà alla
schiavitù di questo mondo, per questo la prima parola del Decalogo, cioè la
prima voce dei comandamenti di Dio, tratta della libertà dicendo: Io sono il
Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione
di schiavitù ( Es 20,2; Dt 5,6 ) [Origene, Homiliae in Exodum, 8, 1].
2062
I comandamenti propriamente detti vengono in secondo luogo; essi esprimono le
implicanze della appartenenza a Dio stabilita attraverso l'Alleanza. L'esistenza
morale è risposta all'iniziativa d'amore del Signore. E' riconoscenza, omaggio
a Dio e culto d'azione di grazie. E' cooperazione al piano che Dio persegue
nella storia.
2063
L'Alleanza e il dialogo tra Dio e l'uomo sono ancora attestati dal fatto che
tutte le imposizioni sono enunciate in prima persona (“Io sono il
Signore...”) e rivolte a un altro soggetto (tu...”). In tutti i comandamenti
di Dio è un pronome personale singolare che indica il destinatario. Dio fa
conoscere la sua volontà a tutto il popolo e, nello stesso tempo, a ciascuno in
particolare:
Il
Signore comandò l'amore verso Dio e insegnò la giustizia verso il prossimo,
affinché l'uomo non fosse né ingiusto, né indegno di Dio. Così, per mezzo
del Decalogo, Dio preparava l'uomo a diventare suo amico e ad avere un solo
cuore con il suo prossimo... Le parole del Decalogo restano validissime per noi.
Lungi dall'essere abolite, esse sono state portate a pienezza di significato e
di sviluppo dalla venuta del Signore nella carne [Sant' Ireneo di Lione,
Adversus haereses, 4, 16, 3-4].
Il
Decalogo nella Tradizione della Chiesa
2064
Fedele alla Scrittura e in conformità all'esempio di Gesù, la Tradizione della
Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un'importanza e un significato fondamentali.
2065
A partire da sant'Agostino, i “dieci comandamenti” hanno un posto
preponderante nella catechesi dei futuri battezzati e dei fedeli. Nel secolo
quindicesimo si prese l'abitudine di esprimere i precetti del Decalogo in
formule in rima, facili da memorizzare, e positive. Sono in uso ancor oggi. I
catechismi della Chiesa spesso hanno esposto la morale cristiana seguendo
l'ordine dei “dieci comandamenti”.
2066
La divisione e la numerazione dei comandamenti hanno subito variazioni nel corso
della storia. Questo catechismo segue la divisione dei comandamenti fissata da
sant'Agostino e divenuta tradizionale nella Chiesa cattolica. E' pure quella
delle confessioni luterane. I Padri greci hanno fatto una divisione un po'
diversa, che si ritrova nelle Chiese ortodosse e nelle comunità riformate.
2067
I dieci comandamenti enunciano le esigenze dell'amore di Dio e del prossimo. I
primi tre si riferiscono principalmente all'amore di Dio e gli altri sette
all'amore del prossimo.
Come
sono due i comandamenti dell'amore, nei quali si compendia tutta la Legge e i
Profeti - lo diceva il Signore... - così gli stessi dieci comandamenti furono
dati in due tavole. Si dice infatti che tre fossero scritti in una tavola e
sette in un'altra [Sant'Agostino, Sermones, 33, 2, 2: PL 38, 208].
2068
Il Concilio di Trento insegna che i dieci comandamenti obbligano i cristiani e
che l'uomo giustificato è ancora tenuto ad osservarli [Cf Concilio di Trento:
Denz.-Schönm., 1569-1570]. E il Concilio Vaticano II lo ribadisce: “I
vescovi, quali successori degli Apostoli, ricevono dal Signore... la missione di
insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché
tutti gli uomini, per mezzo della fede, del Battesimo e dell'osservanza dei
comandamenti, ottengano la salvezza” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 24].
L'unità
del Decalogo
2069
Il Decalogo costituisce un tutto indissociabile. Ogni “parola” rimanda a
ciascuna delle altre e a tutte; esse si condizionano reciprocamente. Le due
Tavole si illuminano a vicenda; formano una unità organica. Trasgredire un
comandamento è infrangere tutti gli altri [Cf Gc 2,10-11 ]. Non si possono
onorare gli altri uomini senza benedire Dio loro Creatore. Non si saprebbe
adorare Dio senza amare tutti gli uomini sue creature. Il Decalogo unifica la
vita teologale e la vita sociale dell'uomo.
Il
Decalogo e la legge naturale
2070
I dieci comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio. Al tempo stesso ci
insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e,
quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della
persona umana. Il Decalogo contiene una espressione privilegiata della “legge
naturale”:
Fin
dalle origini, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della legge
naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il Decalogo
[Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 15, 1].
2071
Quantunque accessibili alla sola ragione, i precetti del Decalogo sono stati
rivelati. Per giungere ad una conoscenza completa e certa delle esigenze della
legge naturale, l'umanità peccatrice aveva bisogno di questa rivelazione:
Una
completa esposizione dei comandamenti del Decalogo si rese necessaria nella
condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la
volontà si era sviata [San Bonaventura, In libros sententiarum, 4, 37, 1, 3].
Noi
conosciamo i comandamenti di Dio attraverso la Rivelazione divina che ci è
proposta nella Chiesa, e per mezzo della voce della coscienza morale.
L'obbligazione
del Decalogo
2072
Poiché enunciano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il prossimo,
i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, delle obbligazioni
gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno
potrebbe dispensare da essi. I dieci comandamenti sono incisi da Dio nel cuore
dell'essere umano.
2073
L'obbedienza ai comandamenti implica anche obblighi la cui materia, in se
stessa, è leggera. Così l'ingiuria a parole è vietata dal quinto
comandamento, ma non potrebbe essere una colpa grave che in rapporto alle
circostanze o all'intenzione di chi la proferisce.
“Senza
di me non potete far nulla”
2074
Gesù dice: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa
molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” ( Gv 15,5 ). Il frutto
indicato in questa parola è la santità di una vita fecondata dall'unione con
Cristo. Quando noi crediamo in Gesù Cristo, comunichiamo ai suoi misteri e
osserviamo i suoi comandamenti, il Salvatore stesso viene ad amare in noi il
Padre suo ed i suoi fratelli, Padre nostro e nostri fratelli. La sua Persona
diventa, grazie allo Spirito, la regola vivente ed interiore della nostra
condotta. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri,
come io vi ho amati” ( Gv 15,12 ).
In
sintesi
2075
“Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?” “Se
vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” ( Mt 19,16-17 ).
2076
Con il suo agire e con la sua predicazione, Gesù ha attestato la perennità del
Decalogo.
2077
Il dono del Decalogo è accordato nell'ambito dell'Alleanza conclusa da Dio con
il suo popolo. I comandamenti di Dio ricevono il loro vero significato in e per
mezzo di questa Alleanza.
