IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Parte seconda - sezione seconda
Torna all'indice del Catechismo
PARTE
SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE
SECONDA - “I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA”
CAPITOLO
SECONDO - I SACRAMENTI DI
GUARIGIONE.
1420
Attraverso i sacramenti dell'iniziazione cristiana, l'uomo riceve la vita nuova
di Cristo. Ora, questa vita, noi la portiamo “in vasi di creta” ( 2Cor 4,7
). Adesso è ancora “nascosta con Cristo in Dio” ( Col 3,3 ). Noi siamo
ancora nella “nostra abitazione sulla terra” ( 2Cor 5,1 ), sottomessa alla
sofferenza, alla malattia e alla morte. Questa vita nuova di figlio di Dio può
essere indebolita e persino perduta a causa del peccato.
1421
Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che
ha rimesso i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo, [Cf Mc
2,1-12 ] ha voluto che la sua Chiesa continui, nella forza dello Spirito Santo,
la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra. E' lo
scopo dei due sacramenti di guarigione: del sacramento della Penitenza e
dell'Unzione degli infermi.
IL
SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE
1422
“Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla
misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si
riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e
che coopera alla loro conversione con la carità, l'esempio e la preghiera” [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
I.
Come viene chiamato questo sacramento?
1423
E' chiamato sacramento della conversione poiché realizza sacramentalmente
l'appello di Gesù alla conversione, [Cf Mc 1,15 ] il cammino di ritorno al
Padre [Cf Lc 15,18 ] da cui ci si è allontanati con il peccato.
E'
chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed
ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano
peccatore.
1424
E' chiamato sacramento della confessione poiché l'accusa, la confessione dei
peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In
un senso profondo esso è anche una “confessione”, riconoscimento e lode
della santità di Dio e della sua misericordia verso l'uomo peccatore.
E'
chiamato sacramento del perdono poiché, attraverso l'assoluzione sacramentale
del sacerdote, Dio accorda al penitente “il perdono e la pace” [Rituale
romano, Rito della penitenza, formula dell'assoluzione]. E' chiamato sacramento
della Riconciliazione perché dona al peccatore l'amore di Dio che riconcilia:
“Lasciatevi riconciliare con Dio” ( 2Cor 5,20 ). Colui che vive dell'amore
misericordioso di Dio è pronto a rispondere all'invito del Signore: “Va'
prima a riconciliarti con il tuo fratello” ( Mt 5,24 ).
II.
Perché un sacramento della riconciliazione
dopo
il Battesimo?
1425
“Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel
nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!” ( 1Cor 6,11 ).
Bisogna rendersi conto della grandezza del dono di Dio, che ci è fatto nei
sacramenti dell'iniziazione cristiana, per capire fino a che punto il peccato è
cosa non ammessa per colui che si è “rivestito di Cristo” ( Gal 3,27 ).
L'Apostolo san Giovanni però afferma anche: “Se diciamo che siamo senza
peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” ( 1Gv 1,8 ). E il
Signore stesso ci ha insegnato a pregare: “Perdonaci i nostri peccati” ( Lc
11,4 ), legando il mutuo perdono delle nostre offese al perdono che Dio accorderà
alle nostre colpe.
1426
La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello Spirito
Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci hanno resi
“santi e immacolati al suo cospetto” ( Ef 1,4 ), come la Chiesa stessa,
sposa di Cristo, è “santa e immacolata” ( Ef 5,27 ) davanti a lui.
Tuttavia, la vita nuova ricevuta nell'iniziazione cristiana non ha soppresso la
fragilità e la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato che
la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati perché
sostengano le loro prove nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla
grazia di Cristo [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1515]. Si tratta del
combattimento della conversione in vista della santità e della vita eterna alla
quale il Signore non cessa di chiamarci [Cf ibid., 1545; Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 40].
III.
La conversione dei battezzati
1427
Gesù chiama alla conversione. Questo appello è una componente essenziale
dell'annuncio del Regno: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è ormai
vicino; convertitevi e credete al Vangelo” ( Mc 1,15 ). Nella predicazione
della Chiesa questo invito si rivolge dapprima a quanti non conoscono ancora
Cristo e il suo Vangelo. Il Battesimo è quindi il luogo principale della prima
e fondamentale conversione. E' mediante la fede nella Buona Novella e mediante
il Battesimo [Cf At 2,38 ] che si rinuncia al male e si acquista la salvezza,
cioè la remissione di tutti i peccati e il dono della vita nuova.
1428
Ora, l'appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei
cristiani. Questa seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa
che “comprende nel suo seno i peccatori” e che, “santa insieme e sempre
bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo
rinnovamento” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 8]. Questo sforzo
di conversione non è soltanto un'opera umana. E' il dinamismo del “cuore
contrito” ( Sal 51,19 ) attirato e mosso dalla grazia [Cf Gv 6,44; Gv 12,32 ]
a rispondere all'amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo [Cf 1Gv
4,10 ].
1429
Lo testimonia la conversione di san Pietro dopo il triplice rinnegamento del suo
Maestro. Lo sguardo d'infinita misericordia di Gesù provoca le lacrime del
pentimento ( Lc 22,61 ) e, dopo la Risurrezione del Signore, la triplice
confessione del suo amore per lui [Cf Gv 21,15-17 ]. La seconda conversione ha
pure una dimensione comunitaria. Ciò appare nell'appello del Signore ad
un'intera Chiesa: “Ravvediti!” ( Ap 2,5; 1429 Ap 2,16 ).
A
proposito delle due conversioni sant'Ambrogio dice che, nella Chiesa, “ci sono
l'acqua e le lacrime: l'acqua del Battesimo e le lacrime della Penitenza”
[Sant'Ambrogio, Epistulae, 41, 12: PL 16, 1116B].
IV.
La penitenza interiore
1430
Come già nei profeti, l'appello di Gesù alla conversione e alla penitenza non
riguarda anzitutto opere esteriori, “il sacco e la cenere”, i digiuni e le
mortificazioni, ma la conversione del cuore, la penitenza interiore. Senza di
essa, le opere di penitenza rimangono sterili e menzognere; la conversione
interiore spinge invece all'espressione di questo atteggiamento in segni
visibili, gesti e opere di penitenza [Cf Gl 2,12-13; Is 1,16-17; Mt 6,1-6; 1430
Mt 6,16-18 ].
1431
La penitenza interiore è un radicale riorientamento di tutta la vita, un
ritorno, una conversione a Dio con tutto il cuore, una rottura con il peccato,
un'avversione per il male, insieme con la riprovazione nei confronti delle
cattive azioni che abbiamo commesse. Nello stesso tempo, essa comporta il
desiderio e la risoluzione di cambiare vita con la speranza della misericordia
di Dio e la fiducia nell'aiuto della sua grazia. Questa conversione del cuore è
accompagnata da un dolore e da una tristezza salutari, che i Padri hanno
chiamato “ animi cruciatus [afflizione dello spirito]”, “compunctio cordis
[contrizione del cuore]” [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1676-1678;
1705; Catechismo Romano, 2, 5, 4].
1432
Il cuore dell'uomo è pesante e indurito. Bisogna che Dio dia all'uomo un cuore
nuovo [Cf Ez 36,26-27 ]. La conversione è anzitutto un'opera della grazia di
Dio che fa ritornare a lui i nostri cuori: “Facci ritornare a te, Signore, e
noi ritorneremo” ( Lam 5,21 ). Dio ci dona la forza di ricominciare. E'
scoprendo la grandezza dell'amore di Dio che il nostro cuore viene scosso
dall'orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il
peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a
colui che è stato trafitto dai nostri peccati [Cf Gv 19,37; 1432 Zc 12,10 ].
Teniamo
fisso lo sguardo sul sangue di Cristo, e consideriamo quanto sia prezioso per
Dio suo Padre; infatti, sparso per la nostra salvezza, offrì al mondo intero la
grazia della conversione [San Clemente di Roma, Epistula ad Corinthios, 7, 4].
1433
Dopo la Pasqua, è lo Spirito Santo che convince “il mondo quanto al
peccato” ( Gv 16,8-9 ), cioè al fatto che il mondo non ha creduto in colui
che il Padre ha inviato. Ma questo stesso Spirito, che svela il peccato, è il
Consolatore [Cf Gv 15,26 ] che dona al cuore dell'uomo la grazia del pentimento
e della conversione [Cf At 2,36-38; cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 27-48].
V.
Le molteplici forme della penitenza
nella
vita cristiana
1434
La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La
Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la
preghiera, l'elemosina , [Cf Tb 12,8; Mt 6,1-18 ] che esprimono la conversione
in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. Accanto
alla purificazione radicale operata dal Battesimo o dal martirio, essi indicano,
come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, gli sforzi compiuti per
riconciliarsi con il prossimo, le lacrime di penitenza, la preoccupazione per la
salvezza del prossimo, [Cf Gc 5,20 ] l'intercessione dei santi e la pratica
della carità che “copre una moltitudine di peccati” ( 1Pt 4,8 ).
1435
La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di
riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la
difesa della giustizia e del diritto, [Cf Am 5,24; 1435 Is 1,17 ] attraverso la
confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di
vita, l'esame di coscienza, la direzione spirituale, l'accettazione delle
sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere
la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della
penitenza [Cf Lc 9,23 ].
1436
Eucaristia e Penitenza. La conversione e la penitenza quotidiane trovano la loro
sorgente e il loro alimento nell'Eucaristia, poiché in essa è reso presente il
sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati con Dio; per suo mezzo vengono
nutriti e fortificati coloro che vivono della vita di Cristo; essa “è come
l'antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai
peccati mortali” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1638].
1437
La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della Liturgia delle Ore e del
Padre Nostro, ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo spirito
di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri peccati.
1438
I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell'anno liturgico (il tempo della
quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti
della pratica penitenziale della Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 109-110; Codice di Diritto Canonico, 1249-1253; Corpus Canonum
Ecclesiarum Orientalium, 880-883]. Questi tempi sono particolarmente adatti per
gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di
penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l'elemosina, la
condivisione fraterna (opere caritative e missionarie).
1439
Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente
descritto da Gesù nella parabola detta “del figlio prodigo” il cui centro
è “il padre misericordioso” ( Lc 15,11-24 ): il fascino di una libertà
illusoria, l'abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il
figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l'umiliazione
profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di
desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui
beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a
suo padre; il cammino del ritorno; l'accoglienza generosa da parte del padre; la
gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L'abito
bello, l'anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura,
dignitosa, piena di gioia che è la vita dell'uomo che ritorna a Dio e in seno
alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le
profondità dell'amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l'abisso della sua
misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza.
VI.
Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione 1439 _
1440
Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello
stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la
conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la
Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione esprime e
realizza liturgicamente [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11].
Dio
solo perdona il peccato
1441
Dio solo perdona i peccati [Cf Mc 2,7 ]. Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli
dice di se stesso: “Il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere
i peccati” ( Mc 2,10 ) ed esercita questo potere divino: “Ti sono rimessi i
tuoi peccati!” ( Mc 2,5; Lc 7,48 ). Ancor di più: in virtù della sua autorità
divina dona tale potere agli uomini [Cf Gv 20,21-23 ] affinché lo esercitino
nel suo nome.
1442
Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella
sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della
riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia
affidato l'esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico.
A questo è affidato il “ministero della riconciliazione” ( 2Cor 5,18 ).
L'apostolo è inviato “nel nome di Cristo”, ed è Dio stesso che, per mezzo
di lui, esorta e supplica: “Lasciatevi riconciliare con Dio” ( 2Cor 5,20 ).
Riconciliazione
con la Chiesa
1443
Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati; ha pure
manifestato l'effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i peccatori
perdonati nella comunità del Popolo di Dio, dalla quale il peccato li aveva
allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto che Gesù
ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede alla loro
mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio [Cf Lc 15 ] e,
nello stesso tempo, il ritorno in seno al Popolo di Dio [ Cf Lc 19,9 ].
1444
Rendendo gli Apostoli partecipi del suo proprio potere di perdonare i peccati,
il Signore dà loro anche l'autorità di riconciliare i peccatori con la Chiesa.
Tale dimensione ecclesiale del loro ministero trova la sua più chiara
espressione nella solenne parola di Cristo a Simon Pietro: “A te darò le
chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (
Mt 16,19 ). Questo “incarico di legare e di sciogliere, che è stato dato a
Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito col
suo capo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 22].
