IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
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PARTE
TERZA - LA VITA IN CRISTO
1691
“Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura
divina, non voler tornare all'antica bassezza con una vita indegna. Ricorda a
quale Capo appartieni e di quale Corpo sei membro. Ripensa che, liberato dal
potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel Regno di Dio” [San
Leone Magno, Sermones, 21, 2-3; PL 54, 192A; cf Liturgia delle Ore, I, Ufficio
delle letture di Natale].
1692
Il Simbolo della fede ha professato la grandezza dei doni di Dio all'uomo
nell'opera della creazione e ancor più mediante la redenzione e la
santificazione. Ciò che la fede confessa, i sacramenti lo comunicano: per mezzo
dei “sacramenti che li hanno fatti rinascere”, i cristiani sono diventati
“figli di Dio” ( Gv 1,12; 1Gv 3,1 ), “ partecipi della natura divina” (
2Pt 1,4 ). Riconoscendo nella fede la loro nuova dignità, i cristiani sono
chiamati a comportarsi ormai “da cittadini degni del Vangelo” ( Fil 1,27 ).
Mediante i sacramenti e la preghiera, essi ricevono la grazia di Cristo e i doni
del suo Spirito, che li rendono capaci di questa vita nuova.
1693
Cristo Gesù ha sempre fatto ciò che era gradito al Padre [Cf Gv 8,29 ]. Egli
ha sempre vissuto in perfetta comunione con lui. Allo stesso modo i suoi
discepoli sono invitati a vivere sotto lo sguardo del Padre “che vede nel
segreto” ( Mt 6,6 ) per diventare “perfetti come è perfetto il Padre...
celeste” ( Mt 5,47 ).
1694
Incorporati a Cristo per mezzo del Battesimo, [Cf Rm 6,5 ] i cristiani sono
“morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” ( Rm 6,11 )
partecipando così alla vita del Risorto [Cf Col 2,12 ]. Alla sequela di Cristo
e in unione con lui, [Cf Gv 15,5 ] i cristiani possono farsi “imitatori di
Dio, quali figli carissimi”, e camminare “nella carità” ( Ef 5,1 ),
conformando i loro pensieri, le loro parole, le loro azioni ai “sentimenti che
furono in Cristo Gesù” ( Fil 2,5 ) e seguendone gli esempi [Cf Gv 13,12-16 ].
1695
“Giustificati nel Nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro
Dio” ( 1Cor 6,11 ), “santificati” e “chiamati ad essere santi” ( 1Cor
1,2 ) i cristiani sono diventati “tempio dello Spirito Santo ” [Cf 1Cor 6,19
]. Questo “Spirito del Figlio” insegna loro a pregare il Padre [Cf Gal 4,6 ]
e, essendo diventato la loro vita, li fa agire [Cf Gal 5,25 ] in modo tale che
portino “il frutto dello Spirito” ( Gal 5,22 ) mediante una carità operosa.
Guarendo le ferite del peccato, lo Spirito Santo ci rinnova interiormente
“nello spirito” ( Ef 4,23 ), ci illumina e ci fortifica per vivere come
“figli della luce” ( Ef 5,8 ), mediante “ogni bontà, giustizia e verità”
( Ef 5,9 ).
1696
La via di Cristo “conduce alla vita”, una via opposta “conduce alla
perdizione” ( Mt 7,13 ) [Cf Dt 30,15-20 ]. La parabola evangelica delle due
vie è sempre presente nella catechesi della Chiesa. Essa sta ad indicare
l'importanza delle decisioni morali per la nostra salvezza. “Ci sono due vie,
l'una della vita, l'altra della morte; ma tra le due corre una grande
differenza” [Didaché, 1, 1].
1697
Nella catechesi è importante mettere in luce con estrema chiarezza la gioia e
le esigenze della via di Cristo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi
tradendae, 29]. La catechesi della “vita nuova” ( Rm 6,4 ) in lui sarà:
-
una catechesi dello Spirito Santo, Maestro interiore della vita secondo Cristo,
dolce ospite e amico che ispira, conduce, corregge e fortifica questa vita;
-
una catechesi della grazia, poiché è per grazia che siamo salvati ed è ancora
per grazia che le nostre opere possono portare frutto per la vita eterna;
-
una catechesi delle beatitudini; infatti la via di Cristo è riassunta nelle
beatitudini, il solo cammino verso la felicità eterna, cui aspira il cuore
dell'uomo;
-
una catechesi del peccato e del perdono, poiché, se se non si riconosce
peccatore, l'uomo non può conoscere la verità su se stesso, condizione del
retto agire, e senza l'offerta del perdono non potrebbe sopportare tale verità;
-
una catechesi delle virtù umane, che conduce a cogliere la bellezza e
l'attrattiva delle rette disposizioni per il bene;
-
una catechesi delle virtù cristiane della fede, della speranza e della carit,
che si ispira al sublime esempio dei santi;
-
una catechesi del duplice comandamento della carità sviluppato nel Decalogo;
-
una catechesi ecclesiale, perché è nei molteplici scambi dei “beni
spirituali” nella “comunione dei dei santi” che la vita cristiana può
crescere, svilupparsi e comunicarsi.
1698
Il riferimento primo e ultimo di tale catechesi sarà sempre Gesù Cristo
stesso, che è “la via, la verità e la vita” ( Gv 14,6 ). Guardando a lui
nella fede, i cristiani possono sperare che egli stesso realizzi in loro le sue
promesse, e che, amandolo con l'amore con cui egli li ha amati, compiano le
opere che si addicono alla loro dignità:
Vi
prego di considerare che Gesù Cristo nostro Signore è il vostro vero Capo e
che voi siete una delle sue membra. Egli sta a voi come il capo alle membra;
tutto ciò che è suo è vostro, il suo Spirito, il suo Cuore, il suo Corpo, la
sua anima e tutte le sue facoltà, e voi dovete usarne come se fossero cose
vostre, per servire, lodare, amare e glorificare Dio. Voi appartenete a lui,
come le membra al loro capo. Allo stesso modo egli desidera ardentemente usare
tutto ciò che è in voi, al servizio e per la gloria del Padre, come se fossero
cose che gli appartengono [San Giovanni Eudes, Tractatus de admirabili corde
Iesu; cf Liturgia delle Ore, IV, Ufficio delle letture del 19 agosto].
Per
me il vivere è Cristo ( Fil 1,21 ).
PARTE TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE
PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA
VITA NELLO SPIRITO
1699
La vita nello Spirito Santo realizza la vocazione dell'uomo (capitolo primo). E'
fatta di carità divina e di solidarietà umana (capitolo secondo). E'
gratuitamente concessa come una Salvezza (capitolo terzo).
CAPITOLO
PRIMO - LA DIGNITA' DELLA PERSONA
UMANA
1700
La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e
somiglianza di Dio (articolo 1); ha il suo compimento nella vocazione alla
beatitudine divina (articolo 2). E' proprio dell'essere umano tendere
liberamente a questo compimento (articolo 3). Con i suoi atti liberi (articolo
4), la persona umana si conforma, o no, al bene promesso da Dio e attestato
dalla coscienza morale (articolo 5). Gli esseri umani si edificano da se stessi
e crescono interiormente: di tutta la loro vita sensibile e spirituale fanno un
materiale per la loro crescita (articolo 6). Con l'aiuto della grazia
progrediscono nella virtù (articolo 7), evitano il peccato e, se l'hanno
commesso, si affidano, come il figlio prodigo, [Cf Lc 15,11-31 ] alla
misericordia del nostro Padre dei cieli (articolo 8). Così raggiungono la
perfezione della carità.
L'UOMO
IMMAGINE DI DIO
1701
“Cristo. . ., proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela
anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. E' in Cristo,“immagine del Dio
invisibile” ( Col 1,15 ) [Cf 2Cor 4,4 ] che l'uomo è stato creato ad
“immagine e somiglianza” del Creatore. E' in Cristo, Redentore e Salvatore,
che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata
restaurata nella sua bellezza originale e nobilitata dalla grazia di Dio [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1702
L'immagine divina è presente in ogni uomo. Risplende nella comunione delle
persone, a somiglianza dell'unità delle persone divine tra loro.
1703
Dotata di “un'anima spirituale ed immortale”, [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 14] la persona umana è in terra “la sola creatura che Dio abbia
voluto per se stessa” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. Fin dal suo
concepimento è destinata alla beatitudine eterna.
1704
La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino. Grazie
alla ragione è capace di comprendere l'ordine delle cose stabilito dal
Creatore. Grazie alla sua volontà è capace di orientarsi da sé al suo vero
bene. Trova la propria perfezione nel “cercare” e nell'“amare il vero e il
bene” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
1705
In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d'intelligenza e di
volontà, l'uomo è dotato di libertà, “segno altissimo dell'immagine
divina” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
1706
Con la sua ragione l'uomo conosce la voce di Dio che lo “chiama sempre. . . a
fare il bene e a fuggire il male” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
Ciascuno è tenuto a seguire questa legge che risuona nella coscienza e che
trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. L'esercizio della vita
morale attesta la dignità della persona.
1707
“L'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della
libertà sua” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14]. Egli cedette alla
tentazione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua natura
porta la ferita del peccato originale. E' diventato incline al male e soggetto
all'errore:
Così
l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia
individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il
bene e il male, tra la luce e le tenebre [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
14].
1708
Con la sua Passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci ha
meritato la vita nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il
peccato aveva in noi deteriorato.
1709
Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma
dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende capace di agire
rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo Salvatore, il discepolo
raggiunge la perfezione della carità, la santità. La vita morale, maturata
nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo.
1710
“Cristo. . . svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1711
Dotata di un'anima spirituale, d'intelligenza e di volontà, la persona umana
fin dal suo concepimento è ordinata a Dio e destinata alla beatitudine eterna.
Essa raggiunge la propria perfezione nel “cercare” ed “amare il vero e il
bene” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1712
La vera libertà è nell'uomo “segno altissimo dell'immagine divina” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
1713
L'uomo è tenuto a seguire la legge morale che lo spinge “a fare il bene e a
fuggire il male” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Questa legge
risuona nella sua coscienza.
1714
L'uomo, ferito nella propria natura dal peccato originale, è soggetto
all'errore ed incline al male nell'esercizio della sua libertà.
1715
Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello Spirito Santo. La vita morale,
cresciuta e maturata nella grazia, arriva a compimento nella gloria del cielo.
LA
NOSTRA VOCAZIONE ALLA BEATITUDINE
I.
Le beatitudini
1716
Le beatitudini sono al centro della predicazione di Gesù. La loro proclamazione
riprende le promesse fatte al popolo eletto a partire da Abramo. Le porta alla
perfezione ordinandole non più al solo godimento di una terra, ma al Regno dei
cieli:
Beati
i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli.
Beati
gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati
i miti, perché erediteranno la terra.
Beati
quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati
i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati
gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati
i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli.
Beati
voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta
di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è
la vostra ricompensa nei cieli ( Mt 5,3-12 ).
1717
Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità;
esse esprimono la vocazione dei fedeli associati alla gloria della sua Passione
e della sua Risurrezione; illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche
della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni,
sorreggono la speranza; annunziano le benedizioni e le ricompense già
oscuramente anticipate ai discepoli; sono inaugurate nella vita della Vergine e
di tutti i Santi.
II.
Il desiderio della felicità
1718
Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo desiderio è
di origine divina: Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a sé, perché
egli solo lo può colmare.
Noi
tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è nessuno che
neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga esposta in
tutta la sua portata [Sant'Agostino, De moribus ecclesiae catholicae, 1, 3, 4:
PL 32, 1312].
Come
ti cerco, dunque, Signore? Cercando Te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti
cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia
anima vive di Te [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 20, 29].
Dio
solo sazia [San Tommaso d'Aquino, Expositio in symbolum apostolicum, 1].
1719
Le beatitudini svelano la mèta dell'esistenza umana, il fine ultimo cui tendono
le azioni umane: Dio ci chiama alla sua beatitudine. Tale vocazione è rivolta a
ciascuno personalmente, ma anche all'insieme della Chiesa, popolo nuovo di
coloro che hanno accolto la promessa e di essa vivono nella fede.
III.
La beatitudine cristiana
1720
Il Nuovo Testamento usa parecchie espressioni per caratterizzare la beatitudine
alla quale Dio chiama l'uomo: l'avvento del Regno di Dio; [Cf Mt 4,17 ] la
visione di Dio: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” ( Mt 5,8 ); [Cf
1Gv 3,2; 1Cor 13,12 ] l'entrata nella gioia del Signore; [Cf Mt 25,21; 1720 Mt
25,23 ] l'entrata nel Riposo di Dio: [Cf Eb 4,7-11 ]
Là
noi riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco ciò che
alla fine sarà, senza fine. E quale altro fine abbiamo, se non di giungere al
regno che non avrà fine? [Sant'Agostino, De civitate Dei, 22, 30]
1721
Dio infatti ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in
Paradiso. La beatitudine ci rende partecipi della natura divina [Cf 2Pt 1,4 ] e
della vita eterna [Cf Gv 17,3 ]. Con essa, l'uomo entra nella gloria di Cristo [Cf
Rm 8,18 ] e nel godimento della vita trinitaria.
1722
Una tale beatitudine oltrepassa l'intelligenza e le sole forze umane. Essa è
frutto di un dono gratuito di Dio. Per questo la si dice soprannaturale, come la
grazia che dispone l'uomo ad entrare nella gioia di Dio.
“Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio”; tuttavia nella sua grandezza e nella
sua mirabile gloria, “nessun uomo può vedere Dio e restare vivo”. Il Padre,
infatti, è incomprensibile; ma nel suo amore, nella sua bontà verso gli
uomini, e nella sua onnipotenza, arriva a concedere a coloro che lo amano il
privilegio di vedere Dio. . . poiché “ciò che è impossibile agli uomini, è
possibile a Dio” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20, 5].
1723
La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci
invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore
di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova né
nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in
alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le
tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni
bene e di ogni amore:
La
ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine,
tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il
metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell'onorabilità.
. . Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è
possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo, e un altro
idolo è la notorietà. . . La notorietà, il fatto di essere conosciuti e di
far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe chiamare fama da stampa), ha
finito per essere considerata un bene in se stessa, un bene sommo, un oggetto,
anch'essa, di vera venerazione [John Henry Newman, Discourses to mixed
congregations, 5, sulla santità].
1724
Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono
le vie che conducono al Regno dei cieli. Noi ci impegniamo in esse passo passo,
mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo.
Fecondati dalla Parola di Cristo, lentamente portiamo frutti nella Chiesa per la
gloria di Dio [Cf Mt 13,3-23 ].
1725
Le beatitudini riprendono e portano a perfezione le promesse di Dio fatte a
partire da Abramo, ordinandole al Regno dei cieli. Esse rispondono al desiderio
di felicità che Dio ha posto nel cuore dell'uomo.
1726
Le beatitudini ci insegnano il fine ultimo al quale Dio ci chiama: il Regno, la
visione di Dio, la partecipazione alla natura divina, la vita eterna, la
filiazione, il riposo in Dio.
1727
La beatitudine della vita eterna è un dono gratuito di Dio: è soprannaturale
al pari della grazia che ad essa conduce.
1728
Le beatitudini ci mettono di fronte a scelte decisive riguardo ai beni terreni;
esse purificano il nostro cuore per renderci capaci di amare Dio al di sopra di
tutto.