2078
Fedele alla Scrittura e in conformità all'esempio di Gesù, la Tradizione della
Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un'importanza ed un significato fondamentali.
2079
Il Decalogo costituisce un'unità organica in cui ogni “parola” o
“comandamento” rimanda a tutto l'insieme. Trasgredire un comandamento è
infrangere tutta la Legge [Cf Gc 2,10-11 ].
2080
Il Decalogo contiene un'espressione privilegiata della legge naturale. Lo
conosciamo attraverso la Rivelazione divina e con la ragione umana.
2081
I dieci comandamenti enunciano, nel loro contenuto fondamentale, obbligazioni
gravi. Tuttavia, l'obbedienza a questi precetti comporta anche obblighi la cui
materia, in se stessa, è leggera.
2082
Quanto Dio comanda, lo rende possibile con la sua grazia.
PARTE
TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE
SECONDA - I DIECI COMANDAMENTI
CAPITOLO
PRIMO - “AMERAI IL SIGNORE DIO TUO CON TUTTO IL CUORE, CON TUTTA L'ANIMA, CON
TUTTE LE FORZE”
2083
Gesù ha riassunto i doveri dell'uomo verso Dio in questa parola: “Amerai il
Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua
mente” ( Mt 22,37 ) [Cf Lc 10,27 : “... con tutta la tua forza”]. Essa fa
immediatamente eco alla solenne esortazione: “Ascolta, Israele: il Signore è
il nostro Dio, il Signore è uno solo” ( Dt 6,4 ).
Dio
ha amato per primo. L'amore del Dio Unico è ricordato nella prima delle
“dieci parole”. I comandamenti poi esplicitano la risposta d'amore che
l'uomo è chiamato a dare al suo Dio.
IL
PRIMO COMANDAMENTO
Io
sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla
condizione di schiavitù; non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo
né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù
sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto terra. Non ti prostrerai
davanti a loro e non li servirai ( Es 20,2-5 ) [Cf Dt 5,6-9 ].
Sta
scritto: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” ( Mt 4,10 ).
I.
“Adorerai il Signore, Dio tuo, e lo servirai”
2084
Dio si fa conoscere ricordando la sua azione onnipotente, benevola e liberatrice
nella storia di colui al quale si rivolge: “Io ti ho fatto uscire dal paese
d'Egitto, dalla condizione di schiavitù”. La prima parola contiene il primo
comandamento della Legge: “Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai. . . Non
seguirete altri dei” ( Dt 6,13-14 ). Il primo appello e la giusta esigenza di
Dio è che l'uomo lo accolga e lo adori.
2085
Il Dio unico e vero rivela innanzi tutto la sua gloria ad Israele [Cf Es
19,16-25; Es 24,15-18 ]. La rivelazione della vocazione e della verità
dell'uomo è legata alla Rivelazione di Dio. L'uomo ha la vocazione di
manifestare Dio agendo in conformità con il suo essere creato “ad immagine e
somiglianza di Dio”:
Non
ci saranno mai altri dei, o Trifone, né mai ce ne sono stati fin dalle origini.
. ., all'infuori di colui che ha creato e ordinato l'universo. Noi non pensiamo
che il nostro Dio differisca dal vostro. E' lo stesso che ha fatto uscire i
vostri padri dall'Egitto “con mano potente e braccio teso”. Noi non
riponiamo le nostre speranze in qualche altro dio - non ce ne sono ma nello
stesso Dio in cui voi sperate, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe [San
Giustino, Dialogus cum Tryphone Judaeo, 11, 1].
2086
“Nell'esplicita affermazione divina: "Io sono il Signore tuo Dio" è
incluso il comandamento della fede, della speranza e della carità. Se noi
riconosciamo infatti che egli è Dio, e cioè eterno, immutabile, sempre uguale
a se stesso, affermiamo con ciò anche la sua infinita veracità; ne segue
quindi l'obbligo di accogliere le sue parole e di aderire ai suoi comandi con
pieno riconoscimento della sua autorità. Se egli inoltre è Dio, noi ne
riconosciamo l'onnipotenza, la bontà, i benefici; di qui l'illimitata fiducia e
la speranza. E se egli è l'infinita bontà e l'infinito amore, come non
offrirgli tutta la nostra dedizione e donargli tutto il nostro amore? Ecco perché
nella Bibbia Dio inizia e conclude invariabilmente i suoi comandi con la
formula: "Io sono il Signore"” [Catechismo Romano, 3, 2, 4].
La
fede
2087
La nostra vita morale trova la sua sorgente nella fede in Dio che ci rivela il
suo amore. San Paolo parla dell'“obbedienza alla fede” ( Rm 1,5 ) [Cf Rm
16,26 ] come dell'obbligo primario. Egli indica nell'“ignoranza di Dio” il
principio e la spiegazione di tutte le deviazioni morali [Cf Rm 1,18-32 ]. Il
nostro dovere nei confronti di Dio è di credere in lui e di rendergli
testimonianza.
2088
Il primo comandamento ci richiede di nutrire e custodire la nostra fede con
prudenza e vigilanza e di respingere tutto ciò che le è contrario. Ci sono
diversi modi di peccare contro la fede:
Il
dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che
Dio ha rivelato e che la Chiesa ci propone a credere. Il dubbio involontario
indica la esitazione a credere, la difficoltà nel superare le obiezioni legate
alla fede, oppure anche l'ansia causata dalla sua oscurità. Se viene
deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all'accecamento dello
spirito.
2089
L' incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto volontario
di dare ad essa il proprio assenso. L' eresia è “l'ostinata negazione, dopo
aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede
divina e cattolica, o il dubbio ostinato”; l' apostasia è “il ripudio
totale della fede cristiana”; lo scisma è “il rifiuto della sottomissione
al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetta”
[Codice di Diritto Canonico, 751].
La
speranza
2090
Quando Dio si rivela e chiama l'uomo, questi non può rispondere pienamente
all'amore divino con le sue proprie forze. Deve sperare che Dio gli donerà la
capacità di contraccambiare il suo amore e di agire conformemente ai
comandamenti della carità. La speranza è l'attesa fiduciosa della benedizione
divina e della beata visione di Dio; è anche il timore di offendere l'amore di
Dio e di provocare il castigo.
2091
Il primo comandamento riguarda pure i peccati contro la speranza, i quali sono
la disperazione e la presunzione:
Per
la disperazione, l'uomo cessa di sperare da Dio la propria salvezza personale,
gli aiuti per conseguirla o il perdono dei propri peccati. Si oppone alla bontà
di Dio, alla sua giustizia - il Signore, infatti, è fedele alle sue promesse -
e alla sua misericordia.
2092
Ci sono due tipi di presunzione. O l'uomo presume delle proprie capacità
(sperando di potersi salvare senza l'aiuto dall'Alto), oppure presume della
onnipotenza e della misericordia di Dio (sperando di ottenere il suo perdono
senza conversione e la gloria senza merito).