1445
Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla
vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi
accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella
sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con
Dio.
Il
sacramento del perdono
1446
Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori
della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti
in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una
ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre
una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della
giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come “la
seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta”
[Tertulliano, De paenitentia, 4, 2; cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1542].
1447
Nel corso dei secoli la forma concreta, secondo la quale la Chiesa ha esercitato
questo potere ricevuto dal Signore, ha subito molte variazioni. Durante i primi
secoli, la riconciliazione dei cristiani che avevano commesso peccati
particolarmente gravi dopo il loro Battesimo (per esempio l'idolatria,
l'omicidio o l'adulterio), era legata ad una disciplina molto rigorosa, secondo
la quale i penitenti dovevano fare pubblica penitenza per i loro peccati, spesso
per lunghi anni, prima di ricevere la riconciliazione. A questo “ordine dei
penitenti” (che riguardava soltanto certi peccati gravi) non si era ammessi
che raramente e, in talune regioni, una sola volta durante la vita. Nel settimo
secolo, ispirati dalla tradizione monastica d'Oriente, i missionari irlandesi
portarono nell'Europa continentale la pratica "privata" della
penitenza, che non esige il compimento pubblico e prolungato di opere di
penitenza prima di ricevere la riconciliazione con la Chiesa. Il sacramento si
attua ormai in una maniera più segreta tra il penitente e il sacerdote. Questa
nuova pratica prevedeva la possibilità della reiterazione e apriva così la via
ad una frequenza regolare di questo sacramento. Essa permetteva di integrare in
una sola celebrazione sacramentale il perdono dei peccati gravi e dei peccati
veniali. E' questa, a grandi linee, la forma di penitenza che la Chiesa pratica
fino ai nostri giorni.
1448
Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo
sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima
struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una
parte, gli atti dell'uomo che si converte sotto l'azione dello Spirito Santo:
cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall'altra parte,
l'azione di Dio attraverso l'intervento della Chiesa. La Chiesa che, mediante il
vescovo e i suoi presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei
peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il
peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito
nella comunione ecclesiale.
1449
La formula di assoluzione in uso nella Chiesa latina esprime gli elementi
essenziali di questo sacramento: il Padre delle misericordie è la sorgente di
ogni perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori mediante la Pasqua
del suo Figlio e il dono del suo Spirito, attraverso la preghiera e il ministero
della Chiesa:
Dio,
Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e
Risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei
peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E
io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo [Rituale romano, Rito della penitenza, formula dell'assoluzione].
VII.
Gli atti del penitente
1450
“La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza;
nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue
opere tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione” [Catechismo Romano, 2, 5,
21; cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1673].
La
contrizione
1451
Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il
dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal
proposito di non peccare più in avvenire” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1676].
1452
Quando proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta
“perfetta” (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe
veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma
risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale [Cf
Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1677].
1453
La contrizione detta “imperfetta” (o “attrizione”) è, anch'essa, un
dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della
bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la
cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza
viene così scossa, può aver inizio un'evoluzione interiore che sarà portata a
compimento, sotto l'azione della grazia, dall'assoluzione sacramentale. Da sola,
tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma
dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza [Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1677].
1454
E' bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto
alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da
cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli
Apostoli: il Discorso della montagna, gli insegnamenti apostolici [Cf Rm 12-15;
1Cor 12-13; 1454 Gal 5; Ef 4-6 ].
La
confessione dei peccati
1455
La confessione dei peccati (l'accusa), anche da un punto di vista semplicemente
umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con
l'accusa, l'uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne
assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla
comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.
1456
La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento
della Penitenza: “E' necessario che i penitenti enumerino nella confessione
tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di
coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto
contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, [ Cf Es 20,17; Mt 5,28 ] perché
spesso feriscono più gravemente l'anima e si rivelano più pericolosi di quelli
chiaramente commessi”: [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1680]
I
cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in
mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li
perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente
qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché
sia perdonato per mezzo del sacerdote. “Se infatti l'ammalato si vergognasse
di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non
conosce” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1680; cf San Girolamo,
Commentarii in Ecclesiasten, 10, 11: PL 23, 1096].
1457
Secondo il precetto della Chiesa, “ogni fedele, raggiunta l'età della
discrezione, è tenuto all'obbligo di confessare fedelmente i propri peccati
gravi, almeno una volta nell'anno” [Codice di Diritto Canonico, 989; cf
Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1683; 1708]. Colui che è consapevole di
aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se
prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l'assoluzione
sacramentale, [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1647; 1661] a meno che
non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile accedere a un
confessore [Cf Codice di Diritto Canonico, 916; Corpus Canonum Ecclesiarum
Orientalium, 711]. I fanciulli devono accostarsi al sacramento della Penitenza
prima di ricevere per la prima volta la Santa Comunione [Cf Codice di Diritto
Canonico, 914].
1458
Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe quotidiane
(peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa [Cf Concilio
di Trento: Denz. -Schönm., 1680; Codice di Diritto Canonico, 988, 2]. In
effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la
nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire
da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. Ricevendo più frequentemente,
attraverso questo sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti
ad essere misericordiosi come lui: [Cf Lc 6,36 ]
Chi
riconosce i propri peccati e li condanna, è già d'accordo con Dio. Dio
condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L'uomo e il
peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera
tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli
ha fatto. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le
tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone
cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così
vieni alla Luce [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 12, 13].
La
soddisfazione
1459
Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare
(ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato
calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il
peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni
con Dio e con il prossimo. L'assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio
a tutti i disordini che il peccato ha causato [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1712]. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena
salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie
colpe: deve “soddisfare” in maniera adeguata o “espiare” i suoi peccati.
Questa soddisfazione si chiama anche “penitenza”.
1460
La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione
personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve
corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati
commessi. Può consistere nella preghiera, in un'offerta, nelle opere di
misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici,
e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali
penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri
peccati [Cf Rm 3,25; 1460 1Gv 2,1-2 ] una volta per tutte. Esse ci permettono di
diventare i coeredi di Cristo risorto, dal momento che “partecipiamo alle sue
sofferenze” ( Rm 8,17 ): [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm. , 1690]
Ma
questa soddisfazione, che compiamo per i nostri peccati, non è talmente nostra
da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non possiamo nulla
da noi stessi, col suo aiuto possiamo tutto in lui che ci dà la forza [Cf Fil
4,13 ]. Quindi l'uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto
in Cristo in cui. .. offriamo soddisfazione, facendo “opere degne della
conversione” ( Lc 3,8 ), che da lui traggono il loro valore, da lui sono
offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre [Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1691].
VIII.
Il ministro di questo sacramento
1461
Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione,
[Cf Gv 20,23; 1461 2Cor 5,18 ] i vescovi, loro successori, e i presbiteri,
collaboratori dei vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti
sono i vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell'Ordine,
il potere di perdonare tutti i peccati “nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo”.
1462
Il perdono dei peccati riconcilia con Dio ma anche con la Chiesa. Il vescovo,
capo visibile della Chiesa particolare, è dunque considerato a buon diritto,
sin dai tempi antichi, come colui che principalmente ha il potere e il ministero
della riconciliazione: è il moderatore della disciplina penitenziale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 26]. I
presbiteri, suoi collaboratori, esercitano tale potere nella misura in cui ne
hanno ricevuto l'ufficio sia dal proprio vescovo (o da un superiore religioso),
sia dal Papa, in base al diritto della Chiesa [Cf Codice di Diritto Canonico,
844; 967-969; 972; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 722, 3-4].
1463
Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena
ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere
determinati atti ecclesiastici, e la cui assoluzione, di conseguenza, non può
essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal vescovo del
luogo o da presbiteri da loro autorizzati [Cf Codice di Diritto Canonico, 1331;
1354-1357; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 1431; 1434; 1420]. In caso di
pericolo di morte, ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le
confessioni, può assolvere da qualsiasi peccato [Cf Codice di Diritto Canonico,
976; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 725] e da qualsiasi scomunica.
1464
I sacerdoti devono incoraggiare i fedeli ad accostarsi al sacramento della
Penitenza e devono mostrarsi disponibili a celebrare questo sacramento ogni
volta che i cristiani ne facciano ragionevole richiesta [Cf Codice di Diritto
Canonico, 986; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 735; Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 13].
1465
Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del
Buon Pastore che cerca la pecora perduta, quello del Buon Samaritano che medica
le ferite, del Padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno,
del giusto Giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un
tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento
dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore.
1466
Il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il ministro
di questo sacramento deve unirsi “all'intenzione e alla carità di Cristo” [Conc.
Ecum. Vat.
II, Presbyterorum ordinis, 13]. Deve avere
una provata conoscenza del comportamento cristiano, l'esperienza delle realtà
umane, il rispetto e la delicatezza nei confronti di colui che è caduto; deve
amare la verità, essere fedele al magistero della Chiesa e condurre con
pazienza il penitente verso la guarigione e la piena maturità. Deve pregare e
fare penitenza per lui, affidandolo alla misericordia del Signore.
1467
Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle
persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è
obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai
peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato [Cf Codice di Diritto
Canonico, 1388, 1; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 1456]. Non gli è
lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione,
della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama
il “sigillo sacramentale”, poiché ciò che il penitente ha manifestato al
sacerdote rimane “sigillato” dal sacramento.
IX.
Gli effetti di questo sacramento
1468
“Tutto il valore della penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio
stringendoci a lui in intima e grande amicizia” [Catechismo Romano, 2, 5, 18].
Il fine e l'effetto di questo sacramento sono dunque la riconciliazione con Dio.
In coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una
disposizione religiosa, ne conseguono “la pace e la serenità della coscienza
insieme a una vivissima consolazione dello spirito” [Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1674]. Infatti, il sacramento della riconciliazione con Dio opera una
autentica “risurrezione spirituale”, restituisce la dignità e i beni della
vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l'amicizia di Dio [Cf Lc 15,32
].
1469
Questo sacramento ci riconcilia con la Chiesa. Il peccato incrina o infrange la
comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In
questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito nella comunione
ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha
sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri [Cf 1Cor 12,26 ].
Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il peccatore viene
fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra tutte le membra vive del Corpo
di Cristo, siano esse esse ancora nella condizione di pellegrini o siano siano
già nella patria celeste [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 48-50].
Bisogna
aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per così dire,
altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture, causate dal
peccato: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più
intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; si
riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo offesi e lesi; si riconcilia
con la Chiesa, si riconcilia con tutto il creato [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 31].
1470
In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio misericordioso di
Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà sottoposto al termine
di questa vita terrena. E' infatti ora, in questa vita, che ci è offerta la
possibilità di scegliere tra la vita e la morte, ed è soltanto attraverso il
cammino della conversione che possiamo entrare nel Regno, dal quale il peccato
grave esclude [Cf 1Cor 5,11; Gal 5,19-21; Ap 22,15 ]. Convertendosi a Cristo
mediante la penitenza e la fede, il peccatore passa dalla morte alla vita “e
non va incontro al giudizio” ( Gv 5,24 ).
X.
Le indulgenze
1471
La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate
agli effetti del sacramento della Penitenza.
Che
cos'è l'indulgenza?
“L'indulgenza
è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi
quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a
determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come
ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle
soddisfazioni di Cristo e dei santi.
L'indulgenza
è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena
temporale dovuta per i peccati” [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina,
Normae 1-3, AAS 59 (1967), 5-24]. Le indulgenze possono essere applicate ai vivi
o ai defunti.
Le
pene del peccato
1472
Per comprendere questa dottrina e questa pratica della Chiesa bisogna tener
presente che il peccato ha una duplice conseguenza. Il peccato grave ci priva
della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita
eterna, la cui privazione è chiamata la “pena eterna” del peccato. D'altra
parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle
creature, che ha bisogno di purifica zione, sia quaggiù, sia dopo la morte,
nello stato chiamato Purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta
“pena temporale” del peccato. Queste due pene non devono essere concepite
come una specie di vendetta, che Dio infligge dall'esterno, bensì come
derivanti dalla natura stessa del peccato. Una conversione, che procede da una
fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così
che non sussista più alcuna pena [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1712-1713; 1820].