1729
La beatitudine del Cielo determina i criteri di discernimento nell'uso dei beni
terreni in conformità alla Legge di Dio.
LA
LIBERTA' DELL'UOMO
1730
Dio ha creato l'uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata
dell'iniziativa e della padronanza dei suoi atti. “Dio volle, infatti,
lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio"( Sir 15,14 ) così che esso
cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l'adesione a
lui, alla piena e beata perfezione”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
17]
L'uomo
è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel suo
arbitrio e potere [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 4, 3].
I.
Libertà e responsabilità
1731
La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di
non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni
deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. La libertà è
nell'uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà.
La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra
beatitudine.
1732
Finché non si è definitivamente fissata nel suo bene ultimo che è Dio, la
libertà implica la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e
conseguentemente quella di avanzare nel cammino di perfezione oppure di venir
meno e di peccare. Essa contraddistingue gli atti propriamente umani. Diventa
sorgente di lode o di biasimo, di merito o di demerito.
1733
Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c'è vera libertà
se non al servizio del bene e della giustizia. La scelta della disobbedienza e
del male è un abuso della libertà e conduce alla schiavitù del peccato [Cf Rm
6,17 ].
1734
La libertà rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono
volontari. Il progresso nella virtù, la conoscenza del bene e l'ascesi
accrescono il dominio della volontà sui propri atti.
1735
L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o
annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle
abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali.
1736
Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie.
Il
Signore infatti chiede ad Adamo dopo il peccato nel giardino: “Che hai
fatto?” ( Gen 3,13 ). Così pure a Caino [Cf Gen 4,10 ]. Altrettanto fa il
profeta Natan con il re Davide dopo l'adulterio commesso con la moglie di Uria e
l'assassinio di quest'ultimo [Cf 2Sam 12,7-15 ].
Un'azione
può essere indirettamente volontaria quando è conseguenza di una negligenza
riguardo a ciò che si sarebbe dovuto conoscere o fare, per esempio un incidente
provocato da una ignoranza del codice stradale.
1737
Un effetto può essere tollerato senza che sia voluto da colui che agisce; per
esempio lo sfinimento di una madre al capezzale del figlio ammalato. L'effetto
dannoso non è imputabile se non è stato voluto né come fine né come mezzo
dell'azione, come può essere la morte incontrata nel portare soccorso a una
persona in pericolo. Perché l'effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia
prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il
caso, per esempio, di un omicidio commesso da un conducente in stato di
ubriachezza.
1738
La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana,
creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un
essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo
rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile
dalla dignità della persona umana, particolarmente in campo morale e religioso
[Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2]. Tale diritto deve essere
civilmente riconosciuto e tutelato nei limiti del bene comune e dell'ordine
pubblico [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis humanae, 2].
II.
La libertà umana nell'Economia della Salvezza
1739
Libertà e peccato. La libertà dell'uomo è finita e fallibile. Di fatto,
l'uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d'amore di
Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima
alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell'umanità, a partire dalle
origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore
dell'uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà.
1740
Minacce per la libertà. L'esercizio della libertà non implica il diritto di
dire e di fare qualsiasi cosa. E' falso pretendere che l'uomo, soggetto della
libertà, sia un “individuo sufficiente a se stesso ed avente come fine il
soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri”
[Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 13, AAS
79 (1987), 554-599]. Peraltro, le condizioni d'ordine economico e sociale,
politico e culturale richieste per un retto esercizio della libertà troppo
spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni di accecamento e di
ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli
nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge
morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza
la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina.
1741
Liberazione e salvezza. Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la salvezza
di tutti gli uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù.
“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” ( Gal 5,1 ). In lui
abbiamo comunione con “la verità” che ci fa “liberi” ( Gv 8,32 ). Ci è
stato donato lo Spirito Santo e, come insegna l'Apostolo, “dove c'è lo
Spirito del Signore c'è libertà” ( 2Cor 3,17 ). Fin d'ora ci gloriamo della
“libertà. .. dei figli di Dio” ( Rm 8,21 ).
1742
Libertà e grazia. La grazia di Cristo non si pone affatto in concorrenza con la
nostra libertà, quando questa è in sintonia con il senso della verità e del
bene che Dio ha messo nel cuore dell'uomo. Al contrario, e l'esperienza
cristiana lo testimonia specialmente nella preghiera, quanto più siamo docili
agli impulsi della grazia, tanto più cresce la nostra libertà interiore e la
sicurezza nelle prove come pure di fronte alle pressioni e alle costrizioni del
mondo esterno. Con l'azione della grazia, lo Spirito Santo ci educa alla libertà
spirituale per fare di noi dei liberi collaboratori della sua opera nella Chiesa
e nel mondo:
Dio
grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di Te,
perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci
liberamente al tuo servizio [Messale Romano, colletta della trentaduesima
domenica].
1743
Dio “lasciò” l'uomo “in balia del suo proprio volere” ( Sir 15,14 ),
perché potesse aderire al suo Creatore liberamente e così giungere alla beata
perfezione [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 17].
1744
La libertà è il potere di agire o di non agire e di porre così da se stessi
azioni libere. Essa raggiunge la perfezione del suo atto quando è ordinata a
Dio, Bene supremo.
1745
La libertà caratterizza gli atti propriamente umani. Rende l'essere umano
responsabile delle azioni che volontariamente compie. Il suo agire libero gli
appartiene in proprio.
1746
L'imputabilità e la responsabilità di una azione può essere sminuita o
annullata dall'ignoranza, dalla violenza, dal timore e da altri fattori psichici
o sociali.
1747
Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità
dell'uomo, particolarmente in campo religioso e morale. Ma l'esercizio della
libertà non implica il supposto diritto di dire e di fare qualsiasi cosa.
1748
“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” ( Gal 5,1 ).
LA
MORALITA' DEGLI ATTI UMANI
1749
La libertà fa dell'uomo un soggetto morale. Quando agisce liberamente, l'uomo
è, per così dire, il padre dei propri atti. Gli atti umani, cioè gli atti
liberamente scelti in base ad un giudizio di coscienza, sono moralmente
qualificabili. Essi sono buoni o cattivi.
I.
Le fonti della moralità
1750
La moralità degli atti umani dipende:
-
dall'oggetto scelto;
-
dal fine che ci si prefigge o dall'intenzione;
-
dalle circostanze dell'azione.
L'oggetto,
l'intenzione e le circostanze rappresentano le “fonti”, o elementi
costitutivi, della moralità degli atti umani.
1751
L'oggetto scelto è un bene verso il quale la volontà si dirige
deliberatamente. E' la materia di un atto umano. L'oggetto scelto specifica
moralmente l'atto del volere, in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica
conforme o no al vero bene. Le norme oggettive della moralità enunciano
l'ordine razionale del bene e del male, attestato dalla coscienza.
1752
Di fronte all'oggetto, l' intenzione si pone dalla parte del soggetto che
agisce. Per il fatto che sta alla sorgente volontaria dell'azione e la determina
attraverso il fine, l'intenzione è un elemento essenziale per la qualificazione
morale dell'azione. Il fine è il termine primo dell'intenzione e designa lo
scopo perseguito nell'azione. L'intenzione è un movimento della volontà verso
il fine; riguarda il termine dell'agire. E' l'orientamento al bene che ci si
aspetta dall'azione intrapresa. Non si limita ad indirizzare le nostre singole
azioni, ma può ordinare molteplici azioni verso un medesimo scopo; può
orientare l'intera vita verso il fine ultimo. Per esempio, un servizio reso ha
come scopo di aiutare il prossimo, ma, al tempo stesso, può essere ispirato
dall'amore di Dio come fine ultimo di tutte le nostre azioni. Una medesima
azione può anche essere ispirata da diverse intenzioni; così, per esempio, si
può rendere un servizio per procurarsi un favore o per trarne motivo di vanto.
1753
Un'intenzione buona (per esempio, aiutare il prossimo) non rende né buono né
giusto un comportamento in se stesso scorretto (come la menzogna e la
maldicenza). Il fine non giustifica i mezzi. Così, non si può giustificare la
condanna di un innocente come un mezzo legittimo per salvare il popolo. Al
contrario, la presenza di un'intenzione cattiva (quale la vanagloria), rende
cattivo un atto che, in sé, può essere buono [Cf Mt 6,2-4 ].
1754
Le circostanze, ivi comprese le conseguenze, sono gli elementi secondari di un
atto morale. Concorrono ad aggravare oppure a ridurre la bontà o la malizia
morale degli atti umani (per esempio, l'ammontare di una rapina). Esse possono
anche attenuare o aumentare la responsabilità di chi agisce (agire, per
esempio, per paura della morte). Le circostanze, in sé, non possono modificare
la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta
un'azione intrinsecamente cattiva.
II.
Gli atti buoni e gli atti cattivi
1755
L'atto moralmente buono suppone, ad un tempo, la bontà dell'oggetto, del fine e
delle circostanze. Un fine cattivo corrompe l'azione, anche se il suo oggetto,
in sé, è buono (come il pregare e il digiunare “per essere visti dagli
uomini”: Mt 6,5 ).
L'oggetto
della scelta può da solo viziare tutta un'azione. Ci sono dei comportamenti
concreti - come la fornicazione - che è sempre sbagliato scegliere, perché la
loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale.
1756
E' quindi sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando
soltanto l'intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione
sociale, costrizione o necessità di agire, ecc) che ne costituiscono la
cornice. Ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle
circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del
loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è
lecito compiere il male perché ne derivi un bene.
1757
L'oggetto, l'intenzione e le circostanze costituiscono le tre “fonti” della
moralità degli atti umani.
1758
L'oggetto scelto specifica moralmente l'atto del volere, in quanto la ragione lo
riconosce e lo giudica buono o cattivo.
1759
“Non può essere giustificata un'azione cattiva compiuta con una buona
intenzione” [San Tommaso d'Aquino, Collationes in decem praeceptis, 6]. Il
fine non giustifica i mezzi.
1760
L'atto moralmente buono suppone la bontà dell'oggetto, del fine e delle
circostanze.
1761
Vi sono comportamenti concreti che è sempre sbagliato scegliere, perché la
loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale. Non è
lecito compiere il male perché ne derivi un bene.
LA
MORALITA' DELLE PASSIONI
1762
La persona umana si ordina alla beatitudine con i suoi atti liberi: le passioni
o sentimenti che prova possono disporla a ciò e contribuirvi.
I.
Le passioni
1763
Il termine “passioni” appartiene al patrimonio cristiano. Per sentimenti o
passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad
agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o immaginato come buono o
come cattivo.
1764
Le passioni sono componenti naturali dello psichismo umano; fanno da tramite e
assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro
Signore indica il cuore dell'uomo come la sorgente da cui nasce il movimento
delle passioni [Cf Mc 7,21 ].
1765
Le passioni sono molte. Quella fondamentale è l'amore provocato dall'attrattiva
del bene. L'amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di
conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del
bene posseduto. Il timore del male causa l'odio, l'avversione e lo spavento del
male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella
collera che vi si oppone.
1766
“Amare è volere del bene a qualcuno” [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, I-II, 26, 4]. Qualsiasi altro affetto ha la sua sorgente in questo
moto originario del cuore dell'uomo verso il bene. Non si ama che il bene [Cf
Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4]. “Le passioni sono cattive se l'amore è
cattivo, buone se l'amore è buono” [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 7].
II.
Passioni e vita morale
1767
Le passioni, in se stesse, non sono né buone né cattive. Non ricevono
qualificazione morale se non nella misura in cui dipendono effettivamente dalla
ragione e dalla volontà. Le passioni sono dette volontarie “o perché sono
comandate dalla volontà, oppure perché la volontà non vi resiste” [San
Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 24, 1]. E' proprio della perfezione
del bene morale o umano che le passioni siano regolate dalla ragione [Cf ibid.,
I-II, 24, 3].
1768
Non sono i grandi sentimenti a decidere della moralità o della santità delle
persone; essi sono la riserva inesauribile delle immagini e degli affetti nei
quali si esprime la vita morale. Le passioni sono moralmente buone quando
contribuiscono ad un'azione buona; sono cattive nel caso contrario. La volontà
retta ordina al bene e alla beatitudine i moti sensibili che essa assume; la
volontà cattiva cede alle passioni disordinate e le inasprisce. Le emozioni e i
sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei vizi.
1769
Nella vita cristiana, lo Spirito Santo compie la sua opera mobilitando tutto
l'essere, compresi i suoi dolori, i suoi timori e le sue tristezze, come è
evidente nell'Agonia e nella Passione del Signore. In Cristo, i sentimenti umani
possono ricevere la loro perfezione nella carità e nella beatitudine divina.
1770
La perfezione morale consiste nel fatto che l'uomo non sia indotto al bene
soltanto dalla volontà, ma anche dal suo appetito sensibile, secondo queste
parole del Salmo: “Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente” (
Sal 84,3 ).
1771
Il termine “passioni” indica gli affetti o i sentimenti. Attraverso le sue
emozioni, l'uomo ha il presentimento del bene e il sospetto del male.
1772
Le principali passioni sono l'amore e l'odio, il desiderio e il timore, la
gioia, la tristezza e la collera.
1773
Nelle passioni, intese come moti della sensibilità, non c'è né bene né male
morale. Ma nella misura in cui dipendono o no dalla ragione e dalla volontà, c'è
in esse il bene o il male morale.
1774
Le emozioni e i sentimenti possono essere assunti nelle virtù, o pervertiti nei
vizi.
1775
La perfezione del bene morale si ha quando l'uomo non è indotto al bene dalla
sola volontà, ma anche dal suo “cuore”.
LA
COSCIENZA MORALE
1776
“Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi,
ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare
e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle
orecchie del cuore. . . L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al
suo cuore. . . La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo,
dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria”
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16].
I.
Il giudizio della coscienza
1777
Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale [Cf Rm 2,14-16 ] le
ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa
giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando
quelle cattive [Cf Rm 1,32 ]. Attesta l'autorità della verità in riferimento
al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i
comandi. Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire Dio
che parla.
1778
La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona
umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta
compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere di
seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. E' attraverso il giudizio
della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della legge
divina:
La
coscienza è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli
ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. . . la
messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci
parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i
vicari di Cristo [John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5].
1779
L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso al
fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di
interiorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette
in condizione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione:
Ritorna
alla tua coscienza, interrogala. . . Fratelli, rientrate in voi stessi e in
tutto ciò che fate, fissate lo sguardo sul Testimone, Dio [Sant'Agostino, In
epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 8, 9].
1780
La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza
morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità
[sinderesi”], la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un
discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio
riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati
compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è
praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della
coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui scelte sono conformi a tale
giudizio.
1781
La coscienza permette di assumere la responsabilità degli atti compiuti. Se
l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può rimanere in lui
il testimone della verità universale del bene e, al tempo stesso, della malizia
della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di coscienza resta un
pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa, richiama al
perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da coltivare
incessantemente con la grazia di Dio:
Davanti
a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più
grande del nostro cuore e conosce ogni cosa ( 1Gv 3,19-20 ).
1782
L'uomo ha il diritto di agire in coscienza e libertà, per prendere
personalmente le decisioni morali. L'uomo non deve essere costretto “ad agire
contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in
conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” [Conc. Ecum. Vat. II,
Dignitatis humanae, 3].
II.