La
carità
2093
La fede nell'amore di Dio abbraccia l'appello e l'obbligo di rispondere alla
carità divina con un amore sincero. Il primo comandamento ci ordina di amare
Dio al di sopra di tutto, e tutte le creature per lui e a causa di lui [Cf Dt
6,4-5 ].
2094
Si può peccare in diversi modi contro l'amore di Dio: l' indifferenza è
incurante della carità divina o rifiuta di prenderla in considerazione; ne
misconosce l'iniziativa e ne nega la forza. L' ingratitudine tralascia o rifiuta
di riconoscere la carità divina e di ricambiare a Dio amore per amore. La
tiepidezza è una esitazione o una negligenza nel rispondere all'amore divino;
può implicare il rifiuto di abbandonarsi al dinamismo della carità. L' accidia
o pigrizia spirituale giunge a rifiutare la gioia che viene da Dio e a provare
repulsione per il bene divino. L' odio di Dio nasce dall'orgoglio. Si oppone
all'amore di Dio, del quale nega la bontà e che ardisce maledire come colui che
proibisce i peccati e infligge i castighi.
II.
“Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai”
2095
Le virtù teologali della fede, della speranza e della carità informano e
vivificano le virtù morali. Così la carità ci porta a rendere a Dio ciò che
in tutta giustizia gli dobbiamo in quanto creature. La virtù della religione ci
dispone a tale atteggiamento.
L'adorazione
2096
Della virtù della religione, l'adorazione è l'atto principale. Adorare Dio, è
riconoscerlo come Dio, come il Creatore e il Salvatore, il Signore e il Padrone
di tutto ciò che esiste, l'Amore infinito e misericordioso. “Solo al Signore
Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai” ( Lc 4,8 ), dice Gesù, citando il
Deuteronomio [Cf Dt 6,13 ].
2097
Adorare Dio è riconoscere, nel rispetto e nella sottomissione assoluta, il
“nulla della creatura”, la quale non esiste che per Dio. Adorare Dio è,
come Maria nel Magnificat, lodarlo, esaltarlo e umiliare se stessi, confessando
con gratitudine che egli ha fatto grandi cose e che santo è il suo nome [Cf Lc
1,46-49 ]. L'adorazione del Dio Unico libera l'uomo dal ripiegamento su se
stesso, dalla schiavitù del peccato e dall'idolatria del mondo.
La
preghiera
2098
Gli atti di fede, di speranza e di carità prescritti dal primo comandamento si
compiono nella preghiera. L'elevazione dello spirito verso Dio è un'espressione
della nostra adorazione di Dio: preghiera di lode e di rendimento di grazie,
d'intercessione e di domanda. La preghiera è una condizione indispensabile per
poter obbedire ai comandamenti di Dio. Bisogna “pregare sempre, senza
stancarsi” ( Lc 18,1 ).
Il
sacrificio
2099
E' giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di riconoscenza, di
implorazione e di comunione: “Ogni azione compiuta per aderire a Dio rimanendo
con lui in comunione, e poter così essere nella gioia, è un vero sacrificio”
[Sant'Agostino, De civitate Dei, 10, 6].
2100
Per essere autentico, il sacrificio esteriore deve essere espressione del
sacrifico spirituale: “Uno spirito contrito è sacrificio...” ( Sal 51,19 ).
I profeti dell'Antica Alleanza spesso hanno denunciato i sacrifici compiuti
senza partecipazione interiore [Cf Am 5,21-25 ] o disgiunti dall'amore del
prossimo [Cf Is 1,10-20 ]. Gesù richiama le parole del profeta Osea:
“Misericordia voglio, non sacrificio” ( Mt 9,13; Mt 12,7 ) [Cf Os 6,6 ].
L'unico sacrificio perfetto è quello che Cristo ha offerto sulla croce in
totale oblazione all'amore del Padre e per la nostra salvezza [Cf Eb 9,13-14 ].
Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare della nostra vita un sacrificio a Dio.
Promesse
e voti
2101
In parecchie circostanze il cristiano è chiamato a fare delle promesse a Dio.
Il Battesimo e la Confermazione, il Matrimonio e l'Ordinazione sempre ne
comportano. Per devozione personale il cristiano può anche promettere a Dio
un'azione, una preghiera, un'elemosina, un pellegrinaggio, ecc. La fedeltà alle
promesse fatte a Dio è una espressione del rispetto dovuto alla divina Maestà
e dell'amore verso il Dio fedele.
2102
“Il voto, ossia la promessa deliberata e libera di un bene possibile e
migliore fatta a Dio, deve essere adempiuto per la virtù della religione”
[Codice di Diritto Canonico, 1191, 1]. Il voto è un atto di devozione, con cui
il cristiano offre se stesso a Dio o gli promette un'opera buona. Mantenendo i
suoi voti, egli rende pertanto a Dio ciò che a lui è stato promesso e
consacrato. Gli Atti degli Apostoli ci presentano san Paolo preoccupato di
mantenere i voti da lui fatti [Cf At 18,18; At 21,23-24 ].
2103
La Chiesa riconosce un valore esemplare ai voti di praticare i consigli
evangelici : [Cf Codice di Diritto Canonico, 654]
Si
rallegra la Madre Chiesa di trovare nel suo seno molti uomini e donne, che
seguono più da vicino l'annientamento del Salvatore e più chiaramente lo
mostrano, abbracciando la povertà nella libertà dei figli di Dio e rinunciando
alla propria volontà: essi, cioè, in ciò che riguarda la perfezione, si
sottomettono a un uomo per Dio, al di là della stretta misura del precetto, al
fine di conformarsi più pienamente a Cristo obbediente [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42].
In
certi casi, la Chiesa può, per congrue ragioni, dispensare dai voti e dalle
promesse [Cf Codice di Diritto Canonico, 692; 1196-1197].
Il
dovere sociale della religione e il diritto alla libertà religiosa
2104
“Tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che
riguarda Dio e la sua Chiesa, e, una volta conosciuta, ad abbracciarla e
custodirla” [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. E' un
dovere che deriva dalla “stessa natura” degli uomini [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. Non si
contrappone ad un “sincero rispetto” per le diverse religioni, le quali
“non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli
uomini”, [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 2] né all'esigenza della carità,
che spinge i cristiani “a trattare con amore, prudenza e pazienza gli uomini
che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 14].
2105
Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo individualmente e
socialmente. E' “la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei
singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo” [Conc.
Ecum. Vat.
II, Dignitatis humanae, 1]. Evangelizzando
senza posa gli uomini, la Chiesa si adopera affinché essi possano “informare
dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della
comunità” [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 13] in cui vivono.
Il dovere sociale dei cristiani è di rispettare e risvegliare in ogni uomo
l'amore del vero e del bene. Richiede loro di far conoscere il culto
dell'“unica vera religione che sussiste nella Chiesa cattolica ed
apostolica” [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 1]. I
cristiani sono chiamati ad essere la luce del mondo [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Apostolicam actuositatem, 13]. La Chiesa in tal modo manifesta la regalità di
Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane [Cf Leone
XIII, Lett. enc. Immortale Dei; Pio XI, Lett. enc. Quas primas].