1473
Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la
remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali
del peccato. Il cristiano deve sforzarsi, sopportando pazientemente le
sofferenze e le prove di ogni genere e, venuto il giorno, affrontando
serenamente la morte, di accettare come una grazia queste pene temporali del
peccato; deve impegnarsi, attraverso le opere di misericordia e di carità, come
pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, a spogliarsi
completamente dell'“uomo vecchio” e a rivestire “l'uomo nuovo” [Cf Ef
4,24 ].
Nella
comunione dei santi
1474
Il cristiano che si sforza di purificarsi del suo peccato e di santificarsi con
l'aiuto della grazia di Dio, non si trova solo. “La vita dei singoli figli di
Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla
vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del Corpo
mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona” [Paolo VI,
Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 5].
1475
Nella comunione dei santi “tra i fedeli, che già hanno raggiunto la patria
celeste o che stanno espiando le loro colpe nel Purgatorio, o che ancora sono
pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità ed un
abbondante scambio di tutti i beni” [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum
doctrina, 5]. In questo ammirabile scambio, la santità dell'uno giova agli
altri, ben al di là del danno che il peccato dell'uno ha potuto causare agli
altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi permette al peccatore
contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle
pene del peccato.
1476
Questi beni spirituali della comunione dei santi sono anche chiamati il tesoro
della Chiesa, che non “si deve considerare come la somma di beni materiali,
accumulati nel corso dei secoli, ma come l'infinito ed inesauribile valore che
le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché
tutta l'umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il
Padre; è lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i
meriti della sua redenzione” [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 5].
1477
“Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso,
incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone
opere del la beata Vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme
di Cristo Signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a
compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro
salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell'unità
del Corpo mistico” [Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 5].
Ottenere
l'indulgenza di Dio mediante la Chiesa
1478
L'indulgenza si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di legare e
di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un cristiano e
gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal
Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi
peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto a questo cristiano,
ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità [Cf
Paolo VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina, 8; Concilio di Trento: Denz. -Schönm.
, 1835].
1479
Poiché i fedeli defunti in via di purificazione sono anch'essi membri della
medesima comunione dei santi, noi possiamo aiutarli, tra l'altro, ottenendo per
loro delle indulgenze, in modo tale che siano sgravati dalle pene temporali
dovute per i loro peccati.
XI.
La celebrazione del sacramento della Penitenza
1480
Come tutti i sacramenti, la Penitenza è un'azione liturgica. Questi sono
ordinariamente gli elementi della celebrazione: il saluto e la benedizione del
sacerdote, la lettura della Parola di Dio per illuminare la coscienza e
suscitare la contrizione, e l'esortazione al pentimento; la confessione che
riconosce i peccati e li manifesta al sacerdote; l'imposizione e l'accettazione
della penitenza; l'assoluzione da parte del sacerdote; la lode con rendimento di
grazie e il congedo con la benedizione da parte del sacerdote.
1481
La liturgia bizantina usa più formule di assoluzione, a carattere deprecativo,
le quali mirabilmente esprimono il mistero del perdono: “Il Dio che,
attraverso il profeta Natan, ha perdonato a Davide quando confessò i propri
peccati, e a Pietro quando pianse amaramente, e alla peccatrice quando versò
lacrime sui suoi piedi, e al pubblicano e al prodigo, questo stesso Dio ti
perdoni, attraverso me, peccatore, in questa vita e nell'altra, e non ti
condanni quando apparirai al suo tremendo tribunale, egli che è benedetto nei
secoli dei secoli. Amen”.
1482
Il sacramento della Penitenza può anche aver luogo nel quadro di una
celebrazione comunitaria, nella quale ci si prepara insieme alla confessione e
insieme si rende grazie per il perdono ricevuto. In questo caso, la confessione
personale dei peccati e l'assoluzione individuale sono inserite in una liturgia
della Parola di Dio, con letture e omelia, esame di coscienza condotto in
comune, richiesta comunitaria del perdono, preghiera del “Padre Nostro” e
ringraziamento comune. Tale celebrazione comunitaria esprime più chiaramente il
carattere ecclesiale della penitenza. Tuttavia, in qualunque modo venga
celebrato, il sacramento della Penitenza è sem pre, per sua stessa natura,
un'azione liturgica, quindi ecclesiale e pubblica [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 26-27].
1483
In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria
della riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale. Tale
grave necessità può presentarsi qualora vi sia un imminente pericolo di morte
senza che il o i sacerdoti abbiano il tempo sufficiente per ascoltare la
confessione di ciascun penitente. La necessità grave può verificarsi anche
quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi siano confessori in
numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un
tempo ragionevole, così che i penitenti, senza loro colpa, rimarrebbero a lungo
privati della grazia sacramentale o della santa Comunione. In questo caso i
fedeli, perché sia valida l'assoluzione, devono fare il proposito di confessare
individualmente i propri peccati gravi a tempo debito [Cf Codice di Diritto
Canonico, 962, 1]. Spetta al vescovo diocesano giudicare se ricorrano le
condizioni richieste per l'assoluzione generale [Cf Codice di Diritto Canonico,
962, 1]. Una considerevole affluenza di fedeli in occasione di grandi feste o di
pellegrinaggi non costituisce un caso di tale grave necessità [Cf Codice di
Diritto Canonico, 962, 1].
1484
“La confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, resta
l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la
Chiesa, a meno che un'impossibilità fisica o morale non li dispensi da una tale
confessione” [Rituale romano, Rito della penitenza, 31]. Ciò non è senza
motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni sacramento. Si rivolge personalmente
a ciascun peccatore: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” ( Mc 2,5 );
è il medico che si china su ogni singolo ammalato che ha bisogno di lui [Cf Mc
2,17 ] per guarirlo; lo rialza e lo reintegra nella comunione fraterna. La
confessione personale è quindi la forma più significativa della
riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
1485
La sera di Pasqua, il Signore Gesù si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro:
“Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a
chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” ( Gv 20,22-23 ).
1486
Il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo è accordato mediante un
sacramento apposito chiamato sacramento della conversione, della confessione,
della penitenza o della riconciliazione.
1487
Colui che pecca ferisce l'onore di Dio e il suo amore, la propria dignità di
uomo chiamato ad essere figlio di Dio e la salute spirituale della Chiesa di cui
ogni cristiano deve essere una pietra viva.
1488
Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha
conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo
intero.
1489
Ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del peccato, è un
movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e sollecito per la
salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono prezioso per sé come per
gli altri.
1490
Il cammino di ritorno a Dio, chiamato conversione e pentimento, implica un
dolore e una repulsione per i peccati commessi, e il fermo proposito di non
peccare più in avvenire. La conversione riguarda dunque il passato e il futuro;
essa si nutre della speranza nella misericordia divina.
1491
Il sacramento della Penitenza è costituito dall'insieme dei tre atti compiuti
dal penitente, e dall'assoluzione da parte del sacerdote. Gli atti del penitente
sono: il pentimento, la confessione o manifestazione dei peccati al sacerdote e
il proposito di compiere la soddisfazione e le opere di soddisfazione.
1492
Il pentimento (chiamato anche contrizione) deve essere ispirato da motivi
dettati dalla fede. Se il pentimento nasce dall'amore di carità verso Dio, lo
si dice “perfetto”; se è fondato su altri motivi, lo si chiama
“imperfetto”.
1493
Colui che vuole ottenere la riconciliazione con Dio e con la Chiesa, deve
confessare al sacerdote tutti i peccati gravi che ancora non ha confessato e di
cui si ricorda dopo aver accuratamente esaminato la propria coscienza. Sebbene
non sia in sé necessaria, la confessione delle colpe veniali è tuttavia
vivamente raccomandata dalla Chiesa.
1494
Il confessore propone al penitente il compimento di certi atti di
“soddisfazione” o di “penitenza”, al fine di riparare il danno causato
dal peccato e ristabilire gli atteggiamenti consoni al discepolo di Cristo.
1495
Soltanto i sacerdoti che hanno ricevuto dall'autorità della Chiesa la facoltà
di assolvere possono perdonare i peccati nel nome di Cristo.
1496
Gli effetti spirituali del sacramento della Penitenza sono: - la riconciliazione
con Dio mediante la quale il penitente ricupera la grazia; - la riconciliazione
con la Chiesa; - la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati
mortali; - la remissione, almeno in parte, delle pene temporali, conseguenze del
peccato; - la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione spirituale;
- l'accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano.
1497
La confessione individuale e completa dei peccati gravi seguita dall'assoluzione
rimane l'unico mezzo ordinario per la riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
1498
Mediante le indulgenze i fedeli possono ottenere per se stessi, e anche per le
anime del Purgatorio, la remissione delle pene temporali, conseguenze dei
peccati.
L'UNZIONE
DEGLI INFERMI
1499
“Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri, tutta la
Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché
alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente
alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo
di Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11].
I.
Suoi fondamenti nell'Economia della Salvezza
La
malattia nella vita umana
1500
La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che
mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della
propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può
farci intravvedere la morte.
1501
La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta
persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche
rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò
che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la
malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.
Il
malato di fronte a Dio
1502
L'uomo dell'Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. E' davanti a Dio
che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia; [Cf Sal 38 ] è da lui, il
Signore della vita e della morte, che egli implora la guarigione [Cf Sal 6,3; Is
38 ]. La malattia diventa cammino di conversione [Cf Sal 38,5; 1502 Sal 39,9;
Sal 38,12 ] e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione [Cf Sal 32,5; Sal
107,20; 1502 Mc 2,5-12 ]. Israele sperimenta che la malattia è legata, in un
modo misterioso, al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua
Legge, ridona la vita: “perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!”
( Es 15,26 ). Il profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore
redentivo per i peccati altrui [Cf Is 53,11 ]. Infine Isaia annuncia che Dio farà
sorgere per Sion un tempo in cui perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia
[Cf Is 33,24 ].
Cristo-medico
1503
La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi
di ogni genere [Cf Mt 4,24 ] sono un chiaro segno del fatto che “Dio ha
visitato il suo popolo” ( Lc 7,16 ) e che il Regno di Dio è vicino. Gesù non
ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: [Cf Mc 2,5-12
] è venuto a guarire l'uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i
malati hanno bisogno [Cf Mc 2,17 ]. La sua compassione verso tutti coloro che
soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: “Ero malato
e mi avete visitato” ( Mt 25,36 ). Il suo amore di predilezione per gli
infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente
premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Essa sta
all'origine degli instancabili sforzi per alleviare le loro pene.
1504
Spesso Gesù chiede ai malati di credere [Cf Mc 5,34; Mc 5,36; Mc 9,23 ]. Si
serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani, [Cf Mc 7,32-36; Mc
8,22-25 ] fango e abluzione [Cf Gv 9,6 s]. I malati cercano di toccarlo [Cf Mc
1,41; Mc 3,10; Mc 6,56 ] “perché da lui usciva una forza che sanava tutti”
( Lc 6,19 ). Così, nei sacramenti, Cristo continua a “toccarci” per
guarirci.
1505
Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati,
ma fa sue le loro miserie: “Egli ha preso le nostre infermità e si è
addossato le nostre malattie” ( Mt 8,17 ) [Cf Is 53,4 ]. Non ha guarito però
tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del Regno di Dio.
Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte
attraverso la sua Pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso
del male [Cf Is 53,4-6 ] e ha tolto il “peccato del mondo” ( Gv 1,29 ), di
cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte
sulla Croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai
configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.
“Guarite
gli infermi...”
1506
Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch'essi la loro croce [Cf
Mt 10,38 ]. A_ Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la malattia e i
malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio. Li rende
partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione: “E partiti,
predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di
olio molti infermi e li guarivano” ( Mc 6,12-13 ).
1507
Il Signore risorto rinnova questo invio (Nel mio nome. . . imporranno le mani ai
malati e questi guariranno”: Mc 16,17-18 ) e lo conferma per mezzo dei segni
che la Chiesa compie invocando il suo nome. Questi segni manifestano in modo
speciale che Gesù è veramente “Dio che salva”.
1508
Lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per
manifestare la forza della grazia del Risorto. Tuttavia, neppure le preghiere più
intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve
imparare dal Signore che “ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si
manifesta pienamente nella debolezza” ( 2Cor 12,9 ), e che le sofferenze da
sopportare possono avere come senso quello per cui “io completo nella mia
carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la
Chiesa” ( Col 1,24 ).