La formazione della coscienza
1783
La coscienza deve essere educata e il giudizio morale illuminato. Una coscienza
ben formata è retta e veritiera. Essa formula i suoi giudizi seguendo la
ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore.
L'educazione della coscienza è indispensabile per esseri umani esposti a
influenze negative e tentati dal peccato a preferire il loro proprio giudizio e
a rifiutare gli insegnamenti certi.
1784
L'educazione della coscienza è un compito di tutta la vita. Fin dai primi anni
dischiude al bambino la conoscenza e la pratica della legge interiore,
riconosciuta dalla coscienza morale. Un'educazione prudente insegna la virtù;
preserva o guarisce dalla paura, dall'egoismo e dall'orgoglio, dai risentimenti
della colpevolezza e dai moti di compiacenza, che nascono dalla debolezza e
dagli sbagli umani. L'educazione della coscienza garantisce la libertà e genera
la pace del cuore.
1785
Nella formazione della coscienza la Parola di Dio è la luce sul nostro cammino;
la dobbiamo assimilare nella fede e nella preghiera e mettere in pratica.
Dobbiamo anche esaminare la nostra coscienza rapportandoci alla Croce del
Signore. Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati della
testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall'insegnamento certo della
Chiesa [Cf ibid., 14].
III.
Scegliere secondo coscienza
1786
Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un giudizio
retto in accordo con la ragione e con la legge divina, sia, al contrario, un
giudizio erroneo che da esse si discosta.
1787
L'uomo talvolta si trova ad affrontare situazioni che rendono incerto il
giudizio morale e difficile la decisione. Egli deve sempre ricercare ciò che è
giusto e buono e discernere la volontà di Dio espressa nella legge divina.
1788
A tale scopo l'uomo si sforza di interpretare i dati dell'esperienza e i segni
dei tempi con la virtù della prudenza, con i consigli di persone avvedute e con
l'aiuto dello Spirito Santo e dei suoi doni.
1789
Alcune norme valgono in ogni caso:
-
Non è mai consentito fare il male perché ne derivi un bene.
-
La “regola d'oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi,
anche voi fatelo a loro” ( Mt 7,12 ) [Cf Lc 6,31; Tb 4,15 ].
-
La carità passa sempre attraverso il rispetto del prossimo e della sua
coscienza: Parlando “così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza...,
voi peccate contro Cristo” ( 1Cor 8,12 ). “Perciò è bene” astenersi...
da tutto ciò per cui “il tuo fratello possa scandalizzarsi” ( Rm 14,21 ).
IV.
Il giudizio erroneo
1790
L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza.
Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma
accade che la coscienza morale sia nell'ignoranza e dia giudizi erronei su
azioni da compiere o già compiute.
1791
Questa ignoranza spesso è imputabile alla responsabilità personale. Ciò
avviene “quando l'uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e quando
la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16]. In tali casi la persona è colpevole del
male che commette.
1792
All'origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci
la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli
altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della
coscienza, il rifiuto dell'autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la
mancanza di conversione e di carità.
1793
Se - al contrario - l'ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza
responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non
può esserle imputato. Nondimento resta un male, una privazione, un disordine.
E' quindi necessario adoperarsi per correggere la coscienza morale dai suoi
errori.
1794
La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità
“sgorga”, ad un tempo, “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una
fede sincera” ( 1Tm 1,5 ): [Cf 1Tm 3,9; 2Tm 1,3; 1794 1Pt 3,21; At 24,16 ]
Quanto
più prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si
allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive
della moralità [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 16].
1795
“La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si
trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria” [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 16].
1796
La coscienza morale è un giudizio della ragione, con il quale la persona umana
riconosce la qualità morale di un atto concreto.
1797
Per l'uomo che ha commesso il male, la sentenza della propria coscienza rimane
un pegno di conversione e di speranza.
1798
Una coscienza ben formata è retta e veritiera. Formula i suoi giudizi seguendo
la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore.
Ciascuno deve valersi dei mezzi atti a formare la propria coscienza.
1799
Messa di fronte ad una scelta morale, la coscienza può dare sia un retto
giudizio in accordo con la ragione e con la legge divina, sia, all'opposto, un
giudizio erroneo che se ne discosta.
1800
L'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza.
1801
La coscienza morale può rimanere nell'ignoranza o dare giudizi erronei. Tali
ignoranze e tali errori non sempre sono esenti da colpevolezza.
1802
La Parola di Dio è una luce sui nostri passi. La dobbiamo assimilare nella fede
e nella preghiera e mettere in pratica. In tal modo si forma la coscienza
morale.
LE
VIRTU'
1803
“Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che
è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” ( Fil
4,8 ).
La
virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla
persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con
tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso
il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete.
Il
fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio [San Gregorio di
Nissa, Orationes de beatitudinibus, 1: PG 44, 1200D].
I.
Le virtù umane
1804
Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali
dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le
nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse
procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente
buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene.
Le
virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti
moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare
in comunione con l'amore divino.
Distinzione
delle virtù cardinali
1805
Quattro virtù hanno funzione di cardine. Per questo sono dette “cardinali”;
tutte le altre si raggruppano attorno ad esse. Sono: la prudenza, la giustizia,
la fortezza e la temperanza. “Se uno ama la giustizia, le virtù sono il
frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la
giustizia e la fortezza” ( Sap 8,7 ). Sotto altri nomi, queste virtù sono
lodate in molti passi della Scrittura.
1806
La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni
circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo.
L'uomo “accorto controlla i suoi passi” ( Pr 14,15 ). “Siate moderati e
sobri per dedicarvi alla preghiera” ( 1Pt 4,7 ). La prudenza è la “retta
norma dell'azione”, scrive san Tommaso [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, II-II, 47, 2] sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la
timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. E' detta
“auriga virtutum” - cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù
indicando loro regola e misura. E' la prudenza che guida immediatamente il
giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta
seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i
principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene
da compiere e sul male da evitare.
1807
La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di
dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è
chiamata “virtù di religione”. La giustizia verso gli uomini dispone a
rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l'armonia
che promuove l'equità nei confronti delle persone e del bene comune. L'uomo
giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri sacri, si distingue per l'abituale
dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso
il prossimo. “Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze
verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia” ( Lv 19,15 ).
“Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che
anche voi avete un padrone in cielo” ( Col 4,1 ).
1808
La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e
la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle
tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della
fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare
la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al
sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. “Mia forza e mio
canto è il Signore” ( Sal 118,14 ). “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma
abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” ( Gv 16,33 ).
1809
La temperanza è la virtù morale che modera l'attrattiva dei piaceri e rende
capaci di equilibrio nell'uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della
volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. La
persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una
sana discrezione, e non segue il proprio “istinto” e la propria “forza
assecondando i desideri” del proprio “cuore” ( Sir 5,2 ) [Cf Sir 37,27-31
]. La temperanza è spesso lodata nell'Antico Testamento: “Non seguire le
passioni; poni un freno ai tuoi desideri” ( Sir 18,30 ). Nel Nuovo Testamento
è chiamata “moderazione” o “sobrietà”. Noi dobbiamo “vivere con
sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo” ( Tt 2,12 ).
Vivere
bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria
anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore
totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la
fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che
vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere
dall'astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza) [Sant'Agostino, De
moribus ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: PL 32, 1330-1331].
Le
virtù e la grazia
1810
Le virtù umane acquisite mediante l'educazione, mediante atti deliberati e una
perseveranza sempre rinnovata nello sforzo, sono purificate ed elevate dalla
grazia divina. Con l'aiuto di Dio forgiano il carattere e rendono spontanea la
pratica del bene. L'uomo virtuoso è felice di praticare le virtù.
1811
Per l'uomo ferito dal peccato non è facile conservare l'equilibrio morale. Il
dono della salvezza fattoci da Cristo ci dà la grazia necessaria per
perseverare nella ricerca delle virtù. Ciascuno deve sempre implorare questa
grazia di luce e di forza, ricorrere ai sacramenti, cooperare con lo Spirito
Santo, seguire i suoi inviti ad amare il bene e a stare lontano dal male.
II.
Le virtù teologali
1812
Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà
dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina [Cf 2Pt 1,4 ]. Le virtù
teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i
cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine,
causa ed oggetto Dio Uno e Trino.
1813
Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del
cristiano. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali. Sono infuse da
Dio nell'anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e
meritare la vita eterna. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello
Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. Tre sono le virtù teologali: la
fede, la speranza e la carità [Cf 1Cor 13,13 ].
La
fede
1814
La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò
che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da credere,
perché egli è la stessa verità. Con la fede “l'uomo si abbandona tutto a
Dio liberamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 5]. Per questo il credente
cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. “Il giusto vivrà mediante la
fede” ( Rm 1,17 ). La fede viva “opera per mezzo della carità” ( Gal 5,6
).
1815
Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa [Cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1545]. Ma “la fede senza le opere è
morta” ( Gc 2,26 ): se non si accompagna alla speranza e all'amore, la fede
non unisce pienamente il fedele a Cristo e non ne fa un membro vivo del suo
Corpo.
1816
Il discepolo di Cristo non deve soltanto custodire la fede e vivere di essa, ma
anche professarla, darne testimonianza con franchezza e diffonderla: “Devono
tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla
via della Croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42; cf Id. , Dignitatis humanae, 14]. Il
servizio e la testimonianza della fede sono indispensabili per la salvezza:
“Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al
Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini,
anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” ( Mt 10,32-33 ).
La
speranza
1817
La speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il Regno dei cieli e
la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse
di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia
dello Spirito Santo. “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra
speranza, perché è fedele colui che ha promesso”( Eb 10,23 ). Lo Spirito è
stato “effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo,
Salvatore nostro, perché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo eredi,
secondo la speranza, della vita eterna” ( Tt 3,6-7 ).
1818
La virtù della speranza risponde all'aspirazione alla felicità, che Dio ha
posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività
degli uomini; le purifica per ordinarle al Regno dei cieli; salvaguarda dallo
scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore
nell'attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva
dall'egoismo e conduce alla gioia della carità.
1819
La speranza cristiana riprende e porta a pienezza la speranza del popolo eletto,
la quale trova la propria origine ed il proprio modello nella speranza di
Abramo, colmato in Isacco delle promesse di Dio e purificato dalla prova del
sacrificio [Cf Gen 17,4-8; Gen 22,1-18 ]. “Egli ebbe fede sperando contro ogni
speranza e così divenne padre di molti popoli” ( Rm 4,18 ).
1820
La speranza cristiana si sviluppa, fin dagli inizi della predicazione di Gesù,
nell'annuncio delle beatitudini. Le beatitudini elevano la nostra speranza verso
il Cielo come verso la nuova Terra promessa; ne tracciano il cammino attraverso
le prove che attendono i discepoli di Gesù. Ma per i meriti di Gesù Cristo e
della sua Passione, Dio ci custodisce nella “speranza” che “non delude”
( Rm 5,5 ). La speranza è l'“àncora della nostra vita, sicura e salda, la
quale penetra. . . ” là “dove Gesù è entrato per noi come precursore” (
Eb 6,19-20 ). E' altresì un'arma che ci protegge nel combattimento della
salvezza: “Dobbiamo essere. . . rivestiti con la corazza della fede e della
carità, avendo come elmo la speranza della salvezza” ( 1Ts 5,8 ). Essa ci
procura la gioia anche nella prova: “lieti nella speranza, forti nella
tribolazione” ( Rm 12,12 ). Si esprime e si alimenta nella preghiera, in modo
particolarissimo in quella del Pater, sintesi di tutto ciò che la speranza ci
fa desiderare.
1821
Noi possiamo, dunque, sperare la gloria del cielo promessa da Dio a coloro che
lo amano [Cf Rm 8,28-30 ] e fanno la sua volontà [Cf Mt 7,21 ]. In ogni
circostanza ognuno deve sperare, con la grazia di Dio, di perseverare “sino
alla fine” [Cf Mt 10,22; 1821 cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1541] e
ottenere la gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere
compiute con la grazia di Cristo. Nella speranza la Chiesa prega che “tutti
gli uomini siano salvati” ( 1Tm 2,4 ). Essa anela ad essere unita a Cristo,
suo Sposo, nella gloria del cielo:
Spera,
anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia premurosamente,
tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò
che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai,
tanto più proverai l'amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai
con il tuo Diletto, in una felicità ed in un'estasi che mai potranno aver fine
[Santa Teresa di Gesù, Esclamazioni dell'anima a Dio, 15, 3].
La
carità
1822
La carità è la virtù teologale per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per se
stesso, e il nostro prossimo come noi stessi per amore di Dio.
1823
Gesù fa della carità il comandamento nuovo [Cf Gv 13,34 ]. Amando i suoi
“sino alla fine” ( Gv 13,1 ), egli manifesta l'amore che riceve dal Padre.
Amandosi gli uni gli altri, i discepoli imitano l'amore di Gesù, che essi
ricevono a loro volta. Per questo Gesù dice: “Come il Padre ha amato me, così
anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” ( Gv 15,9 ). E ancora: “Questo
è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”
( Gv 15,12 ).
1824
La carità, frutto dello Spirito e pienezza della legge, osserva i comandamenti
di Dio e del suo Cristo: “Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore” ( Gv 15,9-10 ) [Cf Mt 22,40; Rm 13,8-10
].
1825
Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora “nemici” ( Rm
5,10 ). Il Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici , [Cf Mt
5,44 ] di farci il prossimo del più lontano, [Cf Lc 10,27-37 ] di amare i
bambini[Cf Mc 9,37 ] e i poveri come lui stesso [Cf Mt 25,40; 1825 Mt 25,45 ].
L'Apostolo
san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro della carità: “La carità è
paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non
si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non
tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della
verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” ( 1Cor 13,4-7
).
1826
“Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, non sono nulla. . . ”. E
tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino virtù. . . senza la carità,
“niente mi giova” ( 1Cor 13,1-4 ). La carità è superiore a tutte le virtù.
E' la prima delle virtù teologali: “Queste le tre cose che rimangono: la
fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” ( 1Cor
13,13 ).
1827
L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa è il
“vincolo di perfezione” ( Col 3,14 ); è la forma delle virtù; le articola
e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La
carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla
perfezione soprannaturale dell'amore divino.
1828
La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà
spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel
timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio
che corrisponde all'amore di colui che “ci ha amati per primo” ( 1Gv 4,19 ):
O
ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello
schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili
ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che
comanda che noi obbediamo. . . e allora siamo nella disposizione dei figli [San
Basilio di Cesarea, Regulae fusius tractatae, prol. 3: PG 31, 896B].
1829
La carità ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la
generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità,
si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione:
Il
compimento di tutte le nostre opere è l'amore. Qui è il nostro fine; per
questo noi corriamo, verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi
troveremo riposo [Sant'Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos tractatus, 10,
4].
III.
I doni e i frutti dello Spirito Santo
1830
La vita morale dei cristiani è sorretta dai doni dello Spirito Santo. Essi sono
disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le mozioni dello
Spirito Santo.
1831
I sette doni dello Spirito Santo sono la sapienza, l'intelletto, il consiglio,
la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio. Appartengono nella loro
pienezza a Cristo, Figlio di Davide [Cf Is 11,1-2 ]. Essi completano e portano
alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono. Rendono i fedeli docili ad
obbedire con prontezza alle ispirazioni divine.
Il
tuo Spirito buono mi guidi in terra piana ( Sal 143,10 ).