2106
“Che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua
coscienza, né impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua
coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” [Conc.
Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Tale
diritto si fonda sulla natura stessa della persona umana, la cui dignità la fa
liberamente aderire alla verità divina che trascende l'ordine temporale. Per
questo “perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la
verità e di aderire ad essa” [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2107
“Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli, nell'ordinamento
giuridico di una società viene attribuito ad una comunità religiosa uno
speciale riconoscimento civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i
cittadini e comunità religiose venga riconosciuto e rispettato il diritto alla
libertà in materia religiosa” [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2108
Il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire
all'errore, [Cf Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum] né un
implicito diritto all'errore, [Cf Pio XII, discorso del 6 dicembre 1953] bensì
un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all'immunità
da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia religiosa, da parte
del potere politico. Questo diritto naturale “deve essere riconosciuto
nell'ordinamento giuridico della società così che divenga diritto civile” [Conc.
Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
2109
Il diritto alla libertà religiosa non può essere di per sé né illimitato, [Cf
Pio VI, Breve Quod aliquantulum] né limitato semplicemente da un “ordine
pubblico” concepito secondo un criterio positivista o naturalista [Cf Pio IX,
Lett. enc. Quanta cura]. I “giusti limiti” che sono inerenti a tale diritto
devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica,
secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile secondo
“norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 7].
III.
“Non avrai altri dèi di fronte a me”
2110
Il primo comandamento vieta di onorare altri dèi, all'infuori dell'Unico
Signore che si è rivelato al suo popolo. Proibisce la superstizione e
l'irreligione. La superstizione rappresenta, in qualche modo, un eccesso
perverso della religione; l'irreligione è un vizio opposto, per difetto, alla
virtù della religione.
La
superstizione
2111
La superstizione è la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che
esso impone. Può anche presentarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al
vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un'importanza in qualche misura
magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie. Attribuire alla sola
materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia,
prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella
superstizione [Cf Mt 23,16-22 ].
L'idolatria
2112
Il primo comandamento condanna il politeismo. Esige dall'uomo di non credere in
altri dèi che Dio, di non venerare altre divinità che l'Unico. La Scrittura
costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono “argento e oro,
opera delle mani dell'uomo”, i quali “hanno bocca e non parlano, hanno occhi
e non vedono...”. Questi idoli vani rendono l'uomo vano: “Sia come loro chi
li fabbrica e chiunque in essi confida” ( Sal 115,4-5; Sal 115,8 ) [Cf Is
44,9-20; Ger 10,1-16; 2112 Dn 14,1-30; Bar 6; Sap 13,1-15; Sap 13,19 ]. Dio, al
contrario, è il “Dio vivente” ( Gs 3,10; Sal 42,3; 2112 ecc.), che fa
vivere e interviene nella storia.
2113
L'idolatria non concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una
costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò che non è Dio. C'è
idolatria quando l'uomo onora e riverisce una creatura al posto di Dio, si
tratti degli dèi o dei demoni (per esempio il satanismo), del potere, del
piacere, della razza, degli antenati, dello Stato, del denaro, ecc. “Non
potete servire a Dio e a mammona”, dice Gesù ( Mt 6,24 ). Numerosi martiri
sono morti per non adorare “la Bestia”, [Cf Ap 13-14 ] rifiutando perfino di
simularne il culto. L'idolatria respinge l'unica Signoria di Dio; perciò è
incompatibile con la comunione divina [Cf Gal 5,20; Ef 5,5 ].
2114
La vita umana si unifica nell'adorazione dell'Unico. Il comandamento di adorare
il solo Signore semplifica l'uomo e lo salva da una dispersione senza limiti.
L'idolatria è una perversione del senso religioso innato nell'uomo. L'idolatra
è colui che “riferisce la sua indistruttibile nozione di Dio a chicchessia
anziché a Dio” [Origene, Contra Celsum, 2, 40].
Divinazione
e magia
2115
Dio può rivelare l'avvenire ai suoi profeti o ad altri santi. Tuttavia il
giusto atteggiamento cristiano consiste nell'abbandonarsi con fiducia nelle mani
della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e a rifuggire da ogni curiosità
malsana a questo riguardo. L'imprevidenza può costituire una mancanza di
responsabilità.
2116
Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai demoni,
evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che “svelino”
l'avvenire [Cf Dt 18,10; Ger 29,8 ]. La consultazione degli oroscopi,
l'astrologia, la chiromanzia, l'interpretazione dei presagi e delle sorti, i
fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium occultano una volontà di dominio sul
tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di rendersi
propizie le potenze nascoste. Sono in contraddizione con l'onore e il rispetto,
congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo.
2117
Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di
sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un
potere soprannaturale sul prossimo - fosse anche per procurargli la salute -
sono gravemente contrarie alla virtù della religione. Tali pratiche sono ancor
più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri
o quando in esse si ricorre all'intervento dei demoni. Anche portare gli amuleti
è biasimevole. Lo spiritismo spesso implica pratiche divinatorie o magiche.
Pure da esso la Chiesa mette in guardia i fedeli. Il ricorso a pratiche mediche
dette tradizionali non legittima né l'invocazione di potenze cattive, né lo
sfruttamento della credulità altrui.
L'irreligione
2118
Il primo comandamento di Dio condanna i principali peccati di irreligione:
l'azione di tentare Dio, con parole o atti, il sacrilegio e la simonia.
2119
L'azione di tentare Dio consiste nel mettere alla prova, con parole o atti, la
sua bontà e la sua onnipotenza. E' così che Satana voleva ottenere da Gesù
che si buttasse giù dal Tempio obbligando Dio, in tal modo, ad intervenire [Cf
Lc 4,9 ]. Gesù gli oppone la parola di Dio: “Non tenterai il Signore Dio
tuo” ( Dt 6,16 ). La sfida implicita in simile tentazione di Dio ferisce il
rispetto e la fiducia che dobbiamo al nostro Creatore e Signore. In essa si cela
sempre un dubbio riguardo al suo amore, alla sua provvidenza e alla sua potenza
[Cf 1Cor 10,9; 2119 Es 17,2-7; Sal 95,9 ].
2120
Il sacrilegio consiste nel profanare o nel trattare indegnamente i sacramenti e
le altre azioni liturgiche, come pure le persone, gli oggetti e i luoghi
consacrati a Dio. Il sacrilegio è un peccato grave soprattutto quando è
commesso contro l'Eucaristia, poiché, in questo sacramento, ci è reso presente
sostanzialmente il Corpo stesso di Cristo [Cf Codice di Diritto Canonico, 1367;
1376].