1509
“Guarite gli infermi!” ( Mt 10,8 ). Questo compito la Chiesa l'ha ricevuto
dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta ai malati sia
mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede
nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Questa
presenza è particolarmente operante nei sacramenti e in modo tutto speciale
nell'Eucaristia, pane che dà la vita eterna e al cui legame con la salute del
corpo san Paolo allude.
1510
La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in favore degli infermi,
attestato da san Giacomo: “Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della
Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E
la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha
commesso peccati, gli saranno perdonati” ( Gc 5,14-15 ). La Tradizione ha
riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della Chiesa [Cf Innocenzo
I, Lettera Si instituta ecclesiastica: Denz. -Schönm., 216; Concilio di Fi-
renze: ibid. , 1324-1325; Concilio di Trento: ibid., 1695-1696; 1716-1717].
Un
sacramento degli infermi
1511
La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento
destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia:
l'Unzione degli infermi:
Questa
unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del
Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco, è stato
raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore
[Concilio di Trento: Denz. - Schönm., 1695; cf Mc 6,13; 1511 Gc 5,14-15 ].
1512
Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si hanno fin
dall'antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio
benedetto. Nel corso dei secoli, l'Unzione degli infermi è stata conferita
sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo
motivo aveva ricevuto il nome di “Estrema Unzione”. Malgrado questa
evoluzione la Liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il
malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza [Cf Concilio
di Trento: Denz. -Schönm., 1696].
1513
La Costituzione apostolica “Sacram unctionem infirmorum” del 30 novembre
1972, in linea con il Concilio Vaticano II [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum
concilium, 73] ha stabilito che, per l'avvenire, sia osservato nel rito romano
quanto segue:
Il
sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave
pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto -
olio di oliva o altro olio vegetale - dicendo una sola volta: “Per questa
santa unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la
grazia dello Spirito Santo, e liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà
ti sollevi” [Paolo VI, Cost. ap. Sacram unctionem infirmorum; cf Codice di
Diritto Canonico, 847, 1.].
II.
Chi riceve e chi amministra questo sacramento?
In
caso di malattia grave. . .
1514
L'Unzione degli infermi “non è il sacramento di coloro soltanto che sono in
fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha certamente già
quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo
di morte” [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 73; cf Codice di
Diritto Canonico, 1004, 1; 1005; 1007; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium,
738].
1515
Se un malato che ha ricevuto l'Unzione riacquista la salute, può, in caso di
un'altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della
stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un
peggioramento. E' opportuno ricevere l'Unzione degli infermi prima di un
intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la cui
debolezza si accentua.
“...
chiami a sé i presbiteri della Chiesa”
1516
Soltanto i sacerdoti (vescovi e presbiteri) sono i ministri dell'Unzione degli
infermi [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1697; 1719; Codice di Diritto
Canonico, 1003; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 739, 1]. E' dovere dei
pastori istruire i fedeli sui benefici di questo sacramento. I fedeli
incoraggino i malati a ricorrere al sacerdote per ricevere tale sacramento. I
malati si preparino a riceverlo con buone disposizioni, aiutati dal loro pastore
e da tutta la comunità ecclesiale, che è invitata a circondare in modo tutto
speciale i malati con le sue preghiere e le sue attenzioni fraterne.
III.
Come si celebra questo sacramento?
1517
Come tutti i sacramenti, l'Unzione degli infermi è una celebrazione liturgica e
comunitaria, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 27] sia che abbia
luogo in famiglia, all'ospedale o in chiesa, per un solo malato o per un gruppo
di infermi. E' molto opportuno che sia celebrata durante l'Eucaristia, memoriale
della Pasqua del Signore. Se le circostanze lo consigliano, la celebrazione del
sacramento può essere preceduta dal sacramento della Penitenza e seguita da
quello dell'Eucaristia. In quanto sacramento della Pasqua di Cristo,
l'Eucaristia dovrebbe sempre essere l'ultimo sacramento del pellegrinaggio
terreno, il “viatico” per il “passaggio” alla vita eterna.
1518
Parola e sacramento costituiscono un tutto inseparabile. La Liturgia della
Parola, preceduta da un atto penitenziale, apre la celebrazione. Le parole di
Cristo, la testimonianza degli Apostoli ravvivano la fede del malato e della
comunità per chiedere al Signore la forza del suo Spirito.
1519
La celebrazione del sacramento comprende principalmente i seguenti elementi:
“i presbiteri della Chiesa” ( Gc 5,14 ) impongono - in silenzio le mani ai
malati; pregano sui malati nella fede della Chiesa: [Cf Gc 5,15 ] è l'epiclesi
propria di questo sacramento; quindi fanno l'unzione con l'olio, benedetto,
possibilmente, dal vescovo.
Queste
azioni liturgiche indicano quale grazia tale sacramento conferisce ai malati.
IV.
Gli effetti della celebrazione di questo sacramento 1520 _
1520
Un dono particolare dello Spirito Santo. La grazia fondamentale di questo
sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le
difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della
vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e
la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la
tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte [Cf Eb 2,15 ].
Questa assistenza del Signore attraverso la forza del suo Spirito vuole portare
il malato alla guarigione dell'anima, ma anche a quella del corpo, se tale è la
volontà di Dio [Cf Concilio di Firenze: Denz. -Schönm., 1325]. Inoltre, “se
ha commesso peccati, gli saranno perdonati” ( Gc 5,15 ) [Cf Concilio di
Trento: ibid., 1717].
1521
L' unione alla Passione di Cristo. Per la grazia di questo sacramento il malato
riceve la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo:
egli viene in certo qual modo consacrato per portare frutto mediante la
configurazione alla Passione redentrice del Salvatore. La sofferenza,
conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo: diviene partecipazione
all'opera salvifica di Gesù.
1522
Una grazia ecclesiale. I malati che ricevono questo sacramento, unendosi
“spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo”, contribuiscono “al
bene del popolo di Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11]. Celebrando
questo sacramento, la Chiesa, nella comunione dei santi, intercede per il bene
del malato. E l'infermo, a sua volta, per la grazia di questo sacramento,
contribuisce alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini per
i quali la Chiesa soffre e si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.
1523
Una preparazione all'ultimo passaggio. Se il sacramento dell'Unzione degli
infermi è conferito a tutti coloro che soffrono di malattie e di infermità
gravi, a maggior ragione è dato a coloro che stanno per uscire da questa vita
(in exitu vitae constituti”), per cui lo si è anche chiamato “sacramentum
exeuntium” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1698]. L'Unzione degli
infermi porta a compimento la nostra conformazione alla Morte e alla
Risurrezione di Cristo, iniziata dal Battesimo. Essa completa le sante unzioni
che segnano tutta la vita cristiana; quella del Battesimo aveva suggellato in
noi la vita nuova; quella della Confermazione ci aveva fortificati per il
combattimento di questa vita. Quest'ultima unzione munisce la fine della nostra
esistenza terrena come di un solido baluardo in vista delle ultime lotte prima
dell'ingresso nella Casa del Padre [Cf ibid., 1694].
V.
Il viatico, ultimo sacramento del cristiano
1524
A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all'Unzione
degli infermi, l'Eucaristia come viatico. Ricevuta in questo momento di
passaggio al Padre, la Comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha un
significato e un'importanza particolari. E' seme di vita eterna e potenza di
risurrezione, secondo le parole del Signore: “Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno” ( Gv
6,54 ). Sacramento di Cristo morto e risorto, l'Eucaristia è, qui, sacramento
del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre [Cf Gv 13,1 ].
1525
Come i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia
costituiscono una unità chiamata “i sacramenti dell'iniziazione cristiana”,
così si può dire che la Penitenza, la Sacra Unzione e l'Eucaristia, in quanto
viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, “i sacramenti che
preparano alla Patria” o i sacramenti che concludono il pellegrinaggio
terreno.
1526
“Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui,
dopo averlo unto con olio,
nel
nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore
lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”( Gc 5,14-15 ).
1527
Il sacramento dell'Unzione degli infermi ha lo scopo di conferire una grazia
speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo stato di
malattia grave o alla vecchiaia.
1528
Il momento opportuno per ricevere la sacra Unzione è certamente quello in cui
il fedele comincia a trovarsi in pericolo di morte per malattia o vecchiaia.
1529
Ogni volta che un cristiano cade gravemente malato, può ricevere la sacra
Unzione, come pure quando, dopo averla già ricevuta, si verifica un aggravarsi
della malattia.
1530
Soltanto i sacerdoti (presbiteri e vescovi) possono amministrare il sacramento
dell'Unzione degli infermi; per conferirlo usano olio benedetto dal vescovo, o,
all'occorrenza, dallo stesso presbitero celebrante.
1531
L'essenziale della celebrazione di questo sacramento consiste nell'unzione sulla
fronte e sulle mani del malato (nel rito romano) o su altre parti del corpo (in
Oriente), unzione accompagnata dalla preghiera liturgica del sacerdote
celebrante che implora la grazia speciale di questo sacramento.
1532
La grazia speciale del sacramento dell'Unzione degli infermi ha come effetti:
-
l'unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di
tutta la Chiesa;
-
il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze
della malattia o della vecchiaia;
-
il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il sacramento
della Penitenza;
-
il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale;
-
la preparazione al passaggio alla vita eterna.
PARTE
SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE
SECONDA - “I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA”
CAPITOLO
TERZO - I SACRAMENTI DEL SERVIZIO
DELLA COMUNIONE
1533
Il Battesimo, la Confermazione e l'Eucaristia sono i sacramenti dell'iniziazione
cristiana. Essi fondano la vocazione comune di tutti i discepoli di Cristo,
vocazione alla santità e alla missione di evangelizzare il mondo. Conferiscono
le grazie necessarie per vivere secondo lo Spirito in questa vita di pellegrini
in cammino verso la patria.
1534
Due altri sacramenti, l'Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza
altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene
attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare
nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio.
1535
In questi sacramenti, coloro che sono già stati consacrati mediante il
Battesimo e la Confermazione per il sacerdozio comune di tutti i fedeli, [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10] possono ricevere consacrazioni
particolari. Coloro che ricevono il sacramento dell'Ordine sono consacrati per
essere “posti, in nome di Cristo, a pascere la Chiesa con la parola e la
grazia di Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11]. Da parte
loro, “i coniugi cristiani sono corroborati e come consacrati da uno speciale
sacramento per i doveri e la dignità del loro stato” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
IL
SACRAMENTO DELL'ORDINE
1536
L'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi
Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è,
dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi:
l'episcopato, il presbiterato e il diaconato.
[Per
l'istituzione e la missione del ministero apostolico da parte di Cristo, vedi
sotto. Qui si tratta soltanto della via sacramentale attraverso la quale tale
ministero viene trasmesso].
I.
Perché il nome di sacramento dell'Ordine?
1537
La parola Ordine, nell'antichità romana, designava dei corpi costituiti in
senso civile, soprattutto il corpo di coloro che governano. “Ordinatio” -
ordinazione - indica l'integrazione in un “ordo” - ordine -. Nella Chiesa ci
sono corpi costituiti che la Tradizione, non senza fondamenti scritturistici, [Cf
Eb 5,6; Eb 7,11; Sal 110,4 ] chiama sin dai tempi antichi con il nome di
“taxeis” (in greco), di “ordines”: così la Liturgia parla dell'“ordo
episcoporum” - ordine dei vescovi, - dell'“ordo presbyterorum” - ordine
dei presbiteri - dell'“ordo diaconorum” - ordine dei diaconi. Anche altri
gruppi ricevono questo nome di “ordo”: i catecumeni, le vergini, gli sposi,
le vedove. . .
1538
L'integrazione in uno di questi corpi ecclesiali avveniva con un rito chiamato
ordinatio, atto religioso e liturgico che consisteva in una consacrazione, una
benedizione o un sacramento. Oggi la parola “ordinatio” è riservata
all'atto sacramentale che integra nell'ordine dei vescovi, dei presbiteri e dei
diaconi e che va al di là di una semplice elezione, designazione, delega o
istituzione da parte della comunità, poiché conferisce un dono dello Spirito
Santo che permette di esercitare una “potestà sacra” (sacra potestas”), [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10] la quale non può venire che da Cristo
stesso, mediante la sua Chiesa. L'ordinazione è chiamata anche
“consecratio” - consacrazione - poiché è una separazione e una investitura
da parte di Cristo stesso, per la sua Chiesa. L' imposizione delle mani del
vescovo, insieme con la preghiera consacratoria, costituisce il segno visibile
di tale consacrazione.