Tutti
quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. . . Se
siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo ( Rm 8,14; Rm
8,17 ).
1832
I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come
primizie della gloria eterna. La Tradizione della Chiesa ne enumera dodici:
“amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benevolenza, mitezza,
fedeltà, modestia, continenza, castità” ( Gal 5,22-23 vulg).
1833
La virtù è una disposizione abituale e ferma a compiere il bene.
1834
Le virtù umane sono disposizioni stabili dell'intelligenza e della volontà,
che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la nostra
condotta in conformità alla ragione e alla fede. Possono essere raggruppate
attorno a quattro virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la
temperanza.
1835
La prudenza dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il
nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo.
1836
La giustizia consiste nella volontà costante e ferma di dare a Dio e al
prossimo ciò che è loro dovuto.
1837
La fortezza assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca
del bene.
1838
La temperanza modera l'attrattiva dei piaceri sensibili e rende capaci di
equilibrio nell'uso dei beni creati.
1839
Le virtù morali crescono per mezzo dell'educazione, di atti deliberati e della
perseveranza nello sforzo. La grazia divina le purifica e le eleva.
1840
Le virtù teologali dispongono i cristiani a vivere in relazione con la
Santissima Trinità. Hanno Dio come origine, motivo e oggetto, Dio conosciuto
mediante la fede, sperato e amato per se stesso.
1841
Tre sono le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità [Cf 1Cor 13,13
]. Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.
1842
Per la fede noi crediamo in Dio e crediamo tutto ciò che egli ci ha rivelato e
che la Santa Chiesa ci propone a credere.
1843
Per la speranza noi desideriamo e aspettiamo da Dio, con ferma fiducia, la vita
eterna e le grazie per meritarla.
1844
Per la carità noi amiamo Dio al di sopra di tutto e il nostro prossimo come noi
stessi per amore di Dio. Essa è “il vincolo di perfezione” ( Col 3,14 ) e
la forma di tutte le virtù.
1845
I sette doni dello Spirito Santo dati ai cristiani sono la sapienza,
l'intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di
Dio.
IL
PECCATO
I.
La misericordia e il peccato
1846
Il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio verso i
peccatori [Cf Lc 15 ]. L'angelo lo annunzia a Giuseppe: “Tu lo chiamerai Gesù:
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” ( Mt 1,21 ). La stessa
cosa si può dire dell'Eucaristia, sacramento della Redenzione: “Questo è il
mio sangue dell'Alleanza, versato per molti in remissione dei peccati” ( Mt
26,28 ).
1847
“Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi”
[Sant'Agostino, Sermones, 169, 11, 13: PL 38, 923].
L'accoglienza
della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre
colpe. “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità
non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci
perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” ( 1Gv 1,8-9 ).
1848
Come afferma san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la
grazia”. La grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato
per convertire il nostro cuore e accordarci “la giustizia per la vita eterna,
per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” ( Rm 5,20-21 ). Come un medico che
esamina la piaga prima di medicarla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito,
getta una viva luce sul peccato:
La
conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio
interiore della coscienza, e questo, essendo una verificadell'azione dell'azione
dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il
nuovo inizio dell'elargizione della grazia e dell'amore: “Ricevete lo Spirito
Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato” scopriamo una
duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della
certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore [Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 31].
II.
La definizione di peccato
1849
Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è
una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a
causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo
e attenta alla solidarietà umana. E' stato definito “una parola, un atto o un
desiderio contrari alla legge eterna” [Sant'Agostino, Contra Faustum
manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 71,
6].
1850
Il peccato è un'offesa a Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato.
Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto” ( Sal 51,6 ). Il peccato si
erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il
primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della
volontà di diventare “come Dio” ( Gen 3,5 ), conoscendo e determinando il
bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di
Dio” [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa esaltazione
di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che
realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9 ].
1851
E' proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il
peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità:
incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo,
vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto
pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia,
proprio nell'ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, [Cf Gv 14,30 ] il
sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà
inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.
III.
La diversità dei peccati
1852
La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La
Lettera ai Galati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito:
“Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni,
fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi
preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di
Dio” ( Gal 5,19-21 ) [Cf Rm 1,28-32; 1Cor 6,9-10; Ef 5,3-5; 1852 Col 3,5-8;
1Tm 1,9-10; 2Tm 3,2-5 ].
1853
I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni
atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per
difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche
suddividere secondo che riguardano Dio, il prossimo o se stessi; si possono
distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di
parola, di azione e di omissio ne. La radice del peccato è nel cuore dell'uomo,
nella sua libera volontà, secondo quel che insegna il Signore: “Dal cuore,
infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le
prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le
cose che rendono immondo l'uomo” ( Mt 15,19-20 ). Il cuore è anche la sede
della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.
IV.
La gravità del peccato: peccato mortale e veniale
1854
E' opportuno valutare i peccati in base alla loro gravità. La distinzione tra
peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella Scrittura, [Cf 1Gv
5,16-17 ] si è imposta nella Tradizione della Chiesa. L'esperienza degli uomini
la convalida.
1855
Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell'uomo a causa di una
violazione grave della legge di Dio; distoglie l'uomo da Dio, che è il suo fine
ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore.
Il
peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la
ferisca.
1856
Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la
carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una
conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della
Riconciliazione:
Quando
la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla
quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha
di che essere mortale... tanto se è contro l'amore di Dio, come la bestemmia,
lo spergiuro ecc., quanto se è contro l'amore del prossimo, come l'omicidio,
l'adulterio, ecc... Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa
che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l'amore di Dio e del
prossimo, è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc., tali peccati
sono veniali [San Tommaso d'Aquino, Summa Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II, 88, 2].
1857
Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: “E'
peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre,
viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso” [Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 17].
1858
La materia grave è precisata dai Dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù
al giovane ricco: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non
dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre” ( Mc 10,19
). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di
un furto. Si deve tener conto anche della qualità delle persone lese: la
violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta
ad un estraneo.
1859
Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena
consapevolezza e totale consenso. Presuppone la conoscenza del carattere
peccaminoso dell'atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre
un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale.
L'ignoranza simulata e la durezza del cuore [Cf Mc 3,5-6; Lc 16,19-31 ] non
diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.
1860
L' ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l'imputabilità di una
colpa grave. Si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale
che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo. Gli impulsi della sensibilità,
le passioni possono ugualmente attenuare il carattere volontario e libero della
colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche. Il peccato
commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave.
1861
Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo
stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della
grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal
pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di Cristo e la
morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare
scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se noi possiamo giudicare che
un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle
persone alla giustizia e alla misericordia di Dio.
1862
Si commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia leggera, non si
osserva la misura prescritta dalla legge morale, oppure quando si disobbedisce
alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza e senza totale
consenso.
1863
Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per
dei beni creati; ostacola i progressi dell'anima nell'esercizio delle virtù e
nella pratica del bene morale; merita pene temporali. Il peccato veniale
deliberato e che sia rimasto senza pentimento, ci dispone poco a poco a
commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato veniale non rompe l'Alleanza
con Dio. E' umanamente riparabile con la grazia di Dio. “Non priva della
grazia santificante, dell'amicizia con Dio, della carità, né quindi della
beatitudine eterna” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et
paenitentia, 17].
L'uomo
non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia
non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni
in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose
leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce riempiono un fiume e
così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia
anzitutto la confessione. . [Sant'Agostino, In epistulam Johannis ad Parthos
tractatus, 1, 6].
1864
“Qualunque peccato o bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia
contro lo Spirito non sarà perdonata” (Mt 12,31). La misericordia di Dio non
conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il
pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo
Spirito Santo [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 46]. Un
tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna.
V.
La proliferazione del peccato
1865
Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il
vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano
la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a
riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla
sua radice.
1866
I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si
oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza
cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno [San
Gregorio Magno, Moralia in Job, 31, 45: PL 76, 621A]. Sono chiamati capitali
perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l'avarizia,
l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.
1867
La tradizione catechistica ricorda pure che esistono “ peccati che gridano
verso il cielo ”. Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; [Cf Gen 4,10 ]
il peccato dei Sodomiti; [Cf Gen 18,20; 1867 Gen 19,13 ] il lamento del popolo
oppresso in Egitto; [Cf Es 3,7-10 ] il lamento del forestiero, della vedova e
dell'orfano; [Cf Es 22,20-22 ] l'ingiustizia verso il salariato [Cf Dt 24,14-15;
Gc 5,4].
1868
Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei
peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo:
-
prendendovi parte direttamente e volontariamente;
-
comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
-
non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
-
proteggendo coloro che commettono il male.
1869
Così il peccato rende gli uomini complici gli uni degli altri e fa regnare tra
di loro la concupiscenza, la violenza e l'ingiustizia. I peccati sono
all'origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla Bontà divina.
Le “strutture di peccato” sono l'espressione e l'effetto dei peccati
personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un
senso analogico esse costituiscono un “peccato sociale” [Cf Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 16].
1870
“Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia”
( Rm 11,32 ).
1871
Il peccato è “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge
eterna” [Sant'Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6]. E' un'offesa a Dio. Si erge contro Dio
in una disobbedienza contraria all'obbedienza di Cristo.
1872
Il peccato è un atto contrario alla ragione. Ferisce la natura dell'uomo ed
attenta alla solidarietà umana.
1873
La radice di tutti i peccati è nel cuore dell'uomo. Le loro specie e la loro
gravità si misurano principalmente in base al loro oggetto.
1874
Scegliere deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa gravemente
contraria alla legge divina e al fine ultimo dell'uomo, è commettere un peccato
mortale. Esso distrugge in noi la carità, senza la quale la beatitudine eterna
è impossibile. Se non ci si pente, conduce alla morte eterna.
1875
Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per mezzo della
carità che tale peccato lascia sussistere in noi.
1876
La ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi, tra i quali si
distinguono i peccati capitali.
PARTE
TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE
PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA
VITA NELLO SPIRITO
CAPITOLO
SECONDO - LA COMUNITA' UMANA
1877
La vocazione dell'umanità è di rendere manifesta l'immagine di Dio e di essere
trasformata ad immagine del Figlio unigenito del Padre. Tale vocazione riveste
una forma personale, poiché ciascuno è chiamato ad entrare nella beatitudine
divina; ma riguarda anche la comunità umana nel suo insieme.
LA
PERSONA E LA SOCIETA'
I.
Il carattere comunitario della vocazione umana
1878
Tutti gli uomini sono chiamati al medesimo fine, Dio stesso. Esiste una certa
somiglianza tra l'unità delle Persone divine e la fraternità che gli uomini
devono instaurare tra loro, nella verità e nella carità [ Cf Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 24]. L'amore del prossimo è inseparabile dall'amore per
Dio.
1879
La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l'uomo
qualcosa di aggiunto, ma un'esigenza della sua natura. Attraverso il rapporto
con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l'uomo
sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione [Cf
ibid., 25].
1880
Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di
unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una
società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire. Grazie ad
essa, ogni uomo è costituito “erede”, riceve dei “talenti” che
arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare [Cf Lc 19,13; Lc
19,15 ]. Giustamente, ciascuno deve dedizione alle comunità di cui fa parte e
rispetto alle autorità incaricate del bene comune.
1881
Ogni comunità si definisce in base al proprio fine e conseguentemente obbedisce
a regole specifiche; però “principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni
sociali è e deve essere la persona umana ” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 25].
1882
Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più
immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo. Sono a lui necessarie. Al fine
di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita
sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni
d'elezione “a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi,
professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul
piano mondiale” [Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra, 60]. Tale
“socializzazione” esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli
esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le
capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il
suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare
i suoi diritti [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25; Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Centesimus annus, 12].
1883
La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo spinto
dello Stato può minacciare la libertà e l'iniziativa personali. La dottrina
della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà. Secondo tale
principio, “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita
interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma
deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua
azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune”
[Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48; cf Pio XI, Lett. enc.
Quadragesimo anno].
1884
Dio non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli
assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo
le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere
imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che
testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la
saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi
come ministri della Provvidenza divina.
1885
Il principio di sussidiarietà si oppone a tutte le forme di collettivismo. Esso
precisa i limiti dell'intervento dello Stato. Mira ad armonizzare i rapporti tra
gli individui e le società. Tende ad instaurare un autentico ordine
internazionale.
II.
La conversione e la società
1886
La società è indispensabile alla realizzazione della vocazione umana. Per
raggiungere questo fine è necessario che sia rispettata la giusta gerarchia dei
valori che “subordini le dimensioni materiali e istintive a quelle interiori e
spirituali”: [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36]
La
convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale:
quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e
adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune
godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente
disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad
una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei
quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le
espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e
i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi
esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi
incessante [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 35].
1887
Lo scambio dei mezzi con i fini, [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus
annus, 41] che porta a dare valore di fine ultimo a ciò che è soltanto un
mezzo per concorrervi, oppure a considerare delle persone come puri mezzi in
vista di un fine, genera strutture ingiuste che “rendono ardua e praticamente
impossibile una condotta cristiana, conforme ai comandamenti del Divino
Legislatore” [Pio XII, discorso del 1 giugno 1941].
1888
Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della persona e
sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per ottenere
cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità
riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone
l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse
provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme
della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo.
1889
Senza l'aiuto della grazia, gli uomini non saprebbero “scorgere il sentiero
spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di
combatterlo, lo aggrava”. E' il cammino della carità, cioè dell'amore di Dio
e del prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa
rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e sola ce
ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: “Chi cercherà di
salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” ( Lc
17,33 ).
1890
Esiste una certa somiglianza tra l'unità delle persone divine e la fraternità
che gli uomini devono instaurare tra loro.
1891
Per svilupparsi in conformità alla propria natura, la persona umana ha bisogno
della vita sociale. Certe società, quali la famiglia e la comunità civica,
sono più immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo.
1892
“Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere
la persona umana” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25].
1893
Si deve incoraggiare una larga partecipazione ad associazioni ed istituzioni
d'elezione.
1894
Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società più
grande devono sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e
dei corpi intermedi.
1895
La società deve agevolare l'esercizio delle virtù, non ostacolarlo. Deve
ispirarla una giusta gerarchia dei valori.
1896
Là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla
conversione dei cuori e alla grazia di Dio. La carità stimola a giuste riforme.
Non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo [Cf Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 3].
LA
PARTECIPAZIONE ALLA VITA SOCIALE
I.
L'autorità
1897
“La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in
essa non è presente un'autorità legittima che assicuri l'ordine e contribuisca
all'attuazione del bene comune in grado sufficiente” [Giovanni XXIII, Lett.
enc. Pacem in terris, 46].
Si
chiama “autorità” il titolo in forza del quale delle persone o delle
istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano
obbedienza da parte loro.
1898
Ogni comunità umana ha bisogno di una autorità che la regga [Cf Leone XIII,
Lett. enc. Immortale Dei; Id., Lett. enc. Diuturnum illud]. Tale autorità trova
il proprio fondamento nella natura umana. E' necessaria all'unità della comunità
civica. Suo compito è quello di assicurare, per quanto possibile, il bene
comune della società.
1899
L'autorità, esigita dall'ordine morale, viene da Dio: “Ciascuno sia
sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e
quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità,
si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno
addosso la condanna” ( Rm 13,1-2 ) [Cf 1Pt 2,13-17 ].
1900
Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all'autorità gli onori che
ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di
gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l'ufficio.