2121
La simonia [Cf At 8,9-24 ] consiste nell'acquisto o nella vendita delle realtà
spirituali. A Simone il mago, che voleva acquistare il potere spirituale che
vedeva all'opera negli Apostoli, Pietro risponde: “Il tuo denaro vada con te
in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di
Dio” ( At 8,20 ). Così si conformava alla parola di Gesù: “Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date” ( Mt 10,8 ) [Cf Is 55,1 ]. E' impossibile
appropriarsi i beni spirituali e comportarsi nei loro confronti come un
possessore o un padrone, dal momento che la loro sorgente è in Dio. Non si può
che riceverli gratuitamente da lui.
2122
“Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per
l'amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più
bisognosi siano privati dell'aiuto dei sacramenti a motivo della povertà”
[Codice di Diritto Canonico, 848]. L'autorità competente determina queste
“offerte” in virtù del principio che il popolo cristiano deve concorrere al
sostentamento dei ministri della Chiesa. “L'operaio ha diritto al suo
nutrimento” ( Mt 10,10 ) [Cf Lc 10,7; 1Cor 9,5-18; 1Tm 5,17-18 ].
L'ateismo
2123
“Molti nostri contemporanei non percepiscono affatto o esplicitamente
rigettano l'intimo e vitale legame con Dio, così che l'ateismo va annoverato
fra le cose più gravi del nostro tempo” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
19].
2124
Il termine ateismo indica fenomeni molto diversi. Una forma frequente di esso è
il materialismo pratico, che racchiude i suoi bisogni e le sue ambizioni entro i
confini dello spazio e del tempo. L'umanesimo ateo ritiene falsamente che l'uomo
“sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19]. Un'altra forma dell'ateismo contemporaneo
si aspetta la liberazione dell'uomo da una liberazione economica e sociale, alla
quale “si pretende che la religione, per sua natura, sia di ostacolo.. in
quanto, elevando la speranza dell'uomo verso una vita futura.., la
distoglierebbe dall'edificazione della città terrena” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 19].
2125
Per il fatto che respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, l'ateismo è un peccato
contro la virtù della religione [Cf Rm 1,18 ]. L'imputabilità di questa colpa
può essere fortemente attenuata dalle intenzioni e dalle circostanze. Alla
genesi e alla diffusione dell'ateismo “possono contribuire non poco i
credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una
presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita
religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che
manifestano il genuino volto di Dio e della religione” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 19].
2126
Spesso l'ateismo si fonda su una falsa concezione dell'autonomia umana, spinta
fino al rifiuto di ogni dipendenza nei confronti di Dio [Cf ibid., 20]. In realtà,
“il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo,
dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua
perfezione” [Cf ibid., 20]. La Chiesa sa “che il suo messaggio è in armonia
con le aspirazioni più segrete del cuore umano” [Cf ibid., 20].
L'agnosticismo
2127
L'agnosticismo assume parecchie forme. In certi casi l'agnostico si rifiuta di
negare Dio; ammette invece l'esistenza di un essere trascendente che non
potrebbe rivelarsi e di cui nessuno sarebbe in grado di dire niente. In altri
casi l'agnostico non si pronuncia sull'esistenza di Dio, dichiarando che è
impossibile provarla, così come è impossibile ammetterla o negarla.
2128
L'agnosticismo può talvolta racchiudere una certa ricerca di Dio, ma può anche
costituire un indifferentismo, una fuga davanti al problema ultimo
dell'esistenza e un torpore della coscienza morale. Troppo spesso l'agnosticimo
equivale a un ateismo pratico.
IV.
“Non ti farai alcuna immagine scolpita...”
2129
L'ingiunzione divina comportava il divieto di qualsiasi rappresentazione di Dio
fatta dalla mano dell'uomo. Il Deuteronomio spiega: “Poiché non vedeste
alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull'Oreb dal fuoco, state bene in
guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi facciate
l'immagine scolpita di qualche idolo. . . ” ( Dt 4,15-16 ). E' il Dio
assolutamente Trascendente che si è rivelato a Israele. “Egli è tutto”,
ma, al tempo stesso, è “al di sopra di tutte le sue opere” ( Sir 43,27-28
). Egli è “lo stesso autore della bellezza” ( Sap 13,3 ).
2130
Tuttavia, fin dall'Antico Testamento, Dio ha ordinato o permesso di fare
immagini che simbolicamente conducessero alla salvezza operata dal Verbo
incarnato: così il serpente di rame, [Cf Nm 21,4-9; Sap 16,5-14; Gv 3,14-15 ]
l'arca dell'Alleanza e i cherubini [Cf Es 25,10-22; 2130 1Re 6,23-28; 1Re
7,23-26 ].
2131
Fondandosi sul mistero del Verbo incarnato, il settimo Concilio ecumenico, a
Nicea (nel 787), ha giustificato, contro gli iconoclasti, il culto delle icone:
quelle di Cristo, ma anche quelle della Madre di Dio, degli angeli e di tutti i
santi. Incarnandosi, il Figlio di Dio ha inaugurato una nuova “economia”
delle immagini.
2132
Il culto cristiano delle immagini non è contrario al primo comandamento che
proscrive gli idoli. In effetti, “l'onore reso ad un'immagine appartiene a chi
vi è rappresentato”, [San Basilio di Cesarea, Liber de Spiritu Sancto, 18,
45: PG 32, 149C] e “chi venera l'immagine, venera la realtà di chi in essa è
riprodotto” [Concilio di Nicea II: Denz. -Schönm., 601; cf Concilio di
Trento: ibid. , 1821-1825; Conc. Ecum.
Vat. II: Sacrosanctum concilium 126; Id., Lumen gentium, 67]. L'onore
tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non
un'adorazione che conviene solo a Dio.
Gli
atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in
quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge
all'immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà
che essa rappresenta [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 81, 3, ad
3].
2133
“Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con
tutte le forze” ( Dt 6,5 ).
2134
Il primo comandamento chiama l'uomo a credere in Dio, a sperare in lui, ad
amarlo al di sopra di tutto.
2135
“Adora il Signore Dio tuo” ( Mt 4,10 ). Adorare Dio, pregarlo, rendergli il
culto che a lui è dovuto, mantenere le promesse e i voti che a lui si sono
fatti, sono atti della virtù della religione, che esprimono l'obbedienza al
primo comandamento.
2136
Il dovere di rendere a Dio un culto autentico riguarda l'uomo
indiindividualmente e socialmente.
2137
L'uomo deve “poter professare liberamente la religione sia in forma privata
che pubblica” [Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 15].
2138
La superstizione è una deviazione del culto che rendiamo al vero Dio. Ha la sua
massima espressione nell'idolatria, come nelle varie forme di divinazione e di
magia.
2139
L'azione di tentare Dio con parole o atti, il sacrilegio, la simonia sono
peccati di irreligione proibiti dal primo comandamento.
2140
L'ateismo, in quanto respinge o rifiuta l'esistenza di Dio, è un peccato contro
il primo comandamento.