II.
Il sacramento dell'Ordine
nell'Economia
della Salvezza
Il
sacerdozio dell'Antica Alleanza
1539
Il popolo eletto fu costituito da Dio come “un regno di sacerdoti e una
nazione santa” ( Es 19,6 ) [Cf Is 61,6 ]. Ma all'interno del popolo di
Israele, Dio scelse una delle dodici tribù, quella di Levi, riservandola per il
servizio liturgico; [Cf Nm 1,48-53 ] Dio stesso è la sua parte di eredità [Cf
Gs 13,33 ]. Un rito proprio ha consacrato le origini del sacerdozio dell'Antica
Alleanza [Cf Es 29,1-30; Lv 8 ]. In essa i sacerdoti sono costituiti “per il
bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici
per i peccati” [Cf Eb 5,1 ].
1540
Istituito per annunciare la Parola di Dio [Cf Ml 2,7-9 ] e per ristabilire la
comunione con Dio mediante i sacrifici e la preghiera, tale sacerdozio è
tuttavia impotente a operare la salvezza, avendo bisogno di offrire
continuamente sacrifici e non potendo portare ad una santificazione definitiva,
[Cf Eb 5,3; Eb 7,27; Eb 10,1-4 ] che soltanto il sacrificio di Cristo avrebbe
operato.
1541
La Liturgia della Chiesa vede tuttavia nel sacerdozio di Aronne e nel servizio
dei leviti, come pure nell'istituzione dei settanta “Anziani”, [Cf Nm
11,24-25 ] delle prefigurazioni del ministero ordinato della Nuova Alleanza. Così,
nel rito latino, la Chiesa si esprime nella preghiera consacratoria
dell'ordinazione dei vescovi:
O
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. . . Con la parola di salvezza hai
dato norme di vita nella tua Chiesa: tu, dal principio, hai eletto Abramo come
padre dei giusti, hai costituito capi e sacerdoti per non lasciare mai senza
ministero il tuo santuario. . [Pontificale romano, Ordinazione del Vescovo, dei
presbiteri e dei diaconi, 52].
1542
Nell'ordinazione dei sacerdoti, la Chiesa prega:
Signore,
Padre santo. . . Nell'Antica Alleanza presero forma e figura vari uffici
istituiti per il servizio liturgico. A Mosè e ad Aronne, da te prescelti per
reggere e santificare il tuo popolo, associasti collaboratori che li seguivano
nel grado e nella dignità. Nel cammino dell'esodo comunicasti a settanta uomini
saggi e prudenti lo spirito di Mosè tuo servo, perché egli potesse guidare più
agevolmente con il loro aiuto il tuo popolo. Tu rendesti partecipi i figli di
Aronne della pienezza del loro padre, perché non mancasse mai nella tua tenda
il servizio sacerdotale [Pontificale romano, Ordinazione del Vescovo, dei
presbiteri e dei diaconi, 52].
1543
E nella preghiera consacratoria per l'ordinazione dei diaconi, la Chiesa
confessa:
Dio
onnipotente. . . Tu hai formato la Chiesa. . . hai disposto che mediante i tre
gradi del ministero da te istituito cresca e si edifichi il nuovo tempio, come
in antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo
[Pontificale romano, Ordinazione del Vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, 52].
L'unico
sacerdozio di Cristo
1544
Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell'Antica Alleanza trovano il loro
compimento in Cristo Gesù, unico “mediatore tra Dio e gli uomini” ( 1Tm 2,5
). Melchisedek, “sacerdote del Dio altissimo” ( Gen 14,18 ), è considerato
dalla Tradizione cristiana come una prefigurazione del sacerdozio di Cristo,
unico “sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” ( Eb 5,10; Eb 6,20 ),
“santo, innocente, senza macchia” ( Eb 7,26 ), il quale “con un'unica
oblazione. . . ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati” (
Eb 10,14 ), cioè con l'unico sacrificio della sua croce.
1545
Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per tutte.
Tuttavia è reso presente nel sacrificio eucaristico della Chiesa. Lo stesso
vale per l'unico sacerdozio di Cristo: esso è reso presente dal sacerdozio
ministeriale senza che venga diminuita l'unicità del sacerdozio di Cristo.
“Infatti solo Cristo è il vero sacerdote, mentre gli altri sono i suoi
ministri” [San Tommaso d'Aquino, In ad Hebraeos, 7, 4].
Due
partecipazioni all'unico sacerdozio di Cristo
1546
Cristo, sommo sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa “un Regno di
sacerdoti per il suo Dio e Padre” ( Ap 1,6 ) [Cf Ap 5,9-10; 1Pt 2,5; 1546 1Pt
2,9 ].
Tutta
la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli esercitano il
loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la
vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. E' per
mezzo dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione che i fedeli “vengono
consacrati a formare... un sacerdozio santo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 10].
1547
Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei vescovi e dei sacerdoti e il
sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se “l'uno e l'altro, ognuno a suo
proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo”, differiscono
tuttavia essenzialmente, pur essendo “ordinati l'uno all'altro” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10]. In
che senso? Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo
della grazia battesimale - vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo
lo Spirito - il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è
relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. E' uno dei
mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio
per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il
sacramento dell'Ordine.
In
persona di Cristo Capo
1548
Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente
alla sua Chiesa in quanto Capo del suo Corpo, Pastore del suo gregge, Sommo
Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di Verità. E' ciò che la Chiesa
esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell'Ordine, agisce
“in persona Christi capitis” - in persona di Cristo Capo: [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 10; 28; Id.,
Sacrosanctum concilium, 33; Id. , Christus Dominus, 11; Id. , Presbyterorum
ordinis, 2; 6]
E'
il medesimo Sacerdote, Cristo Gesù, di cui realmente il ministro fa le veci.
Costui se, in forza della consacrazione sacerdotale che ha ricevuto, è in verità
assimilato al Sommo Sacerdote, gode della potestà di agire con la potenza dello
stesso Cristo che rappresenta (virtute ac persona ipsius Christi”) [Pio XII,
Lett. enc. Mediator Dei]. Cristo è la fonte di ogni sacerdozio: infatti il
sacerdote della Legge [Antica] era figura di lui, mentre il sacerdote della
nuova Legge agisce in persona di lui [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
III, 22, 4].
1549
Attraverso il ministero ordinato, specialmente dei vescovi e dei sacerdoti, la
presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla
comunità dei credenti [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 21]. Secondo la
bella espressione di sant'Ignazio di Antiochia, il vescovo è “ typos tou
Patros ”, è come l'immagine vivente di Dio Padre [Sant'Ignazio di Antiochia,
Epistula ad Trallianos, 3, 1; cf Epistula ad Magnesios, 6, 1].
1550
Questa presenza di Cristo nel ministro non deve essere intesa come se costui
fosse premunito contro ogni debolezza umana, lo spirito di dominio, gli errori,
persino il peccato. La forza dello Spirito Santo non garantisce nello stesso
modo tutti gli atti dei ministri. Mentre nell'amministrazione dei sacramenti
viene data questa garanzia, così che neppure il peccato del ministro può
impedire il frutto della grazia, esistono molti altri atti in cui l'impronta
umana del ministro lascia tracce che non sono sempre il segno della fedeltà al
Vangelo e che di conseguenza possono nuocere alla fecondità apostolica della
Chiesa.
1551
Questo sacerdozio è ministeriale . “Questo ufficio che il Signore ha affidato
ai pastori del suo popolo è un vero servizio ” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 24]. Esso
è interamente riferito a Cristo e agli uomini. Dipende interamente da Cristo e
dal suo unico sacerdozio ed è stato istituito in favore degli uomini e della
comunità della Chiesa. Il sacramento dell'Ordine comunica “una potestà
sacra”, che è precisamente quella di Cristo. L'esercizio di tale autorità
deve dunque misurarsi sul modello di Cristo, che per amore si è fatto l'ultimo
e il servo di tutti [Cf Mc 10,43-45; 1Pt 5,3 ]. “Il Signore ha esplicitamente
detto che la sollecitudine per il suo gregge era una prova di amore verso di
lui” [San Giovanni Crisostomo, De sacerdotio, 2, 4: PG 48, 635D; cf Gv
21,15-17 ].
“A
nome di tutta la Chiesa”
1552
Il sacerdozio ministeriale non ha solamente il compito di rappresentare Cristo -
Capo della Chiesa - di fronte all'assemblea dei fedeli; esso agisce anche a nome
di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa [Cf Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 33] e soprattutto quando offre il
sacrificio eucaristico [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 10].
1553
“A nome di tutta la Chiesa”. Ciò non significa che i sacerdoti siano i
delegati della comunità. La preghiera e l'offerta della Chiesa sono
inseparabili dalla preghiera e dall'offerta di Cristo, suo Capo. E' sempre il
culto di Cristo nella e per mezzo della sua Chiesa. E' tutta la Chiesa, Corpo di
Cristo, che prega e si offre, “per ipsum et cum ipso et in ipso” - per lui,
con lui e in lui - nell'unità dello Spirito Santo, a Dio Padre. Tutto il Corpo,
“caput et membra” - capo e membra - prega e si offre; per questo coloro che,
nel Corpo, sono i ministri in senso proprio, vengono chiamati ministri non solo
di Cristo, ma anche della Chiesa. Proprio perché rappresenta Cristo, il
sacerdozio ministeriale può rappresentare la Chiesa.
III.
I tre gradi del sacramento dell'Ordine
1554
“Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi
ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri,
diaconi” [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 10]. La dottrina
cattolica, espressa nella Liturgia, nel magistero e nella pratica costante della
Chiesa, riconosce che esistono due gradi di partecipazione ministeriale al
sacerdozio di Cristo: l'episcopato e il presbiterato. Il diaconato è
finalizzato al loro aiuto e al loro servizio. Per questo il termine “ sacerdos
” - sacerdote - designa, nell'uso attuale, i vescovi e i presbiteri, ma non i
diaconi. Tuttavia, la dottrina cattolica insegna che i gradi di partecipazione
sacerdotale (episcopato e presbiterato) e il grado di servizio (diaconato) sono
tutti e tre conferiti da un atto sacramentale chiamato “ordinazione”, cioè
dal sacramento dell'Ordine:
Tutti
rispettino i diaconi come lo stesso Gesù Cristo, e il vescovo come l'immagine
del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come il collegio apostolico:
senza di loro non c'è Chiesa [ Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad
Trallianos, 3, 1].
L'ordinazione
episcopale - pienezza
del
sacramento dell'Ordine
1555
“Fra i vari ministeri che fin dai primi tempi si esercitano nella Chiesa,
secondo la testimonianza della Tradizione, tiene il primo posto l'ufficio di
quelli che, costituiti nell'episcopato, per successione che risale all'origine,
possiedono i tralci del seme apostolico” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 20].
1556
Per adempiere alla loro alta missione, “gli Apostoli sono stati arricchiti da
Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo discendente su loro, ed
essi stessi, con l'imposizione delle mani, hanno trasmesso questo dono dello
Spirito ai loro collaboratori, dono che è stato trasmesso fino a noi nella
consacrazione episcopale” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 20].
1557
Il Concilio Vaticano II insegna che “con la consacrazione episcopale viene
conferita la pienezza del sacramento dell'Ordine, quella cioè che dalla
consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata
il sommo sacerdozio, il vertice ["Summa"] del sacro ministero” [Conc.
Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 20].
1558
“La consacrazione episcopale conferisce pure, con l'ufficio di santificare,
gli uffici di insegnare e di governare... Infatti... con l'imposizione delle
mani e con le parole della consacrazione la grazia dello Spirito Santo viene
conferita e viene impresso un sacro carattere, in maniera che i vescovi, in modo
eminente e visibile, sostengono le parti dello stesso Cristo Maestro, Pastore e
Pontefice, e agiscono in sua persona ["in Eius persona agant"]” [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20]. “Perciò
i vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono divenuti
i veri e autentici maestri della fede, i pontefici e i pastori” [Conc. Ecum. Vat. II, Christus Dominus, 2].