Alla
penna del papa san Clemente di Roma è dovuta la più antica preghiera della
Chiesa per l'autorità politica: [Cf già 1Tm 2,1-2]
O
Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano
esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito. Sei Tu, o
Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini la gloria,
l'onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi Tu, o Signore, le loro decisioni
a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così possano esercitare il
potere, che Tu hai loro conferito, con religiosità, con pace, con clemenza, e
siano degni della tua misericordia [San Clemente di Roma, Epistula ad
Corinthios, 61, 1-2].
1901
Se l'autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, “la determinazione
dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera
decisione dei cittadini” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 74].
La
diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi
concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi la cui
natura è contraria alla legge naturale, all'ordine pubblico e ai fondamentali
diritti delle persone, non possono realizzare il bene comune delle nazioni alle
quali essi si sono imposti.
1902
L'autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale. Non deve
comportarsi dispoticamente, ma operare per il bene comune come una “forza
morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito
assunto”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 74]
La
legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui
si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza
dalla legge eterna. Nella misura in cui si allontanasse dalla ragione, la si
dovrebbe dichiarare ingiusta, perché non realizzerebbe il concetto di legge:
sarebbe piuttosto una forma di violenza [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II, 93, 3, ad 2].
1903
L'autorità è esercitata legittimamente soltanto se ricerca il bene comune del
gruppo considerato e se, per conseguirlo, usa mezzi moralmente leciti. Se accade
che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure contrarie all'ordine
morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le coscienze. “In tal caso,
anzi, chiaramente l'autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso”
[Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 51].
1904
“E' preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre
sfere di competenza, che lo mantengano nel giusto limite. E' questo, il
principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e
non la volontà arbitraria degli uomini” [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Centesimus annus, 44].
II.
Il bene comune
1905
In conformità alla natura sociale dell'uomo, il bene di ciascuno è
necessariamente in rapporto con il bene comune. Questo non può essere definito
che in relazione alla persona umana:
Non
vivete isolati, ripiegandovi su voi stessi, come se già foste confermati nella
giustizia; invece riunitevi insieme, per ricercare ciò che giova al bene di
tutti [Lettera di Barnaba, 4, 10].
1906
Per bene comune si deve intendere “l'insieme di quelle condizioni della vita
sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la
propria perfezione più pienamente e più speditamente” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 26; cf ibid. , 74]. Il bene comune interessa la vita di tutti.
Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da parte di coloro che
esercitano l'ufficio dell'autorità. Esso comporta tre elementi essenziali:
1907
In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome
del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti
fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di
permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In
particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d'esercizio delle libertà
naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali
il diritto “alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria
coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in
campo religioso” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 26].
1908
In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo sviluppo del
gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. Certo,
spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi
interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di
cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute,
lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una
famiglia, ecc [Cf ibid].
1909
Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un
ordine giusto. Suppone quindi che l'autorità garantisca, con mezzi onesti, la
sicurezza della società e quella dei suoi membri. Esso fonda il diritto alla
legittima difesa personale e collettiva.
1910
Se ogni comunità umana possiede un bene comune che le consente di riconoscersi
come tale, è nella comunità politica che si trova la sua realizzazione più
completa. E' compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della
società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi.
1911
I legami di mutua dipendenza tra gli uomini s'intensificano. A poco a poco si
estendono a tutta la terra. L'unità della famiglia umana, la quale riunisce
esseri che godono di una eguale dignità naturale, implica un bene comune
universale. Questo richiede una organizzazione della comunità delle nazioni
capace di “provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della
vita sociale, cui appartengono l'alimentazione, la salute, l'educazione...,
quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e là, come possono
essere... la necessità di soccorrere le angustie dei profughi, o anche di
aiutare gli emigrati e le loro famiglie” [Cf ibid].
1912
Il bene comune è sempre orientato verso il progresso delle persone:
“Nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il
contrario” [Cf ibid]. Tale ordine ha come fondamento la verità, si edifica
nella giustizia, è vivificato dall'amore.
III.
Responsabilità e partecipazione
1913
La partecipazione è l'impegno volontario e generoso della persona negli scambi
sociali. E' necessario che tutti, ciascuno secondo il posto che occupa e il
ruolo che ricopre, partecipino a promuovere il bene comune. Questo dovere è
inerente alla dignità della persona umana.
1914
La partecipazione si realizza innanzitutto con il farsi carico dei settori dei
quali l'uomo si assume la responsabilità personale: attraverso la premura con
cui si dedica all'educazione della propria famiglia, mediante la coscienza con
cui attende al proprio lavoro, egli partecipa al bene altrui e della società
[Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43].
1915
I cittadini, per quanto è possibile, devono prendere parte attiva alla vita
pubblica. Le modalità di tale partecipazione possono variare da un paese
all'altro, da una cultura all'altra. “E' da lodarsi il modo di agire di quelle
nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe della
gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà” [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 31].
1916
La partecipazione di tutti all'attuazione del bene comune implica, come ogni
dovere etico, una conversione incessantemente rinnovata dei partner sociali. La
frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni
della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con
fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia. Ci si deve
occupare del progresso delle istituzioni che servono a migliorare le condizioni
di vita degli uomini [Cf ibid., 30].
1917
Spetta a coloro che sono investiti di autorità consolidare i valori che
attirano la fiducia dei membri del gruppo e li stimolano a mettersi al servizio
dei loro simili. La partecipazione ha inizio dall'educazione e dalla cultura.
“Legittimamente si può pensare che il futuro dell'umanità sia riposto nelle
mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni
di vita e di speranza” [Cf ibid., 30].
1918
“Non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da
Dio” ( Rm 13,1 ).
1919
Ogni comunità umana ha bisogno di un'autorità per conservarsi e svilupparsi.
1920
“La comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella
natura umana e perciò appartengono all'ordine stabilito da Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 74].
1921
L'autorità è esercitata in modo legittimo se si dedica al conseguimento del
bene comune della società. Per raggiungerlo, deve usare mezzi moralmente
accettabili.
1922
La diversità dei regimi politici è legittima, a condizione che essi concorrano
al bene della comunità.
1923
L'autorità politica deve essere esercitata entro i limiti dell'ordine morale e
garantire le condizioni d'esercizio della libertà.
1924
Il bene comune comprende “l'insieme di quelle condizioni della vita sociale
che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria
perfezione più pienamente e più speditamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 74].
1925
Il bene comune comporta tre elementi essenziali: il rispetto e la promozione dei
diritti fondamentali della persona; la prosperità o lo sviluppo dei beni
spirituali e temporali della società; la pace e la sicurezza del gruppo e dei
suoi membri.
1926
La dignità della persona umana implica la ricerca del bene comune. Ciascuno ha
il dovere di adoperarsi per suscitare e sostenere istituzioni che servano a
migliorare le condizioni di vita degli uomini.
1927
E' compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della società
civile. Il bene comune dell'intera famiglia umana richiede una organizzazione
della società internazionale.
LA
GIUSTIZIA SOCIALE
1928
La società assicura la giustizia sociale allorché realizza le condizioni che
consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno
diritto secondo la loro natura e la loro vocazione. La giustizia sociale è
connessa con il bene comune e con l'esercizio dell'autorità.
I.
Il rispetto della persona umana
1929
La giustizia sociale non si può ottenere se non nel rispetto della dignità
trascendente dell'uomo. La persona rappresenta il fine ultimo della società, la
quale è ad essa ordinata:
La
difesa e la promozione della dignità della persona umana ci sono state affidate
dal Creatore; di essa sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini
e le donne in ogni congiuntura della storia [Giovanni Paolo II, Lett. enc.
Sollicitudo rei socialis, 47].
1930
Il rispetto della persona umana implica il rispetto dei diritti che scaturiscono
dalla sua dignità di creatura. Questi diritti sono anteriori alla società e ad
essa si impongono. Essi sono il fondamento della legittimità morale di ogni
autorità: una società che li irrida o rifiuti di riconoscerli nella propria
legislazione positiva, mina la propria legittimità morale [Cf Giovanni XXIII,
Lett. enc. Pacem in terris, 65]. Se manca tale rispetto, un'autorità non può
che appoggiarsi sulla forza o sulla violenza per ottenere l'obbedienza dei
propri sudditi. E' compito della Chiesa richiamare alla memoria degli uomini di
buona volontà questi diritti e distinguerli dalle rivendicazioni abusive o
false.
1931
Il rispetto della persona umana non può assolutamente prescindere dal rispetto
di questo principio: “I singoli” devono “considerare il prossimo, nessuno
eccettuato, come "un altro se stesso", tenendo conto della sua vita e
dei mezzi necessari per viverla degnamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 27]. Nessuna legislazione sarebbe in grado, da se stessa, di dissipare i
timori, i pregiudizi, le tendenze all'orgoglio e all'egoismo, che ostacolano
l'instaurarsi di società veramente fraterne. Simili comportamenti si superano
solo con la carità, la quale vede in ogni uomo un “prossimo”, un fratello.
1932
Il dovere di farsi il prossimo degli altri e di servirli attivamente diventa
ancor più urgente quando costoro sono particolarmente bisognosi, sotto
qualsiasi aspetto. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” ( Mt 25,40 ).
1933
Questo stesso dovere comprende anche coloro che pensano o operano diversamente
da noi. L'insegnamento di Cristo arriva fino a chiedere il perdono delle offese.
Estende il comandamento dell'amore, che è quello della legge nuova, a tutti i
nemici [Cf Mt 5,43-44 ]. La liberazione nello spirito del Vangelo è
incompatibile con l'odio del nemico in quanto persona, ma non con l'odio del
male che egli compie in quanto nemico.
II.
Uguaglianza e differenze tra gli uomini
1934
Tutti gli uomini, creati ad immagine dell'unico Dio e dotati di una medesima
anima razionale, hanno la stessa natura e la stessa origine. Redenti dal
sacrificio di Cristo, tutti sono chiamati a partecipare alla medesima
beatitudine divina: tutti, quindi, godono di una eguale dignità.
1935
L'uguaglianza tra gli uomini poggia essenzialmente sulla loro dignità personale
e sui diritti che ne derivano:
Ogni
genere di discriminazione nei diritti fondamentali della persona. . . in ragione
del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale, della lingua o
religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio
[Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 29].
1936
L'uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario allo
sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli altri. Si
notano differenze legate all'età, alle capacità fisiche, alle attitudini
intellettuali o morali, agli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla
distribuzione delle ricchezze [Cf ibid]. I “talenti” non sono distribuiti in
misura eguale [Cf Mt 25,14-30; 1936 Lc 19,11-27 ].
1937
Tali differenze rientrano nel piano di Dio, il quale vuole che ciascuno riceva
dagli altri ciò di cui ha bisogno, e che coloro che hanno “talenti”
particolari ne comunichino i benefici a coloro che ne hanno bisogno. Le
differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla
benevolenza e alla condivisione; spingono le culture a mutui arricchimenti:
Io
distribuisco le virtù tanto differentemente, che non do tutto ad ognuno, ma a
chi l'una a chi l'altra ... A chi darò principalmente la carità, a chi la
giustizia, a chi l'umiltà, a chi una fede viva... E così ho dato molti doni e
grazie di virtù, spirituali e temporali, con tale diversità, che non tutto ho
comunicato ad una sola persona, affinché voi foste costretti ad usare carità
l'uno con l'altro... Io volli che l'uno avesse bisogno dell'altro e tutti
fossero miei ministri nel dispensare le grazie e i doni da me ricevuti [Santa
Caterina da Siena, Dialoghi, 1, 7].
1938
Esistono anche delle disuguaglianze inique che colpiscono milioni di uomini e di
donne. Esse sono in aperto contrasto con il Vangelo:
L'eguale
dignità delle persone richiede che si giunga ad una condizione più umana e
giusta della vita. Infatti le troppe disuguaglianze economiche e sociali, tra
membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono
contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità della persona
umana, nonché alla pace sociale ed internazionale [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium
et spes, 29].
III.
La solidarietà umana
1939
Il principio di solidarietà, designato pure con il nome di “amicizia” o di
“carità sociale”, è una esigenza diretta della fraternità umana e
cristiana: [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 38-40;
Id., Lett. enc. Centesimus annus, 10] un errore
oggi
largamente diffuso, è la dimenticanza della legge della solidarietà umana e
della carità, legge dettata e imposta tanto dalla comunità di origine e
dall'uguaglianza della natura ragionevole, propria di tutti gli uomini, a
qualsiasi popolo appartengano, quanto dal sacrificio offerto da Gesù Cristo
sull'altare della croce, al Padre suo celeste, in favore dell'umanità
peccatrice [Pio XII, Lett. enc. Summi pontificatus].
1940
La solidarietà si esprime innanzitutto nella ripartizione dei beni e nella
remunerazione del lavoro. Suppone anche l'impegno per un ordine sociale più
giusto, nel quale le tensioni potrebbero essere meglio riassorbite e i conflitti
troverebbero più facilmente la loro soluzione negoziata.
1941
I problemi socio-economici non possono essere risolti che mediante il concorso
di tutte le forme di solidarietà: solidarietà dei poveri tra loro, dei ricchi
e dei poveri, dei lavoratori tra loro, degli imprenditori e dei dipendenti
nell'impresa, solidarietà tra le nazioni e tra i popoli. La solidarietà
internazionale è un'esigenza di ordine morale. La pace del mondo dipende in
parte da essa.
1942
La virtù della solidarietà oltrepassa l'ambito dei beni materiali. Diffondendo
i beni spirituali della fede, la Chiesa ha, per di più, favorito lo sviluppo
del benessere temporale, al quale spesso ha aperto vie nuove. Così, nel corso
dei secoli, si è realizzata la parola del Signore: “Cercate prima il Regno di
Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” ( Mt
6,33 ):
Da
duemila anni, vive e vigoreggia nell'anima della Chiesa quel sentimento che ha
spinto ed ancora spinge fino all'eroismo della carità i monaci agricoltori, i
liberatori degli schiavi, coloro che curano gli ammalati, coloro che portano il
messaggio della fede, della civiltà, della cultura a tutte le generazioni e a
tutti i popoli, al fine di creare condizioni sociali tali da rendere possibile
per tutti una vita degna dell'uomo e del cristiano [Pio XII, discorso del 1
giugno 1941].
1943
La società assicura la giustizia sociale realizzando le condizioni che
permettono alle associazioni e agli individui di ottenere ciò a cui hanno
diritto.
1944
Il rispetto della persona umana conduce a considerare l'altro come “un altro
se stesso”. Esso comporta il rispetto dei diritti fondamentali che derivano
dall'intrinseca dignità della persona.
1945
L'uguaglianza tra gli uomini si fonda sulla loro dignità personale e sui
diritti che da essa derivano.
1946
Le differenze tra le persone rientrano nel disegno di Dio, il quale vuole che
noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. Esse devono spronare alla carità.
1947
L'eguale dignità delle persone umane richiede l'impegno per ridurre le
disuguaglianze sociali ed economiche eccessive. Essa spinge ad eliminare le
disuguaglianze inique.
1948
La solidarietà è una virtù eminentemente cristiana. Essa attua la
condivisione dei beni spirituali ancor più che di quelli materiali.