2141
Il culto delle sacre immagini è fondato sul mistero dell'Incarnazione del Verbo
di Dio. Esso non è in opposizione al primo comandamento.
IL
SECONDO COMANDAMENTO
Non
pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio ( Es 20,7; Dt 5,11 ). Fu detto
agli antichi: “Non spergiurare”... Ma io vi dico: non giurate affatto ( Mt
5,33-34 ).
I.
Il nome del Signore è santo
2142
Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Come il
primo comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in particolare
il nostro uso della parola a proposito delle cose sante.
2143
Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una, singolare, che è la
rivelazione del nome di Dio, che egli svela a coloro che credono in lui; egli si
rivela ad essi nel suo Mistero personale. Il dono del nome appartiene all'ordine
della confidenza e dell'intimità. “Il nome del Signore è santo”. Per
questo l'uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un silenzio
di adorazione piena d'amore [Cf Zc 2,17 ]. Non lo inserirà tra le sue parole,
se non per benedirlo, lodarlo e glorificarlo [Cf Sal 29,2; Sal 96,2; Sal 113,1-2
].
2144
Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso Mistero e a
tutta la realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù
della religione:
Il
sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no?
Nessuno può ragionevolmente dubitarne. Sono i sentimenti che palpiterebbero in
noi, e con forte intensità, se avessimo la visione della Maestà di Dio. Sono i
sentimenti che proveremmo se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella
misura in cui crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li
avvertiamo, è perché non percepiamo, non crediamo che egli è presente [John
Henry Newman, Parochial and plain sermons, 5, 2, pp. 21-22].
2145
Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria fede
senza cedere alla paura [Cf Mt 10,32; 1Tm 6,12 ]. L'atto della predicazione e
l'atto della catechesi devono essere compenetrati di adorazione e di rispetto
per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.
2146
Il secondo comandamento proibisce l'abuso del nome di Dio, cioè ogni uso
sconveniente del nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Maria e di tutti i
santi.
2147
Le promesse fatte ad altri nel nome di Dio impegnano l'onore, la fedeltà, la
veracità e l'autorità divine. Esse devono essere mantenute, per giustizia.
Essere infedeli a queste promesse equivale ad abusare del nome di Dio e, in
qualche modo, a fare di Dio un bugiardo [Cf 1Gv 1,10 ].
2148
La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel
proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di
rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di
lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro
“che bestemmiano il bel nome (di Gesù) che è stato invocato” sopra di loro
( Gc 2,7 ). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la
Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. E' blasfemo anche ricorrere al nome di
Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o
mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il
rigetto della religione.
La
bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per sua
natura è un peccato grave [Cf Codice di Diritto Canonico, 1369].
2149
Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di
bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo
comandamento proibisce anche l' uso magico del nome divino.
Il
nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla sua
grandezza e alla sua Maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina con
venerazione e con il timore di offenderlo [Sant'Agostino, De sermone Domini in
monte, 2, 45, 19: PL 34, 1278].
II.
Il nome di Dio pronunciato invano
2150
Il secondo comandamento proibisce il falso giuramento. Fare promessa solenne o
giurare è prendere Dio come testimone di ciò che si afferma. E' invocare la
veracità divina a garanzia della propria veracità. Il giuramento impegna il
nome del Signore. “Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il
suo nome” ( Dt 6,13 ).
2151
Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e Signore,
Dio è la norma di ogni verità. La parola umana è in accordo con Dio oppure in
opposizione a lui che è la stessa Verità. Quando il giuramento è veridico e
legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la verità di Dio.
Il giuramento falso chiama Dio ad essere testimone di una menzogna.
2152
E' spergiuro colui che, sotto giuramento, fa una promessa con l'intenzione di
non mantenerla, o che, dopo aver promesso sotto giuramento, non vi si attiene.
Lo spergiuro costituisce una grave mancanza di rispetto verso il Signore di ogni
parola. Impegnarsi con giuramento a compiere un'opera cattiva è contrario alla
santità del nome divino.
2153
Gesù ha esposto il secondo comandamento nel Discorso della montagna: “Avete
inteso che fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il
Signore i tuoi giuramenti!". Ma io vi dico: non giurate affatto. . . sia
invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” ( Mt
5,33-34; 2153 Mt 5,37 ) [Cf Gc 5,12 ]. Gesù insegna che ogni giuramento implica
un riferimento a Dio e che la presenza di Dio e della sua verità deve essere
onorata in ogni parola. La discrezione del ricorso a Dio nel parlare procede di
pari passo con l'attenzione rispettosa per la sua presenza, testimoniata o
schernita, in ogni nostra affermazione.
2154
Seguendo san Paolo, [Cf 2Cor 1,23; Gal 1,20 ] la Tradizione della Chiesa ha
inteso che la parola di Gesù non si oppone al giuramento, allorché viene fatto
per un motivo grave e giusto (per esempio davanti ad un tribunale). “Il
giuramento, ossia l'invocazione del di Dio a testimonianza della verità, non può
essere prestato se non secondo verità, prudenza e giustizia” [Codice di
Diritto Canonico, 1199, 1].
2155
La santità del nome divino esige che non si faccia ricorso ad esso per cose
futili e che non si presti giuramento in quelle circostanze in cui esso potrebbe
essere interpretato come un'approvazione del potere da cui ingiustamente venisse
richiesto. Quando il giuramento è esigito da autorità civili illegittime, può
essere rifiutato. Deve esserlo allorché è richiesto per fini contrari alla
dignità delle persone o alla comunione ecclesiale.
III.
Il nome cristiano
2156
Il sacramento del Battesimo è conferito “nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo”( Mt 28,19 ). Nel Battesimo il nome del Signore santifica
l'uomo e il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. Può essere il nome
di un santo, cioè di un discepolo che ha vissuto con esemplare fedeltà al suo
Signore. Il patrocinio del santo offre un modello di carità ed assicura la sua
intercessione. Il “nome di Battesimo” può anche esprimere un mistero
cristiano o una virtù cristiana. “I genitori, i padrini e il parroco abbiano
cura che non venga imposto un nome estraneo al senso cristiano” [Codice di
Diritto Canonico, 855].
2157
Il cristiano incomincia la sua giornata, le sue preghiere, le sue azioni con il
segno della croce, “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen”. Il battezzato consacra la giornata alla gloria di Dio e invoca la
grazia del Salvatore, la quale gli permette di agire nello Spirito come figlio
del Padre. Il segno della croce ci fortifica nelle tentazioni e nelle difficoltà.
2158
Dio chiama ciascuno per nome [Cf Is 43,1; 2158 Gv 10,3 ]. Il nome di ogni uomo
è sacro. Il nome è l'icona della persona. Esige il rispetto, come segno della
dignità di colui che lo porta.
2159
Il nome ricevuto è un nome eterno. Nel Regno, il carattere misterioso ed unico
di ogni persona segnata dal nome di Dio risplenderà in piena luce. “Al
vincitore darò. . . una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo,
che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve” ( Ap 2,17 ). “Poi guardai
ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila
persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo”
( Ap 14,1 ).