1559
“Uno viene costituito membro del corpo episcopale in virtù della
consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica col capo del
collegio e con i membri” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22]. Il
carattere e la natura collegiale dell'ordine episcopale si manifestano, tra
l'altro, nell'antica prassi della Chiesa che per la consacrazione di un nuovo
vescovo vuole la partecipazione di più vescovi [Cf ibid]. Per l'ordinazione
legittima di un vescovo, oggi è richiesto un intervento speciale del Vescovo di
Roma, per il fatto che egli è il supremo vincolo visibile della comunione delle
Chiese particolari nell'unica Chiesa e il garante della loro libertà.
1560
Ogni vescovo ha, quale vicario di Cristo, l'ufficio pastorale della Chiesa
particolare che gli è stata affidata, ma nello stesso tempo porta
collegialmente con tutti i fratelli nell'episcopato la sollecitudine per tutte
le Chiese: “Se ogni vescovo è propriamente pastore soltanto della porzione
del gregge affidata alle sue cure, la sua qualità di legittimo successore degli
Apostoli, per istituzione divina, lo rende solidarmente responsabile della
missione apostolica della Chiesa” [Pio XII, Lett. enc. Fidei donum; cf Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23; Id., Christus Dominus, 4; 36; 37; Id. , Ad
gentes, 5; 6; 38].
1561
Quanto è stato detto spiega perché l'Eucaristia celebrata dal vescovo ha un
significato tutto speciale come espressione della Chiesa riunita attorno
all'altare sotto la presidenza di colui che rappresenta visibilmente Cristo,
Buon Pastore e Capo della sua Chiesa [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 41; Id. , Lumen gentium, 26].
L'ordinazione
dei presbiteri - cooperatori dei vescovi
1562
“Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi Apostoli
ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro
successori, cioè i vescovi, i quali hanno legittimamente affidato, secondo
diversi gradi, l'ufficio del loro ministero a vari soggetti nella Chiesa” [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. “La
[loro] funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri,
affinché questi, costituiti nell'Ordine del presbiterato, fossero cooperatori
dell'Ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica
affidata da Cristo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1563
“La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente unita all'Ordine
episcopale, partecipa dell'autorità con la quale Cristo stesso fa crescere,
santifica e governa il proprio Corpo. Per questo motivo, il sacerdozio dei
presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell'iniziazione cristiana, viene
conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù
dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li
configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di
Cristo Capo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 2].
1564
“I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai
vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti
nell'onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell'Ordine, a immagine di
Cristo, sommo ed eterno sacerdote, [Cf Eb 5,1-10; Eb 7,24; Eb 9,11-28 ] sono
consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto
divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento ” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 28].
1565
In virtù del sacramento dell'Ordine i sacerdoti partecipano alla dimensione
universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli. “Il dono
spirituale che. . . hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara ad una
missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di
salvezza, "fino agli ultimi confini della terra"”, [Conc. Ecum. Vat.
II, Presbyterorum ordinis, 10] “pronti nel loro animo a predicare dovunque il
Vangelo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Optatam totius, 20].
1566
Essi “soprattutto esercitano la loro funzione sacra nel culto o assemblea
eucaristica, dove, agendo in persona di Cristo, e proclamando il suo mistero,
uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della
Messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore, l'unico
sacrificio del Nuovo Testamento, il sacrificio cioè di Cristo, che una volta
per tutte si offre al Padre quale vittima immacolata” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 28]. Da questo
unico sacrificio tutto il loro ministero sacerdotale trae la sua forza [Cf Conc.
Ecum. Vat.
II, Presbyterorum ordinis, 2].
1567
“I presbiteri, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suoi aiuto e
strumento, chiamati al servizio del Popolo di Dio, costituiscono col loro
vescovo un unico presbiterio, sebbene destinato a uffici diversi. Nelle singole
comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il vescovo, cui
sono uniti con animo fiducioso e grande, condividono in parte le sue funzioni e
la sua sollecitudine e le esercitano con dedizione quotidiana” [ Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 28]. I
sacerdoti non possono esercitare il loro ministero se non in dipendenza dal
vescovo e in comunione con lui. La promessa di obbedienza che fanno al vescovo
al momento dell'ordinazione e il bacio di pace del vescovo al termine della
liturgia dell'ordinazione significano che il vescovo li considera come suoi
collaboratori, suoi figli, suoi fratelli e suoi amici, e che, in cambio, essi
gli devono amore e obbedienza.
1568
“I presbiteri, costituiti nell'ordine del presbiterato mediante l'ordinazione,
sono tutti tra loro uniti da intima fraternità sacramentale; ma in modo
speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono
assegnati sotto il proprio vescovo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 8]. L'unità
del presbiterio trova un'espressione liturgica nella consuetudine secondo la
quale, durante il rito dell'ordinazione, i presbiteri, dopo il vescovo,
impongono anch'essi le mani.
L'ordinazione
dei diaconi - “per il servizio”
1569
“In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte
le mani "non per il sacerdozio, ma per il servizio"” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29; cf Id. , Christus
Dominus, 15]. Per l'ordinazione al
diaconato soltanto il vescovo impone le mani, significando così che il diacono
è legato in modo speciale al vescovo nei compiti della sua “diaconia” [Cf
Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 8].
1570
I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di
Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 41; Id. , Apostolicam
actuositatem, 16]. Il sacramento dell'Ordine imprime in loro un segno
(carattere”) che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale
si è fatto “diacono”, cioè il servo di tutti [Cf Mc 10,45; 1570 Lc 22,27;
San Policarpo di Smirne, Epistula ad Philippenses, 5, 2]. Compete ai diaconi,
tra l'altro, assistere il vescovo e i presbiteri nella celebrazione dei divini
misteri, soprattutto dell'Eucaristia, distribuirla, assistere e benedire il
matrimonio, proclamare il Vangelo e predicare, presiedere ai funerali e
dedicarsi ai vari servizi della carità [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 29; Id. , Sacrosanctum concilium, 35, 4; Id. , Ad gentes,
16].
1571
Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ripristinato il diaconato
“come un grado proprio e permanente della gerarchia”, [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 29] mentre le Chiese d'Oriente lo avevano sempre conservato. Il
diaconato permanente, che può essere conferito a uomini sposati, costituisce un
importante arricchimento per la missione della Chiesa. In realtà, è
conveniente e utile che gli uomini che nella Chiesa adempiono un ministero
veramente diaconale, sia nella vita liturgica e pastorale, sia nelle opere
sociali e caritative “siano fortificati per mezzo dell'imposizione delle mani,
trasmessa dal tempo degli Apostoli, e siano più strettamente uniti all'altare,
per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della
grazia sacramentale del diaconato” [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 16].
IV.
La celebrazione di questo sacramento
1572
La celebrazione dell'ordinazione di un vescovo, di presbiteri o di diaconi, data
la sua importanza per la vita della Chiesa particolare, richiede il concorso del
maggior numero possibile di fedeli. Avrà luogo preferibilmente la domenica e
nella cattedrale, con quella solennità che si addice alla circostanza. Le tre
ordinazioni, del vescovo, del presbitero, e del diacono, hanno la medesima
configurazione. Il loro posto è in seno alla liturgia eucaristica.
1573
Il rito essenziale del sacramento dell'Ordine è costituito, per i tre gradi,
dall'imposizione delle mani, da parte del vescovo, sul capo dell'ordinando come
pure dalla specifica preghiera consacratoria che domanda a Dio l'effusione dello
Spirito Santo e dei suoi doni adatti al ministero per il quale il candidato
viene ordinato [Cf Pio XII, Cost. ap. Sacramentum
Ordinis: Denz. -Schönm., 3858].
1574
Come in tutti i sacramenti, accompagnano la celebrazione alcuni riti annessi.
Pur variando notevolmente nelle diverse tradizioni liturgiche, essi hanno in
comune la proprietà di esprimere i molteplici aspetti della grazia
sacramentale. Così, nel rito latino, i riti di introduzione - la presentazione
e l'elezione dell'ordinando, l'omelia del vescovo, l'interrogazione
dell'ordinando, le litanie dei santi - attestano che la scelta del candidato è
stata fatta in conformità alla prassi della Chiesa e preparano l'atto solenne
della consacrazione. A questa fanno seguito altri riti che esprimono e
completano in maniera simbolica il mistero che si è compiuto: per il vescovo e
il pre sbitero l'unzione del santo crisma, segno dell'unzione speciale dello
Spirito Santo che rende fecondo il loro ministero; la consegna del libro dei
Vangeli, dell'anello, della mitra e del pastorale al vescovo, come segno della
sua missione apostolica di annunziare la Parola di Dio, della sua fedeltà alla
Chiesa, sposa di Cristo, del suo compito di pastore del gregge del Signore; la
consegna, al sacerdote, della patena e del calice, “l'offerta del popolo
santo”, che egli è chiamato a presentare a Dio; la consegna del libro dei
Vangeli al diacono, che ha ricevuto la missione di annunziare il Vangelo di
Cristo.
V.
Chi può conferire questo sacramento?
1575
E' Cristo che ha scelto gli Apostoli e li ha resi partecipi della sua missione e
della sua autorità. Innalzato alla destra del Padre, non abbandona il suo
gregge, ma lo custodisce e lo protegge sempre per mezzo degli Apostoli e ancora
lo conduce sotto la guida di quegli stessi pastori che continuano oggi la sua
opera [Cf Messale Romano, Prefazio degli Apostoli I]. E' dunque Cristo che
stabilisce alcuni come apostoli, altri come pastori [Cf Ef 4,11 ]. Egli continua
ad agire per mezzo dei vescovi [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 21].
1576
Poiché il sacramento dell'Ordine è il sacramento del ministero apostolico,
spetta ai vescovi in quanto successori degli Apostoli trasmettere “questo dono
dello Spirito”, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 21] “il seme
apostolico” [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 21]. I vescovi
validamente ordinati, che sono cioè nella linea della successione apostolica,
conferiscono validamente i tre gradi del sacramento dell'Ordine [Cf Innocenzo
III, Lettera Eius exemplo: Denz. -Schönm., 794; Concilio Lateranense IV: ibid.,
802; Codice di Diritto Canonico, 1012; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium,
744; 747].
VI.
Chi può ricevere questo sacramento?
1577
“Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso
maschile ["vir"]” [Codice di Diritto Canonico, 1024]. Il Signore Gesù
ha scelto degli uomini ["viri"] per formare il collegio dei dodici
Apostoli, [Cf Mc 3,14-19, Lc 6,12-16 ] e gli Apostoli hanno fatto lo stesso
quando hanno scelto i collaboratori [Cf 1Tm 3,1-13; 2Tm 1,6; Tt 1,5-9 ] che
sarebbero loro succeduti nel ministero [S. Clemente di Roma, Epistula ad
Corinthios, 42, 4; 44, 3]. Il collegio dei vescovi, con i quali i presbiteri
sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo
il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta
dal Signore stesso. Per questo motivo l'ordinazione delle donne non è possibile
[Cf Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 26-27; Congregazione per
la Dottrina della Fede, Dich. Inter insigniores: AAS 69 (1977), 98-116].
1578
Nessuno ha un diritto a ricevere il sacramento dell'Ordine. Infatti nessuno può
attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è chiamati da Dio [Cf Eb 5,4
]. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al ministero ordinato,
deve sottomettere umilmente il proprio desiderio all'autorità della Chiesa,
alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a
ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento non può essere
ricevuto che come un dono immeritato.
1579
Tutti i ministri ordinati della Chiesa latina, ad eccezione dei diaconi
permanenti, sono normalmente scelti fra gli uomini credenti che vivono da celibi
e che intendono conservare il celibato “per il Regno dei cieli” ( Mt 19,12
). Chiamati a consacrarsi con cuore indiviso al Signore e alle “sue cose”, [Cf
1Cor 7,32 ] essi si donano interamente a Dio e agli uomini. Il celibato è un
segno di questa vita nuova al cui servizio il ministro della Chiesa viene
consacrato; abbracciato con cuore gioioso, esso annuncia in modo radioso il
Regno di Dio [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16].
1580
Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa: mentre i
vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato, uomini
sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è da molto
tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero
fruttuoso in seno alle loro comunità [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16]. D'altro
canto il celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e
numerosi sono i presbiteri che l'hanno scelto liberamente, per il Regno di Dio.