PARTE
TERZA - LA VITA IN CRISTO
SEZIONE
PRIMA - LA VOCAZIONE DELL'UOMO: LA
VITA NELLO SPIRITO
CAPITOLO
TERZO - LA SALVEZZA DI DIO: LA
LEGGE E LA GRAZIA
1949
Chiamato alla beatitudine, ma ferito dal peccato, l'uomo ha bisogno della
salvezza di Dio. L'aiuto divino gli viene dato in Cristo, per mezzo della legge
che lo dirige e nella grazia che lo sostiene:
Attendete
alla vostra salvezza con timore e tremore. E' Dio infatti che suscita in voi il
volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni ( Fil 2,12-13 ).
LA
LEGGE MORALE
1950
La legge morale è opera della Sapienza divina. La si può definire, in senso
biblico, come un insegnamento paterno, una pedagogia di Dio. Prescrive all'uomo
le vie, le norme di condotta che conducono alla beatitudine promessa; vieta le
strade del male, che allontanano da Dio e dal suo amore. Essa è ad un tempo
severa nei suoi precetti e soave nelle sue promesse.
1951
La legge è una regola di comportamento emanata dall'autorità competente in
vista del bene comune. La legge morale suppone l'ordine razionale stabilito tra
le creature, per il loro bene e in vista del loro fine, dalla potenza, dalla
sapienza, dalla bontà del Creatore. Ogni legge trova nella legge eterna la sua
prima e ultima verità. La legge è dichiarata e stabilita dalla ragione come
una partecipazione alla Provvidenza del Dio vivente Creatore e Redentore di
tutti. “L'ordinamento della ragione, ecco ciò che si chiama la legge”
[Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum; citazione da San Tommaso d'Aquino,
Summa theologiae, I-II, 90, 1].
L'uomo
è il solo tra tutti gli esseri animati che possa gloriarsi d'essere stato degno
di ricevere una legge da Dio; animale dotato di ragione, capace di comprendere e
di discernere, egli regolerà la propria condotta valendosi della sua libertà e
della sua ragione, nella docile obbedienza a colui che tutto gli ha affidato
[Tertulliano, Adversus Marcionem, 2, 4].
1952
Le espressioni della legge morale sono diverse, e sono tutte coordinate tra
loro: la legge eterna, fonte, in Dio, di tutte le leggi; la legge naturale; la
legge rivelata, che comprende la Legge antica e la Legge nuova o evangelica;
infine le leggi civili ed ecclesiastiche.
1953
La legge morale trova in Cristo la sua pienezza e la sua unità. Gesù Cristo in
persona è la via della perfezione. E' il termine della Legge, perché egli solo
insegna e dà la giustizia di Dio: “Il termine della Legge è Cristo, perché
sia data la giustizia a chiunque crede” ( Rm 10,4 ).
I.
La legge morale naturale
1954
L'uomo partecipa alla sapienza e alla bontà del Creatore, che gli conferisce la
padronanza dei suoi atti e la capacità di dirigersi verso la verità e il bene.
La legge naturale esprime il senso morale originale che permette all'uomo di
discernere, per mezzo della ragione, quello che sono il bene e il male, la verità
e la menzogna:
La
legge naturale è iscritta e scolpita nell'anima di tutti i singoli uomini; essa
infatti è la ragione umana che impone di agire bene e proibisce il peccato. . .
Questa prescrizione dell'umana ragione, però, non sarebbe in grado di avere
forza di legge, se non fosse la voce e l'interprete di una ragione più alta,
alla quale il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi
[Leone XIII, Lett. enc. Libertas praestantissimum].
1955
La legge “divina e naturale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 89]
mostra all'uomo la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il proprio
fine. La legge naturale indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita
morale. Ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di
ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a se stesso. Nei suoi
precetti principali essa è esposta nel Decalogo. Questa legge è chiamata
naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la
ragione che la promulga è propria della natura umana:
Dove
dunque sono iscritte queste regole, se non nel libro di quella luce che si
chiama verità? Di qui, dunque, è dettata ogni legge giusta e si trasferisce
retta nel cuore dell'uomo che opera la giustizia, non emigrando in lui, ma quasi
imprimendosi in lui, come l'immagine passa dall'anello nella cera, ma senza
abbandonare l'anello [Sant'Agostino, De Trinitate, 14, 15, 21].
La
legge naturale altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio.
Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare.
Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione [San Tommaso d'Aquino,
Collationes in decem praeceptis, 1].
1956
Presente nel cuore di ogni uomo e stabilita dalla ragione, la legge naturale è
universale nei suoi precetti e la sua autorità si estende a tutti gli uomini.
Esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti e dei suoi
doveri fondamentali:
Certamente
esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si
trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al
dovere, i suoi divieti trattengono dall'errore. . . E' un delitto sostituirla
con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione;
nessuno poi ha la possibilità di abrogarla completamente [Cicerone, La
repubblica, 3, 22, 33].
1957
L'applicazione della legge naturale si diversifica molto; può richiedere un
adattamento alla molteplicità delle condizioni di vita, secondo i luoghi, le
epoche e le circostanze. Tuttavia, nella diversità delle culture, la legge
naturale resta come una regola che lega gli uomini tra loro e ad essi impone, al
di là delle inevitabili differenze, principi comuni.
1958
La legge naturale è immutabile [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 10] e
permane inalterata attraverso i mutamenti della storia; rimane sotto l'evolversi
delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso. Le norme che la esprimono
restano sostanzialmente valide. Anche se si arriva a negare i suoi principi, non
la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge
nella vita degli individui e delle società:
La
tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nel
cuore degli uomini, legge che nemmeno la loro malvagità può cancellare
[Sant'Agostino, Confessiones, 2, 4, 9].
1959
Opera molto buona del Creatore, la legge naturale fornisce i solidi fondamenti
sui quali l'uomo può costruire l'edificio delle regole morali che guideranno le
sue scelte. Essa pone anche il fondamento morale indispensabile per edificare la
comunità degli uomini. Procura infine il fondamento necessario alla legge
civile, la quale ad essa si riallaccia sia con una riflessione che trae le
conseguenze dai principi della legge naturale, sia con aggiunte di natura
positiva e giuridica.
1960
I precetti della legge naturale non sono percepiti da tutti con chiarezza ed
immediatezza. Nell'attuale situazione, la grazia e la rivelazione sono
necessarie all'uomo peccatore perché le verità religiose e morali possano
essere conosciute “da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza
alcuna mescolanza di errore” [Pio XII, Lett. enc. Humani
generis: Denz. -Schönm., 3876]. La legge
naturale offre alla Legge rivelata e alla grazia un fondamento preparato da Dio
e in piena armonia con l'opera dello Spirito.
II.
La Legge antica
1961
Dio, nostro Creatore e nostro Redentore, si è scelto Israele come suo popolo e
gli ha rivelato la sua Legge, preparando in tal modo la venuta di Cristo. La
Legge di Mosè esprime molte verità che sono naturalmente accessibili alla
ragione. Queste si trovano affermate ed autenticate all'interno dell'Alleanza
della Salvezza.
1962
La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue prescrizioni
morali sono riassunte nei Dieci comandamenti. I precetti del Decalogo pongono i
fondamenti della vocazione dell'uomo, creato ad immagine di Dio; vietano ciò
che è contrario all'amore di Dio e del prossimo, e prescrivono ciò che gli è
essenziale. Il Decalogo è una luce offerta alla coscienza di ogni uomo per
manifestargli la chiamata e le vie di Dio, e difenderlo contro il male:
Dio
ha scritto sulle tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere
nei loro cuori [Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 57, 1].
1963
Secondo la tradizione cristiana, la Legge santa, [Cf Rm 7,12 ] spirituale [Cf Rm
7,14 ] e buona, [Cf Rm 7,16 ] è ancora imperfetta. Come un pedagogo [Cf Gal
3,24 ] essa indica ciò che si deve fare, ma da sé non dà la forza, la grazia
dello Spirito per osservarla. A causa del peccato che non può togliere, essa
rimane una legge di schiavitù. Secondo san Paolo, essa ha particolarmente la
funzione di denunciare e di manifestare il peccato che nel cuore dell'uomo forma
una “legge di concupiscenza” [Cf Rm 7 ]. Tuttavia la Legge rimane la prima
tappa sul cammino del Regno. Essa prepara e dispone il popolo eletto e ogni
cristiano alla conversione e alla fede nel Dio Salvatore. Dà un insegnamento
che rimane per sempre, come Parola di Dio.
1964
La Legge antica è una preparazione al Vangelo. “La Legge è profezia e
pedagogia delle realtà future” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4,
15, 1]. Essa profetizza e presagisce l'opera della liberazione dal peccato che
si compirà con Cristo, ed offre al Nuovo Testamento le immagini, i “tipi”,
i simboli per esprimere la vita secondo lo Spirito. La Legge infine viene
completata dall'insegnamento dei libri sapienziali e dei profeti, che la
orientano verso la Nuova Alleanza e il Regno dei cieli.
Ci
furono. . ., nel regime dell'Antico Testamento, anime ripiene di carità e della
grazia dello Spirito Santo, le quali aspettavano soprattutto il compimento delle
promesse spirituali ed eterne. Sotto tale aspetto, costoro appartenevano alla
nuova legge. Al contrario, anche nel Nuovo Testamento ci sono uomini carnali,
che ancora non hanno raggiunto la perfezione della nuova legge, e che bisogna
indurre alle azioni virtuose con la paura del castigo o con la promessa di beni
temporali. Però, la Legge antica, anche se dava i precetti della carità, non
era in grado di offrire la grazia dello Spirito Santo, in virtù del quale
“l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori” ( Rm 5,5 ) [San Tommaso
d'Aquino, Summa theologiae, I-II, 107, 1, ad 2].
III.
La nuova Legge o Legge evangelica
1965
La nuova Legge o Legge evangelica è la perfezione quaggiù della legge divina,
naturale e rivelata. E' opera di Cristo e trova la sua espressione
particolarmente nel Discorso della montagna; è anche opera dello Spirito Santo
e, per mezzo di lui, diventa la legge interiore della carità: “Io stipulerò
con la casa d'Israele. . . un'alleanza nuova. . . Porrò le mie leggi nella loro
mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio
popolo” ( Eb 8,8; Eb 8,10 ) [Cf Ger 31,31-34 ].
1966
La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo, data ai fedeli in virtù della
fede in Cristo. Essa opera mediante la carità, si serve del Discorso del
Signore sulla montagna per insegnarci ciò che si deve fare, e dei sacramenti
per comunicarci la grazia di farlo:
Chi
vorrà meditare con pietà e perspicacia il Discorso che nostro Signore ha
pronunciato sulla montagna, così come lo si legge nel Vangelo di San Matteo,
indubbiamente vi troverà la “magna carta” della vita cristiana. . . Questo
Discorso infatti comprende tutte le norme peculiari della esistenza cristiana
[Sant'Agostino, De sermone Domini in monte, 1, 1: PL 34, 1229-1231].
1967
La Legge evangelica “dà compimento” [Cf Mt 5,17-19 ] alla Legge antica, la
purifica, la supera e la porta alla perfezione. Nelle “beatitudini” essa
compie le promesse divine, elevandole ed ordinandole al “Regno dei cieli”.
Si rivolge a coloro che sono disposti ad accogliere con fede questa speranza
nuova: i poveri, gli umili, gli afflitti, i puri di cuore, i perseguitati a
causa di Cristo, tracciando in tal modo le sorprendenti vie del Regno.
1968
La Legge evangelica dà compimento ai comandamenti della Legge. Il Discorso del
Signore sulla montagna, lungi dall'abolire o dal togliere valore alle
prescrizioni morali della Legge antica, ne svela le virtualità nascoste e ne fa
scaturire nuove esigenze: ne mette in luce tutta la verità divina e umana. Esso
non aggiunge nuovi precetti esteriori, ma arriva a riformare la radice delle
azioni, il cuore, là dove l'uomo sceglie tra il puro e l'impuro, [Cf Mt
15,18-19 ] dove si sviluppano la fede, la speranza e la carità e, con queste,
le altre virtù. Così il Vangelo porta la legge alla sua pienezza mediante
l'imitazione della perfezione del Padre celeste, [Cf Mt 5,48 ] il perdono dei
nemici e la preghiera per i persecutori, sull'esempio della magnanimità divina
[Cf Mt 5,44 ].
1969
La Legge nuova pratica gli atti della religione: l'elemosina, la preghiera e il
digiuno, ordinandoli al “Padre che vede nel segreto”, in opposizione al
desiderio di “essere visti dagli uomini” [Cf Mt 6,1-6; 1969 Mt 16-18 ]. La
sua preghiera è il “Padre nostro” [Cf Mt 6,9-13 ].
1970
La Legge evangelica implica la scelta decisiva tra “le due vie” [Cf Mt
7,13-14 ] e il mettere in pratica le parole del Signore; [Cf Mt 7,21-27 ] essa
si riassume nella “regola d'oro”: “Tutto quanto volete che gli uomini
facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i
Profeti” ( Mt 7,12 ) [Cf Lc 6,31 ].
Tutta
la Legge evangelica è racchiusa nel “ comandamento nuovo ” di Gesù ( Gv
13,34 ), di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati [Cf Gv 15,12 ].
1971
Al Discorso del Signore sulla montagna è opportuno aggiungere la catechesi
morale degli insegnamenti apostolici [Cf Rm 12-15; 1Cor 12-13; 1971 Col 3-4; Ef
4-5; ecc]. Questa dottrina trasmette l'insegnamento del Signore con l'autorità
degli Apostoli, particolarmente attraverso l'esposizione delle virtù che
derivano dalla fede in Cristo e che sono animate dalla carità, il principale
dono dello Spirito Santo. “La carità non abbia finzioni. . . Amatevi gli uni
gli altri con affetto fraterno. . . Siate lieti nella speranza, forti nella
tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei
fratelli, premurosi nell'ospitalità” ( Rm 12,9-13 ). Questa catechesi ci
insegna anche a considerare i casi di coscienza alla luce del nostro rapporto
con Cristo e con la Chiesa [Cf Rm 14; 1971 1Cor 5-10 ].
1972
La Legge nuova è chiamata una legge d'amore, perché fa agire in virtù
dell'amore che lo Spirito Santo infonde, più che sotto la spinta del timore;
una legge di grazia, perché, per mezzo della fede e dei sacramenti, conferisce
la forza della grazia per agire; una legge di libertà , [Cf Gc 1,25; Gc 2,12 ]
perché ci libera dalle osservanze rituali e giuridiche della Legge antica, ci
porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della carità, ed infine ci fa
passare dalla condizione del servo “che non sa quello che fa il suo padrone”
a quella di amico di Cristo “perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho
fatto conoscere a voi” ( Gv 15,15 ), o ancora alla condizione di figlio erede
[Cf Gal 4,1-7; 1973 Gal 4,21-31; Rm 8,15 ].
1973
Oltre ai suoi precetti, la Legge nuova comprende anche i consigli evangelici. La
distinzione tradizionale tra i comandamenti di Dio e i consigli evangelici si
stabilisce in rapporto alla carità, perfezione della vita cristiana. I precetti
mirano a rimuovere ciò che è incompatibile con la carità. I consigli si
prefiggono di rimuovere ciò che, pur senza contrastare con la carità, può
rappresentare un ostacolo per il suo sviluppo [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, II-II, 184, 3].