2160
“O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!” (
Sal 8,2 ).
2161
Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Il nome del
Signore è santo.
2162
Il secondo comandamento proibisce ogni uso sconveniente del nome di Dio. La
bestemmia consiste nell'usare il nome di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine
Maria e dei santi in un modo ingiurioso.
2163
Il falso giuramento chiama Dio come testimone di una menzogna. Lo spergiuro è
una mancanza grave contro il Signore, sempre fedele alle sue promesse.
2164
“Non giurare né per il Creatore, né per la creatura, se non con verità, per
necessità e con riverenza” [Sant'Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 38].
2165
Nel Battesimo, il cristiano riceve il proprio nome nella Chiesa. I genitori, i
padrini e il parroco avranno cura che gli venga dato un nome cristiano. Essere
sotto il patrocinio di un santo significa avere in lui un modello di carità e
un sicuro intercessore.
2166
Il cristiano incomincia le sue preghiere e le sue azioni con il segno della
croce “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”.
2167
Dio chiama ciascuno per nome [Cf Is 43,1 ].
IL
TERZO COMANDAMENTO
Ricordati
del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo
lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non
farai alcun lavoro ( Es 20,8-10 ) [Cf Dt 5,12-15 ].
Il
sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio
dell'uomo è signore anche del sabato ( Mc 2,27-28 ).
I.
Il giorno di sabato
2168
Il terzo comandamento del Decalogo ricorda la santità del sabato: “Il settimo
giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore” ( Es 31,15 ).
2169
La Scrittura a questo proposito fa memoria della creazione: “Perché in sei
giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma
si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di
sabato e lo ha dichiarato sacro”( Es 20,11 ).
2170
La Scrittura rivela nel giorno del Signore anche un memoriale della liberazione
di Israele dalla schiavitù d'Egitto: “Ricordati che sei stato schiavo nel
paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano
potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il
giorno di sabato” ( Dt 5,15 ).
2171
Dio ha affidato a Israele il sabato perché lo rispetti in segno dell'alleanza
perenne [Cf Es 31,16 ]. Il sabato è per il Signore, santamente riservato alla
lode di Dio, della sua opera creatrice e delle sue azioni salvifiche in favore
di Israele.
2172
L'agire di Dio è modello dell'agire umano. Se Dio nel settimo giorno “si è
riposato” ( Es 31,17 ), anche l'uomo deve “far riposo” e lasciare che gli
altri, soprattutto i poveri, “possano goder quiete” ( Es 23,12 ). Il sabato
sospende le attività quotidiane e concede una tregua. E' un giorno di protesta
contro le schiavitù del lavoro e il culto del denaro [Cf Ne 13,15-22; 2Cr 36,21
].
2173
Il Vangelo riferisce numerose occasioni nelle quali Gesù viene accusato di
violare la legge del sabato. Ma Gesù non viola mai la santità di tale giorno [
Cf Mc 1,21; Gv 9,16 ]. Egli con autorità ne dà l'interpretazione autentica:
“Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato”( Mc 2,27 )
Nella sua bontà, Cristo ritiene lecito “in giorno di sabato fare il bene”
anziché “il male, salvare una vita” anziché “toglierla” ( Mc 3,4 ). Il
sabato è il giorno del Signore delle misericordie e dell'onore di Dio [Cf Mt
12,5; Gv 7,23 ]. “Il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato” ( Mc 2,28
).
II.
Il giorno del Signore
Questo
è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso ( Sal 118,24
).
Il
giorno della Risurrezione: la nuova creazione
2174
Gesù è risorto dai morti “il primo giorno della settimana” ( Mt 28,1; Mc
16,2; Lc 24,1; 2174 Gv 20,1 ). In quanto “primo giorno”, il giorno della
Risurrezione di Cristo richiama la prima creazione. In quanto “ottavo
giorno”, che segue il sabato, [Cf Mc 16,1; Mt 28,1 ] esso significa la nuova
creazione inaugurata con la Risurrezione di Cristo. E' diventato, per i
cristiani, il primo di tutti i giorni, la prima di tutte le feste, il giorno del
Signore (e Kyriaké eméra”, “dies dominica”), la “domenica”:
Ci
raduniamo tutti insieme nel giorno del sole, poiché questo è il primo giorno
nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in
questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti [San
Giustino, Apologiae, 1, 67].
La
domenica - compimento del sabato
2175
La domenica si distingue nettamente dal sabato al quale, ogni settimana,
cronologicamente succede, e del quale, per i cristiani, sostituisce la
prescrizione rituale. Porta a compimento, nella Pasqua di Cristo, la verità
spirituale del sabato ebraico ed annuncia il riposo eterno dell'uomo in Dio.
Infatti, il culto della legge preparava il Mistero di Cristo, e ciò che vi si
compiva prefigurava qualche aspetto relativo a Cristo: [Cf 1Cor 10,11 ]
Coloro
che vivevano nell'antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova speranza, non
più guardando al sabato, ma vivendo secondo la domenica, giorno in cui è sorta
la nostra vita, per la grazia del Signore e per la sua morte [Sant'Ignazio di
Antiochia, Epistula ad Magnesios, 9, 1].
2176
La celebrazione della domenica attua la prescrizione morale naturalmente
iscritta nel cuore dell'uomo “di rendere a Dio un culto esteriore, visibile,
pubblico e regolare nel ricordo della sua benevolenza universale verso gli
uomini” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 122, 4]. Il culto
domenicale è il compimento del precetto morale dell'Antica Alleanza, di cui
riprende il ritmo e lo spirito celebrando ogni settimana il Creatore e il
Redentore del suo popolo.
L'Eucaristia
domenicale
2177
La celebrazione domenicale del Giorno e dell'Eucaristia del Signore sta al
centro della vita della Chiesa. “Il giorno di domenica in cui si celebra il
Mistero pasquale, per la tradizione apostolica, deve essere osservato in tutta
la Chiesa come il primordiale giorno festivo di precetto” [Codice di Diritto
Canonico, 1246, 1].
“Ugualmente
devono essere osservati i giorni del Natale del Signore nostro Gesù Cristo,
dell'Epifania, dell'Ascensione e del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, della
Santa Madre di Dio Maria, della sua Immacolata Concezione e Assunzione, di san
Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e infine di tutti i Santi”
[Codice di Diritto Canonico, 1246, 1].
2178
Questa pratica dell'assemblea cristiana risale agli inizi dell'età apostolica [Cf
At 2,42-46; 2178 1Cor 11,17 ]. La Lettera agli Ebrei ricorda: non disertate le
vostre “riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare”, ma invece
esortatevi a vicenda ( Eb 10,25 ).