In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell'Ordine non può
più sposarsi.
VII.
Gli effetti del sacramento dell'Ordine
Il
carattere indelebile
1581
Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello
Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa.
Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di
Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e
re.
1582
Come nel caso del Battesimo e della Confermazione, questa partecipazione alla
funzione di Cristo è accordata una volta per tutte. Il sacramento dell'Ordine
conferisce, anch'esso, un carattere spirituale indelebile e non può essere
ripetuto né essere conferito per un tempo limitato [Cf Concilio di Trento: Denz.
-Schönm., 1767; Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 21; 28; 29; Id. , Presbyterorum ordinis, 2].
1583
Un soggetto validamente ordinato può, certo, per gravi motivi, essere
dispensato dagli obblighi e dalle funzioni connessi all'ordinazione o gli può
essere fatto divieto di esercitarli, [Cf Codice di Diritto Canonico, 290-293;
1336, 1, 3. 5; 1338, 2] ma non può più ridiventare laico in senso stretto,
poiché il carattere impresso dall'ordinazione rimane per sempre. La vocazione e
la missione ricevute nel giorno della sua ordinazione, lo segnano in modo
permanente.
1584
Poiché in definitiva è Cristo che agisce e opera la salvezza mediante il
ministro ordinato, l'indegnità di costui non impedisce a Cristo di agire.
Sant'Agostino lo dice con forza:
Un
ministro superbo va messo assieme al diavolo; ma non per questo viene
contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui continua a fluire nella sua
purezza e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la terra. . . La virtù
spirituale del sacramento è infatti come la luce: giunge pura a coloro che
devono essere illuminati, e anche se deve passare attraverso degli esseri
immondi, non viene contaminata [Sant'Agostino, In Evangelium Johannis tractatus,
5, 15].
La
grazia dello Spirito Santo
1585
La grazia dello Spirito Santo propria di questo sacramento consiste in una
configurazione a Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore del quale l'ordinato è
costituito ministro.
1586
Per il vescovo è innanzitutto una grazia di fortezza (Il tuo Spirito che regge
e guida”: Preghiera consacratoria del vescovo nel rito latino): la grazia di
guidare e di difendere con forza e prudenza la sua Chiesa come un padre e un
pastore, con un amore gratuito verso tutti e una predilezione per i poveri, gli
ammalati e i bisognosi [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Christus Dominus, 13 e 16]. Questa
grazia lo spinge ad annunciare a tutti il Vangelo, ad essere il modello del suo
gregge, a precederlo sul cammino della santificazione identificandosi
nell'Eucaristia con Cristo Sacerdote e Vittima, senza temere di dare la vita per
le sue pecore:
Concedi,
Padre che conosci i cuori, a questo servo che hai scelto per l'episcopato, di
pascere il tuo santo gregge e di esercitare in maniera irreprensibile e in tuo
onore la massima dignità sacerdotale, servendoti notte e giorno; di rendere il
tuo volto incessantemente propizio e di offrirti i doni della tua santa Chiesa;
di avere, in virtù dello spirito del sommo sacerdozio, il potere di rimettere i
peccati secondo il tuo comando, di distribuire i compiti secondo la tua volontà
e di sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato agli Apostoli; di
esserti accetto per la sua mansuetudine e per la purezza del suo cuore,
offrendoti un profumo soave per mezzo di Gesù Cristo tuo Figlio. .
[Sant'Ippolito di Roma, Traditio apostolica, 3].
1587
Il dono spirituale conferito dall'ordinazione presbiterale è espresso da questa
preghiera propria del rito bizantino. Il vescovo, imponendo le mani, dice tra
l'altro:
Signore,
riempi di Spirito Santo colui che ti sei degnato di elevare alla dignità
sacerdotale, affinché sia degno di stare irreprensibile davanti al tuo altare,
di annunciare il Vangelo del tuo Regno, di compiere il ministero della tua
parola di verità, di offrirti doni e sacrifici spirituali, di rinnovare il tuo
popolo mediante il lavacro della rigenerazione; in modo che egli stesso vada
incontro al nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, tuo unico Figlio, nel
giorno della sua seconda venuta, e riceva dalla tua immensa bontà la ricompensa
di un fedele adempimento del suo ministero [Eucologia della liturgia bizantina].
1588
Quanto ai diaconi, la grazia sacramentale dà loro la forza necessaria per
servire il popolo di Dio nella “diaconia” della Liturgia, della Parola e
della carità, in comunione con il vescovo e il suo presbiterio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 29].
1589
Dinanzi alla grandezza della grazia e dell'ufficio sacerdotali, i santi dottori
hanno avvertito l'urgente appello alla conversione al fine di corrispondere con
tutta la loro vita a Colui di cui sono divenuti ministri mediante il sacramento.
Così, san Gregorio Nazianzeno, giovanissimo sacerdote, esclama:
Bisogna
cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri; bisogna
essere istruiti per poter istruire; bisogna divenire luce per illuminare,
avvicinarsi a Dio per avvicinare a lui gli altri, essere santificati per
santificare, condurre per mano e consigliare con intelligenza [San Gregorio
Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B]. So di chi siamo i ministri, a quale
altezza ci troviamo e chi è Colui verso il quale ci dirigiamo. Conosco la
grandezza di Dio e la debolezza dell'uomo, ma anche la sua forza [San Gregorio
Nazianzeno, Orationes, 2, 71: PG 35, 480B]. [ Chi è dunque il sacerdote? E'] il
difensore della verità, si eleva con gli angeli, glorifica con gli arcangeli,
fa salire sull'altare del cielo le vittime dei sacrifici, condivide il
sacerdozio di Cristo, riplasma la creatura, restaura [in essa] l'immagine [di
Dio], la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire ciò che vi è di più di
sublime, è divinizzato e divinizza [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 2, 71:
PG 35, 480B].
E
il santo Curato d'Ars: “E' il sacerdote che continua l'opera di redenzione
sulla terra”. . . “Se si comprendesse bene il sacerdote qui in terra, si
morirebbe non di spavento, ma di amore”... “Il Sacerdozio è l'amore del
cuore di Gesù” [B. Nodet, Jean-Marie Vianney, Curé d'Ars, 100].
1590
San Paolo dice al suo discepolo Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di
Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani” ( 2Tm 1,6 ), e “se uno
aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro” ( 1Tm 3,1 ). A Tito diceva:
“Per questo ti ho lasciato a Creta, perché regolassi ciò che rimane da fare
e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho
dato” ( Tt 1,5 ).
1591
Tutta la Chiesa è un popolo sacerdotale. Grazie al battesimo, tutti i fedeli
partecipano al sacerdozio di Cristo. Tale partecipazione si chiama “sacerdozio
comune dei fedeli”. Sulla sua base e al suo servizio esiste un'altra
partecipazione alla missione di Cristo: quella del ministero conferito dal
sacramento dell'Ordine, la cui funzione è di servire a nome e in persona di
Cristo Capo in mezzo alla comunità.
1592
Il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente dal sacerdozio comune dei
fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei fedeli. I ministri
ordinati esercitano il loro servizio presso il popolo di Dio attraverso
l'insegnamento [munus docendi], il culto divino [munus liturgicum] e il governo
pastorale [munus regendi].
1593
Fin dalle origini, il ministero ordinato è stato conferito ed esercitato in tre
gradi: quello dei vescovi, quello dei presbiteri e quello dei diaconi. I
ministeri conferiti dall'ordinazione sono insostituibili per la struttura
organica della Chiesa: senza il vescovo, i presbiteri e i diaconi, non si può
parlare di Chiesa [Cf Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Trallianos, 3, 1].
1594
Il vescovo riceve la pienezza del sacramento dell'Ordine che lo inserisce nel
Collegio episcopale e fa di lui il capo visibile della Chiesa particolare che
gli è affidata. I vescovi, in quanto successori degli Apostoli e membri del
Collegio, hanno parte alla responsabilità apostolica e alla missione di tutta
la Chiesa sotto l'autorità del Papa, successore di san Pietro.
1595
I presbiteri sono uniti ai vescovi nella dignità sacerdotale e nello stesso
tempo dipendono da essi nell'esercizio delle loro funzioni pastorali; sono
chiamati ad essere i saggi collaboratori dei vescovi; riuniti attorno al loro
vescovo formano il “presbiterio”, che insieme con lui porta la responsabilità
della Chiesa particolare. Essi ricevono dal vescovo la responsabilità di una
comunità parrocchiale o di una determinata funzione ecclesiale.
1596
I diaconi sono ministri ordinati per gli incarichi di servizio della Chiesa; non
ricevono il sacerdozio ministeriale, ma l'ordinazione conferisce loro funzioni
importanti nel ministero della Parola, del culto divino, del governo pastorale e
del servizio della carità, compiti che devono assolvere sotto l'autorità
pastorale del loro vescovo.
1597
Il sacramento dell'Ordine è conferito mediante l'imposizione delle mani seguita
da una preghiera consacratoria solenne che chiede a Dio per l'ordinando le
grazie dello Spirito Santo richieste per il suo ministero. L'ordinazione imprime
un carattere sacramentale indelebile.
1598
La Chiesa conferisce il sacramento dell'Ordine soltanto a uomini (viris)
battezzati, le cui attitudini per l'esercizio del ministero sono state
debitamente riconosciute. Spetta all'autorità della Chiesa la responsabilità e
il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini.
1599
Nella Chiesa latina il sacramento dell'Ordine per il presbiterato è conferito
normalmente solo a candidati disposti ad abbracciare liberamente il celibato e
che manifestano pubblicamente la loro volontà di osservarlo per amore del Regno
di Dio e del servizio degli uomini.
1600
Spetta ai vescovi conferire il sacramento dell'Ordine nei tre gradi.
IL
SACRAMENTO DEL MATRIMONIO
1601
“Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la
comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla
procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da
Cristo Signore alla dignità di sacramento” [Codice di Diritto Canonico, 1055,
1].
I.
Il matrimonio nel disegno di Dio
1602
La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell'uomo e della donna ad immagine
e somiglianza di Dio [Cf Gen 1,26-27 ] e si chiude con la visione delle “nozze
dell'Agnello” ( Ap 19,7; Ap 19,9 ). Da un capo all'altro la Scrittura parla
del Matrimonio e del suo “mistero”, della sua istituzione e del senso che
Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse
realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà
derivate dal peccato e del suo rinnovamento “nel Signore” ( 1Cor 7,39 ),
nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa [Cf Ef 5,31-32 ].
Il
matrimonio nell'ordine della creazione
1603
“L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e
strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale. . . Dio stesso
è l'autore del matrimonio” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. La
vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell'uomo e della donna,
quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un'istituzione
puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso
dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali.
Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti.
Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa
chiarezza, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47] esiste tuttavia in
tutte le culture un certo senso della grandezza dell'unione matrimoniale, poiché
“la salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente
connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare” [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 47].
1604
Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore, vocazione
fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine
e somiglianza di Dio [Cf Gen 1,27 ] che è Amore [Cf 1Gv 4,8; 1Gv 4,16 ].
Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un'immagine
dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo. E' cosa buona, molto
buona, agli occhi del Creatore [Cf Gen 1,31 ]. E questo amore che Dio benedice
è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi nell'opera comune della custodia
della creazione: “Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela"” ( Gen 1,28 ).
1605
Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma la Sacra
Scrittura: “Non è bene che l'uomo sia solo”. La donna, “carne della sua
carne”, sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come un
“aiuto”, rappresentando così Dio dal quale viene il nostro aiuto [ Cf Sal
121,2 ]. “Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una sola carne” ( Gen 2,24 ) [Cf Gen 2,18-25 ]. Che
ciò significhi un'unità indefettibile delle loro due esistenze, il Signore
stesso lo mostra ricordando quale sia stato, “all'origine”, il disegno del
Creatore: “Così che non sono più due, ma una carne sola” ( Mt 19,6 ).
Il
matrimonio sotto il regime del peccato
1606
Ogni uomo fa l'esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa
esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l'uomo e la donna. Da sempre
la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio,
dall'infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all'odio
e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e
può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui,
ma sembra proprio avere un carattere universale.