1974
I consigli evangelici esprimono la pienezza vivente della carità, sempre
insoddisfatta di non dare di più. Testimoniano il suo slancio e sollecitano la
nostra prontezza spirituale. La perfezione della Legge nuova consiste
essenzialmente nei comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo. I consigli
indicano vie più dirette, mezzi più spediti e vanno praticati in conformità
alla vocazione di ciascuno:
Dio
non vuole che tutti osservino tutti i consigli, ma soltanto quelli appropriati,
secondo la diversità delle persone, dei tempi, delle occasioni e delle forze,
stando a quanto richiede la carità; perché è lei che, come regina di tutte le
virtù, di tutti i comandamenti, di tutti i consigli, in una parola, di tutta la
legge e di tutte le azioni cristiane, assegna a tutti e a tutte il posto,
l'ordine, il tempo, il valore [San Francesco di Sales, Trattato sull'amor di
Dio, 8, 6].
1975
Secondo la Scrittura, la legge è un'istruzione paterna di Dio, che prescrive
all'uomo le vie che conducono alla beatitudine promessa e vieta le strade del
male.
1976
“La legge è un comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da
chi è incaricato di una comunità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II, 90, 4].
1977
Cristo è il termine della legge ; [Cf Rm 10,4 ] egli solo insegna e dà la
giustizia di Dio.
1978
La legge naturale è una partecipazione alla sapienza e alla bontà di Dio, da
parte dell'uomo, plasmato ad immagine del suo Creatore. Essa esprime la dignità
della persona umana e costituisce il fondamento dei suoi diritti e dei suoi
doveri fondamentali.
1979
La legge naturale è immutabile e permane inalterata attraverso la storia. Le
norme che ne sono l'espressione restano sostanzialmente valide. E' un fondamento
necessario all'ordinamento delle regole morali e alla legge civile.
1980
La Legge antica è il primo stadio della Legge rivelata. Le sue prescrizioni
morali sono riassunte nei Dieci comandamenti.
1981
La Legge di Mosè comprende molte verità naturalmente accessibili alla ragione.
Dio le ha rivelate perché gli uomini non riuscivano a leggerle nel loro cuore.
1982
La Legge antica è una preparazione al Vangelo.
1983
La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo ricevuta mediante la fede in
Cristo, che opera attraverso la carità. Trova la sua principale espressione nel
Discorso del Signore sulla montagna e si serve dei sacramenti per comunicarci la
grazia.
1984
La Legge evangelica dà compimento, supera e porta alla perfezione la Legge
antica: le sue promesse attraverso le beatitudini del Regno dei cieli e i suoi
comandamenti attraverso la trasformazione della radice delle azioni, il cuore.
1985
La Legge nuova è una legge d'amore, una legge di grazia, una legge di libertà.
1986
Oltre ai precetti, la Legge nuova comprende i consigli evangelici. “La santità
della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli di cui il
Signore nel Vangelo propone l'osservanza ai suoi discepoli” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42].
GRAZIA
E GIUSTIFICAZIONE
I.
La giustificazione
1987
La grazia dello Spirito Santo ha il potere di giustificarci, cioè di mondarci
dai nostri peccati e di comunicarci la “giustizia di Dio per mezzo della fede
in Gesù Cristo” ( Rm 3,22 ) e mediante il Battesimo: [Cf Rm 6,3-4 ]
Se
siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo
risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per
quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora
invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi
morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù ( Rm 6,8-11 ).
1988
Per mezzo della potenza dello Spirito Santo, noi prendiamo parte alla Passione
di Cristo morendo al peccato, e alla sua Risurrezione nascendo a una vita nuova;
siamo le membra del suo Corpo che è la Chiesa, [Cf 1Cor 12 ] i tralci innestati
sulla Vite che è lui stesso: [Cf Gv 15,1-4 ]
Per
mezzo dello Spirito, tutti noi siamo detti partecipi di Dio. . . Entriamo a far
parte della natura divina mediante la partecipazione allo Spirito . . . Ecco
perché lo Spirito divinizza coloro nei quali si fa presente [Sant'Atanasio di
Alessandria, Epistulae ad Serapionem, 1, 24: PG 26, 585B].
1989
La prima opera della grazia dello Spirito Santo è la conversione, che opera la
giustificazione, secondo l'annuncio di Gesù all'inizio del Vangelo:
“Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino” ( Mt 4,17 ). Sotto la
mozione della grazia, l'uomo si volge verso Dio e si allontana dal peccato,
accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto. “La giustificazione. .
. non è una semplice remissione dei peccati, ma anche santificazione e
rinnovamento dell'uomo interiore” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1528].
1990
La giustificazione separa l'uomo dal peccato che si oppone all'amore di Dio, e
purifica dal peccato il suo cuore. La giustificazione fa seguito alla iniziativa
della misericordia di Dio che offre il perdono. Riconcilia l'uomo con Dio.
Libera dalla schiavitù del peccato e guarisce.
1991
La giustificazione è, al tempo stesso, l' accoglienza della giustizia di Dio
per mezzo della fede in Gesù Cristo. Qui la giustizia designa la rettitudine
dell'amore divino. Insieme con la giustificazione, vengono infuse nei nostri
cuori la fede, la speranza e la carità, e ci è accordata l'obbedienza alla
volontà divina.
1992
La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo, che si è
offerto sulla croce come ostia vivente, santa e gradita a Dio, e il cui sangue
è diventato strumento di propiziazione per i peccati di tutti gli uomini. La
giustificazione è accordata mediante il Battesimo, sacramento della fede. Essa
ci conforma alla giustizia di Dio, il quale ci rende interiormente giusti con la
potenza della sua misericordia. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo, e il
dono della vita eterna: [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1529]
Ora,
indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio,
testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in
Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: tutti hanno
peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per
la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha
prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel
suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata
verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua
giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in
Gesù ( Rm 3,21-26 ).
1993
La giustificazione stabilisce la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà
dell'uomo. Dalla parte dell'uomo essa si esprime nell'assenso della fede alla
Parola di Dio che lo chiama alla conversione, e nella cooperazione della carità
alla mozione dello Spirito Santo, che lo previene e lo custodisce:
Dio
tocca il cuore dell'uomo con l'illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né
l'uomo resterà assolutamente inerte subendo quell'ispirazione, che certo può
anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, potrà
prepararsi alla giustizia dinanzi a Dio [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1529].
1994
La giustificazione è l' opera più eccellente dell'amore di Dio, manifestato in
Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo. Sant'Agostino ritiene che
“la giustificazione dell'empio è un'opera più grande della creazione del
cielo e della terra”, perché “il cielo e la terra passeranno, mentre la
salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai” [Sant'Agostino,
In Evangelium Johannis tractatus, 72, 3]. Pensa anche che la giustificazione dei
peccatori supera la stessa creazione degli angeli nella giustizia, perché
manifesta una più grande misericordia.
1995
Lo Spirito Santo è il maestro interiore. Dando vita all'“uomo interiore” (
Rm 7,22; Ef 3,16 ), la giustificazione implica la santificazione di tutto
l'essere:
Come
avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro
dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia
per la vostra santificazione. . . Ora, liberati dal peccato e fatti servi di
Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino
avete la vita eterna ( Rm 6,19; Rm 6,22 ).
II.
La grazia
1996
La nostra giustificazione viene dalla grazia di Dio. La grazia è il favore, il
soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare
figli di Dio, [Cf Gv 1,12-18 ] figli adottivi, [Cf Rm 8,14-17 ] partecipi della
natura divina, [Cf 2Pt 1,3-4 ] della vita eterna [Cf Gv 17,3 ].
1997
La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce nell'intimità
della vita trinitaria. Mediante il Battesimo il cristiano partecipa alla grazia
di Cristo, Capo del suo Corpo. Come “figlio adottivo”, egli può ora
chiamare Dio “Padre”, in unione con il Figlio unigenito. Riceve la vita
dello Spirito che infonde in lui la carità e forma la Chiesa.
1998
Questa vocazione alla vita eterna è soprannaturale. Dipende interamente
dall'iniziativa gratuita di Dio, poiché egli solo può rivelarsi e donare se
stesso. Supera le capacità dell'intelligenza e le forze della volontà
dell'uomo, come di ogni creatura [Cf 1Cor 2,7-9 ].
1999
La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa
nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla.
E' la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo. Essa è in noi
la sorgente dell'opera di santificazione: [Cf Gv 4,14; Gv 7,38-39 ]
Quindi
se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco
ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati
con sé mediante Cristo. ( 2Cor 5,17-18 )
2000
La grazia santificante è un dono abituale, una disposizione stabile e
soprannaturale che perfeziona l'anima stessa per renderla capace di vivere con
Dio, di agire per amor suo. Si distingueranno la grazia abituale, disposizione
permanente a vivere e ad agire secondo la chiamata divina, e le grazie attuali
che designano gli interventi divini sia all'inizio della conversione, sia nel
corso dell'opera di santificazione.
2001
La preparazione dell'uomo ad accogliere la grazia è già un'opera della grazia.
Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla
giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio
porta a compimento in noi quello che ha incominciato: “Egli infatti incomincia
facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a
compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita”
[Sant'Agostino, De gratia et libero arbitrio, 17: PL 44, 901].
Operiamo
certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con
la sua misericordia. Ci previene però per guarirci e anche ci seguirà perché
da santi diventiamo pure vigorosi, ci previene per chiamarci e ci seguirà per
glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo
con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla [Id.,
De natura et gratia, 31: PL 44, 264].
2002
La libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell'uomo; infatti Dio
ha creato l'uomo a propria immagine, dandogli, con la libertà, il potere di
conoscerlo e di amarlo. L'anima può entrare solo liberamente nella comunione
dell'amore. Dio tocca immediatamente e muove direttamente il cuore dell'uomo.
Egli ha posto nell'uomo un'aspirazione alla verità e al bene che soltanto lui
può soddisfare. Le promesse della “vita eterna” rispondono, al di là di
ogni speranza, a tale aspirazione:
Il
riposo che prendesti al settimo giorno, dopo aver compiuto le tue opere molto
buone. . ., è una predizione che ci fa l'oracolo del tuo Libro: noi pure,
compiute le nostre opere buone assai, certamente per tuo dono, nel sabato della
vita eterna riposeremo in Te [Id., Confessiones, 13, 36, 51].
2003
La grazia è innanzitutto e principalmente il dono dello Spirito che ci
giustifica e ci santifica. Ma la grazia comprende anche i doni che lo Spirito ci
concede per associarci alla sua opera, per renderci capaci di cooperare alla
salvezza degli altri e alla crescita del Corpo di Cristo, la Chiesa. Sono le
grazie sacramentali, doni propri ai diversi sacramenti. Sono inoltre le grazie
speciali chiamate anche “ carismi ” con il termine greco usato da san Paolo,
che significa favore, dono gratuito, beneficio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 12]. Qualunque
sia la loro natura a volte straordinaria, come il dono dei miracoli o delle
lingue, i carismi sono ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il
bene comune della Chiesa. Sono al servizio della carità che edifica la Chiesa [Cf
1Cor 12 ].
2004
Tra le grazie speciali, è opportuno ricordare le grazie di stato che
accompagnano l'esercizio delle responsabilità della vita cristiana e dei
ministeri in seno alla Chiesa:
Abbiamo
pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono
della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero
attenda al ministero; chi l'insegnamento all'insegnamento; chi l'esortazione
all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con
diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia ( Rm 12,6-8 ).
2005
Appartenendo all'ordine soprannaturale, la grazia sfugge alla nostra esperienza
e solo con la fede può essere conosciuta. Pertanto non possiamo basarci sui
nostri sentimenti o sulle nostre opere per dedurne che siamo giustificati e
salvati [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1533-1534]. Tuttavia, secondo
la parola del Signore: “Dai loro frutti li potrete riconoscere” ( Mt 7,20 ),
la considerazione dei benefici di Dio nella nostra vita e nella vita dei santi,
ci offre una garanzia che la grazia sta operando in noi e ci sprona ad una fede
sempre più grande e ad un atteggiamento di povertà fiduciosa.
Si
trova una delle più belle dimostrazioni di tale disposizione d'animo nella
risposta di santa Giovanna d'Arco ad una domanda subdola dei suoi giudici
ecclesiastici: “Interrogata se sappia d'essere nella grazia di Dio, risponde:
"Se non vi sono, Dio mi vuole mettere; se vi sono, Dio mi vuole custodire
in essa"” [Santa Giovanna d'Arco, in Actes du procès].
III.
Il merito
Nella
festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria, e il loro trionfo celebra i
doni della tua misericordia [Messale Romano, Prefazio dei santi I, che cita
Sant'Agostino il “dottore della grazia”, cf Enarratio in Psalmos, 102, 7].
2006
Il termine “merito” indica, in generale, la retribuzione dovuta da una
comunità o da una società per l'azione di uno dei suoi membri riconosciuta
come buona o cattiva, meritevole di ricompensa o di punizione. Il merito è
relativo alla virtù della giustizia in conformità al principio
dell'eguaglianza che ne è la norma.
2007
Nei confronti di Dio, in senso strettamente giuridico, non c'è merito da parte
dell'uomo. Tra lui e noi la disuguaglianza è smisurata, poiché noi abbiamo
ricevuto tutto da lui, nostro Creatore.
2008
Il merito dell'uomo presso Dio nella vita cristiana deriva dal fatto che Dio ha
liberamente disposto di associare l'uomo all'opera della sua grazia. L'azione
paterna di Dio precede con la sua ispirazione, mentre il libero agire dell'uomo
viene dopo nella sua collaborazione, così che i meriti delle opere buone devono
essere attribuiti innanzitutto alla grazia di Dio, poi al fedele. Il merito
dell'uomo torna, peraltro, anch'esso a Dio, dal momento che le sue buone azioni
hanno la loro origine, in Cristo, dalle ispirazioni e dagli aiuti dello Spirito
Santo.
2009
L'adozione filiale, rendendoci partecipi per grazia della natura divina, può
conferirci, in conseguenza della giustizia gratuita di Dio, un vero merito. E'
questo un diritto derivante dalla grazia, il pieno diritto dell'amore, che ci fa
“coeredi” di Cristo e degni di conseguire l'“eredità promessa della vita
eterna” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1546]. I meriti delle nostre
opere buone sono doni della bontà divina [Cf ibid., 1548]. “Prima veniva
elargita la grazia, ora viene reso il dovuto. . . sono proprio doni suoi i tuoi
meriti” [Sant'Agostino, Sermones, 298, 4-5: PL 38, 1367].
2010
Poiché nell'ordine della grazia l'iniziativa appartiene a Dio, nessuno può
meritare la grazia prima, quella che sta all'origine della conversione, del
perdono e della giustificazione. Sotto la mozione dello Spirito Santo e della
carità, possiamo in seguito meritare per noi stessi e per gli altri le grazie
utili per la nostra santificazione, per l'aumento della grazia e della carità,
come pure per il conseguimento della vita eterna. Gli stessi beni temporali,
quali la salute e l'amicizia, possono essere meritati seguendo la sapienza di
Dio. Tutte queste grazie e questi beni sono oggetto della preghiera cristiana.
Essa provvede al nostro bisogno della grazia per le azioni meritorie.
2011
La carità di Cristo è in noi la sorgente di tutti i nostri meriti davanti a
Dio. La grazia, unendoci a Cristo con un amore attivo, assicura il carattere
soprannaturale dei nostri atti e, di conseguenza, il loro merito davanti a Dio e
davanti agli uomini. I santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i
loro meriti erano pura grazia.
Dopo
l'esilio della terra, spero di gioire fruitivamente di Te nella Patria; ma non
voglio accumulare meriti per il Cielo: voglio spendermi per il tuo solo Amore. .