La
Tradizione conserva il ricordo di una esortazione sempre attuale: “Affrettarsi
verso la chiesa, avvicinarsi al Signore e confessare i propri peccati, pentirsi
durante la preghiera. . . Assistere alla santa e divina Liturgia, terminare la
propria preghiera e non uscirne prima del congedo. . . L'abbiamo spesso
ripetuto: questo giorno vi è concesso per la preghiera e il riposo. E' il
giorno fatto dal Signore. In esso rallegriamoci ed esultiamo” [Autore anonimo,
Sermo de die dominica: PG 86/1, 416C. 421C].
2179
“La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita
stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare e la cui cura pastorale è
affidata, sotto l'autorità del vescovo diocesano, ad un parroco quale suo
proprio pastore” [Codice di Diritto Canonico, 515, 1]. E' il luogo in cui
tutti i fedeli possono essere convocati per la celebrazione domenicale
dell'Eucaristia. La parrocchia inizia il popolo cristiano all'espressione
ordinaria della vita liturgica, lo raduna in questa celebrazione; insegna la
dottrina salvifica di Cristo; pratica la carità del Signore in opere buone e
fraterne:
Tu
non puoi pregare in casa come in chiesa, dove c'è il popolo di Dio raccolto,
dove il grido è elevato a Dio con un cuore solo. Là c'è qualcosa di più,
l'unisono degli spiriti, l'accordo delle anime, il legame della carità, le
preghiere dei sacerdoti [San Giovanni Crisostomo, De incomprehensibili Dei
natura seu contra Anomaeos, 3, 6: PG 48, 725D].
L'obbligo
della domenica
2180
Il precetto della Chiesa definisce e precisa la legge del Signore: “La
domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di
partecipare alla Messa” [Codice di Diritto Canonico, 1247]. “Soddisfa il
precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel
rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno
precedente” [Codice di Diritto Canonico, 1247].
2181
L'Eucaristia domenicale fonda e conferma tutto l'agire cristiano. Per questo i
fedeli sono tenuti a partecipare all'Eucaristia nei giorni di precetto, a meno
che siano giustificati da un serio motivo (per esempio, la malattia, la cura dei
lattanti o ne siano dispensati dal loro parroco) [Cf ibid., 1245]. Coloro che
deliberatamente non ottemperano a questo obbligo commettono un peccato grave.
2182
La partecipazione alla celebrazione comunitaria dell'Eucaristia domenicale è
una testimonianza di appartenenza e di fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. In
questo modo i fedeli attestano la loro comunione nella fede e nella carità.
Essi testimoniano al tempo stesso la santità di Dio e la loro speranza nella
salvezza. Si rafforzano vicendevolmente sotto l'assistenza dello Spirito Santo.
2183
“Se per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa
impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica, si raccomanda
vivamente che i fedeli prendano parte alla Liturgia della Parola, se ve n'è
qualcuna nella chiesa parrocchiale o in un altro luogo sacro, celebrata secondo
le disposizioni del vescovo diocesano, oppure attendano per un congruo tempo
alla preghiera personalmente o in famiglia, o, secondo l'opportunità, in gruppi
di famiglie” [Codice di Diritto Canonico, 1248, 2].
Giorno
di grazia e di cessazione dal lavoro
2184
Come Dio “cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro” ( Gen 2,2 ), così
anche la vita dell'uomo è ritmata dal lavoro e dal riposo. L'istituzione del
giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di “godere di
sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare,
culturale, sociale e religiosa” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 67].
2185
Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si
asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a
Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di
misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1247]. Le necessità familiari o una grande utilità sociale
costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del riposo
domenicale. I fedeli vigileranno affinché legittime giustificazioni non creino
abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute.
L'amore
della verità cerca il sacro tempo libero, la necessità dell'amore accetta il
giusto lavoro [Sant'Agostino, De civitate Dei, 19, 19].
2186
E' doveroso per i cristiani che dispongono di tempo libero ricordarsi dei loro
fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono
riposarsi a causa della povertà e della miseria. Dalla pietà cristiana la
domenica è tradizionalmente consacrata alle opere di bene e agli umili servizi
di cui necessitano i malati, gli infermi, gli anziani. I cristiani
santificheranno la domenica anche dando alla loro famiglia e ai loro parenti il
tempo e le attenzioni che difficilmente si possono loro accordare negli altri
giorni della settimana. La domenica è un tempo propizio per la riflessione, il
silenzio, lo studio e la meditazione, che favoriscono la crescita della vita
interiore e cristiana.
2187
Santificare le domeniche e i giorni di festa esige un serio impegno comune. Ogni
cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che
impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore. Quando i costumi (sport,
ristoranti, ecc) e le necessità sociali (servizi pubblici, ecc) richiedono a
certuni un lavoro domenicale, ognuno si senta responsabile di riservarsi un
tempo sufficiente di libertà. I fedeli avranno cura, con moderazione e carità,
di evitare gli eccessi e le violenze cui talvolta danno luogo i diversivi di
massa. Nonostante le rigide esigenze dell'economia, i pubblici poteri
vigileranno per assicurare ai cittadini un tempo destinato al riposo e al culto
divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro
dipendenti.
2188
Nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, i cristiani
devono adoperarsi per far riconoscere dalle leggi le domeniche e i giorni di
festa della Chiesa come giorni festivi. Spetta a loro offrire a tutti un esempio
pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni
come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana. Se la
legislazione del paese o altri motivi obbligano a lavorare la domenica, questo
giorno sia tuttavia vissuto come il giorno della nostra liberazione, che ci fa
partecipare a questa “adunanza festosa”, a questa “assemblea dei
primogeniti iscritti nei cieli” ( Eb 12,22-23 ).
2189
“Osserva il giorno di sabato per santificarlo” ( Dt 5,12 ). “Il settimo
giorno vi sarà riposo assoluto, sacro al Signore” ( Es 31,15 ).
2190
Il sabato, che rappresentava il compimento della prima creazione, è sostituito
dalla domenica, che ricorda la nuova creazione, iniziata con la Risurrezione di
Cristo.
2191
La Chiesa celebra il giorno della Risurrezione di Cristo nell'ottavo giorno, che
si chiama giustamente giorno del Signore, o domenica [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 106].
2192
“Il giorno di domenica. . . deve essere osservato in tutta la Chiesa come il
primordiale giorno festivo di precetto” [Codice di Diritto Canonico, 1246, 1].
“La domenica e le altre feste di precetto i fedeli sono tenuti all'obbligo di
partecipare alla Messa” [Codice di Diritto Canonico, 1246, 1].
2193
“La domenica e le altre feste di precetto i fedeli. . . si astengano. . . da
quei lavori e da quegli affari che impediscono di rendere culto a Dio e turbano
la letizia propria del giorno del Signore o il dovuto riposo della mente e del
corpo” [Codice di Diritto Canonico, 1247].
2194
L'istituzione della domenica contribuisce a dare a tutti la possibilità di
“godere di sufficiente riposo e tempo libero che permette loro di curare la
vita familiare, culturale, sociale e religiosa” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 67].