. Alla sera di questa vita comparirò davanti a Te con le mani vuote; infatti
non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre
giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della
tua Giustizia e ricevere dal tuo Amore l'eterno possesso di Te stesso. . [Santa
Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all'Amore misericordioso].
IV.
La santità cristiana
2012
“Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. . . Poiché
quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere
conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti
fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha
chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche
glorificati” ( Rm 8,28-30 ).
2013
“Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della
vita cristiana e alla perfezione della carità” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 40]. Tutti
sono chiamati alla santità: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste” ( Mt 5,48 ):
Per
raggiungere questa perfezione, i fedeli usino le forze ricevute secondo la
misura del dono di Cristo, affinché. . . , in tutto obbedienti alla volontà
del Padre, con tutto il loro animo si consacrino alla gloria di Dio e al
servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà apportando
frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato, nella storia della Chiesa,
dalla vita di tanti santi [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 40].
2014
Il progresso spirituale tende all'unione sempre più intima con Cristo. Questa
unione si chiama “mistica”, perché partecipa al mistero di Cristo mediante
i sacramenti - “i santi misteri” - e, in lui, al mistero della Santissima
Trinità. Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto
ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita
mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti.
2015
Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c'è santità senza
rinuncia e senza combattimento spirituale [Cf 2Tm 4 ]. Il progresso spirituale
comporta l'ascesi e la mortificazione, che gradatamente conducono a vivere nella
pace e nella gioia delle beatitudini:
Colui
che sale non cessa mai di andare di inizio in inizio; non si è mai finito di
incominciare. Mai colui che sale cessa di desiderare ciò che già conosce [San
Gregorio di Nissa, Homiliae in Canticum, 8: PG 44, 941C].
2016
I figli della Santa Chiesa nostra madre sperano giustamente la grazia della
perseveranza finale e la ricompensa di Dio loro Padre per le buone opere
compiute con la sua grazia, in comunione con Gesù [ Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1576]. Osservando la medesima regola di vita, i credenti condividono
“la beata speranza” di coloro che la misericordia divina riunisce nella
“città santa, la nuova Gerusalemme” che scende “dal cielo, da Dio, come
una sposa adorna per il suo Sposo” ( Ap 21,2 ).
2017
La grazia dello Spirito Santo ci conferisce la giustizia di Dio. Unendoci
mediante la fede e il Battesimo alla Passione e alla Risurrezione di Cristo, lo
Spirito ci rende partecipi della sua vita.
2018
La giustificazione, non diversamente dalla conversione, presenta due aspetti.
Sotto la mozione della grazia, l'uomo si volge verso Dio e si allontana dal
peccato, accogliendo così il perdono e la giustizia dall'Alto.
2019
La giustificazione comporta la remissione dei peccati, la santificazione e il
rinnovamento dell'uomo interiore.
2020
La giustificazione ci è stata meritata dalla Passione di Cristo. Ci è
accordata attraverso il Battesimo. Ci conforma alla giustizia di Dio, il quale
ci rende giusti. Ha come fine la gloria di Dio e di Cristo e il dono della vita
eterna. E' l'opera più eccellente della misericordia di Dio.
2021
La grazia è l'aiuto che Dio ci dà perché rispondiamo alla nostra vocazione di
diventare suoi figli adottivi. Essa ci introduce nell'intimità della vita
trinitaria.
2022
L'iniziativa divina nell'opera della grazia previene, prepara e suscita la
libera risposta dell'uomo. La grazia risponde alle profonde aspirazioni della
libertà umana; la invita a cooperare con essa e la perfeziona.
2023
La grazia santificante è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa
dallo Spirito Santo nella nostra anima per guarirla dal peccato e santificarla.
2024
La grazia santificante ci rende “graditi a Dio”. I “carismi”, grazie
speciali dello Spirito Santo, sono ordinati alla grazia santificante e hanno
come fine il bene comune della Chiesa. Dio agisce anche mediante molteplici
grazie attuali, che si distinguono dalla grazia abituale, permanente in noi.
2025
Non c'è per noi merito davanti a Dio se non come conseguenza del libero disegno
di Dio di associare l'uomo all'opera della sua grazia. Il merito in primo luogo
è da ascrivere alla grazia di Dio, in secondo luogo alla collaborazione
dell'uomo. Il merito dell'uomo spetta anch'esso a Dio.
2026
La grazia dello Spirito Santo, in virtù della nostra filiazione adottiva, può
conferirci un vero merito in conseguenza della giustizia gratuita di Dio. La
carità è in noi la principale sorgente del merito davanti a Dio.
2027
Nessuno può meritare la grazia prima, che sta all'origine della conversione.
Sotto la mozione dello Spirito Santo, possiamo meritare per noi stessi e per gli
altri tutte le grazie utili per giungere alla vita eterna, come pure i beni
materiali necessari.
2028
“Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della
vita cristiana e alla perfezione della carità” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 40]. “La
perfezione cristiana non ha che un limite: quello di non averne alcuno” [San
Gregorio di Nissa, De vita Mosis: PG 44, 300D].
2029
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce
e mi segua”. ( Mt 16,24 )
LA
CHIESA, MADRE E MAESTRA
2030
E' nella Chiesa, in comunione con tutti i battezzati, che il cristiano realizza
la propria vocazione. Dalla Chiesa accoglie la Parola di Dio che contiene gli
insegnamenti della “legge di Cristo” ( Gal 6,2 ). Dalla Chiesa riceve la
grazia dei sacramenti che lo sostengono lungo la “via”. Dalla Chiesa
apprende l' esempio della santità ; ne riconosce il modello e la sorgente nella
Santissima Vergine Maria; la riconosce nella testimonianza autentica di coloro
che la vivono; la scopre nella tradizione spirituale e nella lunga storia dei
santi che l'hanno preceduto e che la Liturgia celebra seguendo il Santorale.
2031
La vita morale è un culto spirituale . Noi offriamo i nostri “corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” ( Rm 12,1 ), in seno al Corpo di
Cristo, che noi formiamo, e in comunione con l'offerta della sua Eucaristia.
Nella Liturgia e nella celebrazione dei sacramenti, preghiera ed insegnamento si
uniscono alla grazia di Cristo, per illuminare e nutrire l'agire cristiano. Come
l'insieme della vita cristiana, la vita morale trova la propria fonte e il
proprio culmine nel sacrificio eucaristico.
I.
Vita morale e Magistero della Chiesa
2032
La Chiesa, “colonna e sostegno della verità” ( 1Tm 3,15 ), “ha ricevuto
dagli Apostoli il solenne comandamento di Cristo di annunziare la verità della
salvezza” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 17]. “E' compito
della Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine
sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in
quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle
anime” [Codice di Diritto Canonico, 747].
2033
Il Magistero dei pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si
esercita nella catechesi e nella predicazione, con l'aiuto delle opere dei
teologi e degli autori spirituali. In tal modo, di generazione in generazione,
sotto la guida e la vigilanza dei pastori, si è trasmesso il “deposito”
della morale cristiana, composto da un insieme caratteristico di norme, di
comandamenti e di virtù che derivano dalla fede in Cristo e che sono vivificati
dalla carità. Tale catechesi ha tradizionalmente preso come base, accanto al
Credo e al Pater, il Decalogo, che enuncia i principi della vita morale validi
per tutti gli uomini.
2034
Il romano pontefice e i vescovi “sono i dottori autentici, cioè rivestiti
dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da
credere e da applicare nella pratica della vita” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25]. Il
Magistero ordinario e universale del Papa e dei vescovi in comunione con lui
insegna ai fedeli la verità da credere, la carità da praticare, la beatitudine
da sperare.
2035
Il grado più alto nella partecipazione all'autorità di Cristo è assicurato
dal carisma dell' infallibilità. Essa “si estende tanto quanto il deposito
della divina Rivelazione”; [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25] essa si
estende anche a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i
quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o
osservate [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Mysterium Ecclesiae, 3, AAS 65 (1973), 396-408].
2036
L'autorità del Magistero si estende anche ai precetti specifici della legge
naturale, perché la loro osservanza, chiesta dal Creatore, è necessaria alla
salvezza. Richiamando le prescrizioni della legge naturale, il Magistero della
Chiesa esercita una parte essenziale della sua funzione profetica di annunziare
agli uomini ciò che essi sono in verità e di ricordare loro ciò che devono
essere davanti a Dio [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Dignitatis humanae, 14].
2037
La legge di Dio, affidata alla Chiesa, è insegnata ai fedeli come cammino di
vita e di verità. I fedeli hanno, quindi, il diritto [Cf Codice di Diritto
Canonico, 213] di essere istruiti intorno ai precetti divini salvifici, i quali
purificano il giudizio e, mediante la grazia, guariscono la ragione umana
ferita. Hanno il dovere di osservare le costituzioni e i decreti emanati dalla
legittima autorità della Chiesa. Anche se sono disciplinari, tali deliberazioni
richiedono la docilità nella carità.
2038
Nell'opera di insegnamento e di applicazione della morale cristiana, la Chiesa
ha bisogno della dedizione dei pastori, della scienza dei teologi, del
contributo di tutti i cristiani e degli uomini di buona volontà. Attraverso la
fede e la pratica del Vangelo i singoli fanno un'esperienza della “vita in
Cristo”, che li illumina e li rende capaci di discernere le realtà divine e
umane secondo lo Spirito di Dio [Cf 1Cor 2,10-15 ]. Così lo Spirito Santo può
servirsi dei più umili per illuminare i sapienti e i più eminenti in dignità.
2039
I ministeri vanno esercitati in uno spirito di servizio fraterno e di dedizione
alla Chiesa, in nome del Signore [Cf Rm 12,8; Rm 12,11 ]. Al tempo stesso la
coscienza di ognuno, nel suo giudizio morale sui propri atti personali, deve
evitare di rimanere chiusa entro i limiti di una considerazione individuale.
Come meglio può, deve aprirsi alla considerazione del bene di tutti, quale è
espresso nella legge morale, naturale e rivelata, e conseguentemente nella legge
della Chiesa e nell'insegnamento autorizzato del Magistero sulle questioni
morali. Non è opportuno opporre la coscienza personale e la ragione alla legge
morale o al Magistero della Chiesa.
2040
In tal modo può svilupparsi tra i cristiani un vero spirito filiale nei
confronti della Chiesa. Esso è il normale sviluppo della grazia battesimale,
che ci ha generati nel seno della Chiesa e ci ha resi membri del Corpo di
Cristo. La Chiesa, nella sua sollecitudine materna, ci accorda la misericordia
di Dio, che trionfa su tutti i nostri peccati e agisce soprattutto nel
sacramento della Riconciliazione. Come una madre premurosa, attraverso la sua
Liturgia, giorno dopo giorno, ci elargisce anche il nutrimento della Parola e
dell'Eucaristia del Signore.
II.
I precetti della Chiesa
2041
I precetti della Chiesa si collocano in questa linea di una vita morale che si
aggancia alla vita liturgica e di essa si nutre. Il carattere obbligatorio di
tali leggi positive promulgate dalle autorità pastorali, ha come fine di
garantire ai fedeli il minimo necessario nello spirito di preghiera e
nell'impegno morale, nella crescita dell'amore di Dio e del prossimo:
2042
Il primo precetto (“Partecipa alla Messa la domenica e le altre feste
comandate e rimani libero dalle occupazioni del lavoro”) esige dai che
santifichino il giorno in cui si ricorda la Risurrezione del Signore e le
particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore e le
particolari festività liturgiche in onore dei misteri del Signore, della beata
Vergine Maria e dei Santi, in primo luogo partecipando alla celebrazione
eucaristica in cui si riunisce la Comunità cristiana, e che riposino da quei
lavori e da quelle attività che potrebbero impedire una tale santificazione di
questi giorni [Cf Codice di Diritto Canonico, 1246-1248; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 881, 1. 2. 4].
Il
secondo precetto (“Confessa i tuoi peccati almeno una volta all'anno”)
assicura la preparazione all'Eucaristia attraverso la recezione del sacramento
della Riconciliazione, che continua l'opera di conversione e di perdono del
Battesimo [Cf Codice di Diritto Canonico, 989; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 719].
Il
terzo precetto (“Ricevi il sacramento dell'Eucaristia almeno a Pasqua”)
garantisce un minimo in ordine alla recezione del Corpo e del Sangue del Signore
in collegamento con le feste pasquali, origine e centro della Liturgia cristiana
[Cf Codice di Diritto Canonico, 920; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium,
708; 881, 3. [Cf Codice di Diritto Canonico, 1246; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 881, 1. 4; 880, 3].
2043
Il quarto precetto (“In giorni stabiliti dalla Chiesa astieniti dal mangiare
carne e osserva il digiuno”) assicura i tempi di ascesi e di penitenza, che ci
preparano alle feste liturgiche e a farci acquisire il dominio sui nostri
istinti e la libertà di cuore [ ].
Il
quinto precetto (“Sovvieni alle necessità della Chiesa”) enuncia che i
fedeli sono tenuti a venire incontro alle necessità materiali della Chiesa,
ciascuno secondo le proprie possibilità [ Cf Codice di Diritto Canonico, 222;
Codice dei canoni delle Chiese Orientali, 25. Le Conferenze Episcopali possono
inoltre stabilire altri precetti ecclesiastici per il proprio territorio; Cf
Codice di Diritto Canonico, 455].
III.
Vita morale e testimonianza missionaria
2044
La fedeltà dei battezzati è una condizione fondamentale per l'annunzio del
Vangelo e per la missione della Chiesa nel mondo. Il messaggio della salvezza,
per manifestare davanti agli uomini la sua forza di verità e di irradiamento,
deve essere autenticato dalla testimonianza di vita dei cristiani. “La
testimonianza della vita cristiana e le opere buone compiute con spirito
soprannaturale hanno la forza di attirare gli uomini alla fede e a Dio” [Conc.
Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 6].
2045
Poiché sono le membra del Corpo di cui Cristo è il Capo, [Cf Ef 1,22 ] i
cristiani contribuiscono alla edificazione della Chiesa con la saldezza delle
loro convinzioni e dei loro costumi. La Chiesa cresce, si sviluppa e si espande
mediante la santità dei suoi fedeli, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
39] “finché arriviamo tutti. . . allo stato di uomo perfetto, nella misura
che conviene alla piena maturità di Cristo” ( Ef 4,13 ).
2046
Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del Regno di
Dio, del “Regno di verità... di giustizia... e di pace” [Messale Romano,
Prefazio di Cristo Re]. Non per questo trascurano i loro impegni terreni; fedeli
al loro Maestro, ad essi attendono con rettitudine, pazienza e amore.
2047
La vita morale è un culto spirituale. L'agire cristiano trova il proprio
nutrimento nella Liturgia e nella celebrazione dei sacramenti.
2048
I precetti della Chiesa riguardano la vita morale e cristiana, che è sempre
unita alla Liturgia, della quale si nutre.
2049
Il Magistero dei pastori della Chiesa in materia morale ordinariamente si
esercita nella catechesi e nella predicazione, sulla base del Decalogo, il quale
enuncia i principi della vita morale validi per tutti gli uomini.
2050
Il romano pontefice e i vescovi, quali maestri autentici, predicano al Popolo di
Dio la fede che deve essere creduta e applicata nei costumi. E' anche di loro
competenza pronunciarsi sulle questioni morali che hanno attinenza con la legge
naturale e la ragione.