1607
Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva
dalla natura dell'uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma
dal peccato . Rottura con Dio, il primo peccato ha come prima conseguenza la
rottura della comunione originale dell'uomo e della donna. Le loro relazioni
sono distorte da accuse reciproche; [Cf Gen 3,12 ] la loro mutua attrattiva,
dono proprio del Creatore, [Cf Gen 2,22 ] si cambia in rapporti di dominio e di
bramosia; [Cf Gen 3,16 b] la splendida vocazione dell'uomo e della donna ad
essere fecondi, a moltiplicarsi e a soggiogare la terra [Cf Gen 1,28 ] è
gravata dai dolori del parto e dalle fatiche del lavoro [ Cf Gen 3,16-19 ].
1608
Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l'ordine della creazione permane. Per
guarire le ferite del peccato, l'uomo e la donna hanno bisogno dell'aiuto della
grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato [Cf
Gen 3,21 ]. Senza questo aiuto l'uomo e la donna non possono giungere a
realizzare l'unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati
“all'inizio”.
Il
matrimonio sotto la pedagogia della Legge
1609
Nella sua misericordia, Dio non ha abbandonato l'uomo peccatore. Le sofferenze
che derivano dal peccato, “i dolori del parto” ( Gen 3,16 ), il lavoro
“con il sudore del volto” ( Gen 3,19 ), costituiscono anche dei rimedi che
attenuano i danni del peccato. Dopo la caduta, il matrimonio aiuta a vincere il
ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi
all'altro, all'aiuto vicendevole, al dono di sé.
1610
La coscienza morale riguardante l'unità e l'indissolubilità del matrimonio si
è sviluppata sotto la pedagogia della Legge antica. La poligamia dei patriarchi
e dei re non è ancora esplicitamente rifiutata. Tuttavia, la Legge data a Mosè
mira a proteggere la donna contro l'arbitrarietà del dominio da parte
dell'uomo, sebbene anch'essa porti, secondo la Parola del Signore, le tracce
della “durezza del cuore” dell'uomo, a motivo della quale Mosè ha permesso
il ripudio della donna [Cf Mt 19,8; 1610 Dt 24,1 ].
1611
Vedendo l'Alleanza di Dio con Israele sotto l'immagine di un amore coniugale
esclusivo e fedele, [Cf Os 1-3; Is 54; Is 62; Ger 2-3; 1611 Ger 31; Ez 16; Ez 23
] i profeti hanno preparato la coscienza del Popolo eletto ad una intelligenza
approfondita dell'unicità e dell'indissolubilità del matrimonio [Cf Ml 2,13-17
]. I libri di Rut e di Tobia offrono testimonianze commoventi di un alto senso
del matrimonio, della fedeltà e della tenerezza degli sposi. La Tradizione ha
sempre visto nel Cantico dei Cantici un'espressione unica dell'amore umano, in
quanto è riflesso dell'amore di Dio, amore “forte come la morte” che “le
grandi acque non possono spegnere” ( Ct 8,6-7 ).
Il
matrimonio nel Signore
1612
L'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l'Alleanza
Nuova ed eterna nella quale il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria
vita, in certo modo si è unito tutta l'umanità da lui salvata, [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Gaudium et spes, 22] preparando così “le nozze dell'Agnello” (Ap
19,7; Ap 19,9).
1613
Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno - su
richiesta di sua Madre - durante una festa nuziale [Cf Gv 2,1-11 ]. La Chiesa
attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle nozze di Cana. Vi
riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l'annuncio che ormai esso
sarà un segno efficace della presenza di Cristo.
1614
Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale
dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha voluta all'origine:
il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione
motivata dalla durezza del cuore; [Cf Mt 19,8 ] l'unione matrimoniale dell'uomo
e della donna è indissolubile: Dio stesso l'ha conclusa. “Quello dunque che
Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” ( Mt 19,6 ).
1615
Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale
ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile [Cf Mt
19,10 ]. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da
portare e troppo gravoso, [Cf Mt 11,29-30 ] più pesante della Legge di Mosè.
Venendo a ristabilire l'ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato,
egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova
dimensione del Regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su
di sé la propria croce [Cf Mc 8,34 ] gli sposi potranno “capire” [Cf Mt
19,11 ] il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo.
Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo,
sorgente di ogni vita cristiana.
1616
E' ciò che l'Apostolo Paolo lascia intendere quando dice: “Voi, mariti, amate
le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per
renderla santa” ( Ef 5,25-26 ), e aggiunge subito: “Per questo l'uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne
sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa!” ( Ef 5,31-32 ).
1617
Tutta la vita cristiana porta il segno dell'amore sponsale di Cristo e della
Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel Popolo di Dio, è un mistero
nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze [Cf Ef 5,26-27 ] che precede il
banchetto di nozze, l'Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta,
segno efficace, sacramento dell'alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne
significa e ne comunica la grazia, il matrimonio fra battezzati è un vero
sacramento della Nuova Alleanza [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1800;
Codice di Diritto Canonico, 1055, 2].
La
verginità per il Regno
1618
Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il primo
posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali [Cf Lc 14,26; 1618
Mc 10,28-31 ]. Fin dall'inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che
hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per seguire “l'Agnello dovunque
va”( Ap 14,4 ), per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di
piacergli, [Cf 1Cor 7,32 ] per andare incontro allo Sposo che viene [Cf Mt 25,6
]. Cristo stesso ha invitato certuni a seguirlo in questo genere di vita, di cui
egli rimane il modello:
Vi
sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono
alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono
fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca ( Mt 19,12 ).
1619
La verginità per il Regno dei cieli è uno sviluppo della grazia battesimale,
un segno possente della preminenza del legame con Cristo, dell'attesa ardente
del suo ritorno, un segno che ricorda pure come il matrimonio sia una realtà
del mondo presente che passa [Cf Mc 12,25; 1Cor 7,31 ].
1620
Entrambi, il sacramento del Matrimonio e la verginità per il Regno di Dio,
provengono dal Signore stesso. E' lui che dà loro senso e concede la grazia
indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà [Cf Mt 19,3-12 ]. La
stima della verginità per il Regno [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42;
Id., Perfectae caritatis, 12; Id. , Optatam totius, 10] e il senso cristiano del
Matrimonio sono inseparabili e si favoriscono reciprocamente:
Chi
denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi lo loda,
aumenta l'ammirazione che è dovuta alla verginità. . . Infatti, ciò che
sembra bello solo in rapporto a ciò che è brutto non può essere molto bello;
quello che invece è la migliore delle cose considerate buone, è la cosa più
bella in senso assoluto [San Giovanni Crisostomo, De virginitate, 10, 1: PG 48,
540A; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 16].
II.
La celebrazione del Matrimonio
1621
Nel rito latino, la celebrazione del Matrimonio tra due fedeli cattolici ha
luogo normalmente durante la Santa Messa, a motivo del legame di tutti i
sacramenti con il Mistero pasquale di Cristo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 61]. Nell'Eucaristia
si realizza il memoriale della Nuova Alleanza, nella quale Cristo si è unito
per sempre alla Chiesa, sua diletta sposa per la quale ha dato se stesso [Cf
Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 6]. E' dunque
conveniente che gli sposi suggellino il loro consenso a donarsi l'uno all'altro
con l'offerta delle loro proprie vite, unendola all'offerta di Cristo per la sua
Chiesa, resa presente nel sacrificio eucaristico, e ricevendo l'Eucaristia,
affinché, nel comunicare al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi
“formino un corpo solo” in Cristo [Cf 1Cor 10,17 ].
1622
“In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione liturgica del
Matrimonio. . . deve essere per sé valida, degna e fruttuosa” [Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Familiaris consortio, 67]. Conviene quindi che i futuri sposi si
dispongano alla celebrazione del loro Matrimonio ricevendo il sacramento della
Penitenza.
1623
Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia di
Cristo, a conferirsi mutualmente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti
alla Chiesa il loro consenso. Nelle tradizioni delle Chiese orientali, i
sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del reciproco consenso scambiato
tra gli sposi ma anche la loro benedizione è necessaria per la validità del
sacramento.
1624
Le diverse liturgie sono ricche di preghiere di benedizione e di epiclesi che
chiedono a Dio la sua grazia e la benedizione sulla nuova coppia, specialmente
sulla sposa. Nell'epiclesi di questo sacramento gli sposi ricevono lo Spirito
Santo come Comunione di amore di Cristo e della Chiesa [Cf Ef 5,32 ]. E' lui il
sigillo della loro alleanza, la sorgente sempre offerta del loro amore, la forza
in cui si rinnoverà la loro fedeltà.
III.
Il consenso matrimoniale
1625
I protagonisti dell'alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna battezzati,
liberi di contrarre il matrimonio e che esprimono liberamente il loro consenso.
“Essere libero” vuol dire:
-
non subire costrizioni;
-
non avere impedimenti in base ad una legge naturale o ecclesiastica.
1626
La Chiesa considera lo scambio del consenso tra gli sposi come l'elemento
indispensabile “che costituisce il matrimonio” [Codice di Diritto Canonico,
1057, 1]. Se il consenso manca, non c'è matrimonio.
1627
Il consenso consiste in un “atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno
e si ricevono”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; cf Codice di
Diritto Canonico, 1057, 2] “Io prendo te come mia sposa” - “Io prendo te
come mio sposo” [Rituale romano, Il sacramento del matrimonio, 45]. Questo
consenso che lega gli sposi tra loro, trova il suo compimento nel fatto che i
due diventano “una carne sola” [Cf Gen 2,24; Mc 10,8; Ef 5,31 ].
1628
Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei contraenti,
libero da violenza o da grave costrizione esterna [Cf Codice di Diritto
Canonico, 1103]. Nessuna potestà umana può sostituirsi a questo consenso [Cf
ibid., 1057, 1]. Se tale libertà manca, il matrimonio è invalido.
1629
Per questo motivo (o per altre cause che rendono nullo e non avvenuto il
matrimonio): [Cf Codice di Diritto Canonico, 1095-1107] la Chiesa può, dopo
esame della situazione da parte del tribunale ecclesiastico competente,
dichiarare “la nullità del matrimonio”, vale a dire che il matrimonio non
è mai esistito. In questo caso i contraenti sono liberi di sposarsi, salvo
rispettare gli obblighi naturali derivati da una precedente unione [Cf ibid.,
1071].
1630
Il sacerdote (o il diacono) che assiste alla celebrazione del matrimonio,
accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà la benedizione della
Chiesa. La presenza del ministro della Chiesa (e anche dei testimoni) esprime
visibilmente che il matrimonio è una realtà ecclesiale.
1631
E' per questo motivo che la Chiesa normalmente richiede per i suoi fedeli la
forma ecclesiastica della celebrazione del matrimonio [Cf Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1813-1816; Codice di Diritto Canonico, 1108]. Diverse ragioni
concorrono a spiegare questa determinazione:
-
Il matrimonio sacramentale è un atto liturgico. E' quindi conveniente che venga
celebrato nella Liturgia pubblica della Chiesa.
-
Il matrimonio introduce in un ordo - ordine - ecclesiale, crea dei diritti e dei
doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli.
-
Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi
sia certezza sul matrimonio (da qui l'obbligo di avere dei testimoni).
-
Il carattere pubblico del consenso protegge il “Sì” una volta dato e aiuta
a rimanervi fedele.
1632
Perché il “Sì” degli sposi sia un atto libero e responsabile, e l'alleanza
matrimoniale abbia delle basi umane e cristiane solide e durature, la
preparazione al matrimonio è di fondamentale importanza.
L'esempio
e l'insegnamento dati dai genitori e dalle famiglie restano il cammino
privilegiato di questa preparazione.
Il
ruolo dei pastori e della comunità cristiana come “famiglia di Dio” è
indispensabile per la trasmissione dei valori umani e cristiani del matrimonio e
della famiglia, [Cf Codice di Diritto Canonico, 1063] tanto più che nel nostro
tempo molti giovani conoscono l'esperienza di focolari distrutti che non
assicurano più sufficientemente questa iniziazione:
I
giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti, soprattutto in
seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua
funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità,
possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 49].
I
matrimoni misti e la disparità di culto
1633
In numerosi paesi si presenta assai di frequente la situazione del matrimonio
misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede un'attenzione
particolare dei coniugi e dei pastori. Il caso di matrimonio con disparità di
culto (fra cattolico e non-battezzato) esige una circospezione ancora maggiore.
1634
La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo
insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in comune ciò
che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e ad apprendere l'uno
dall'altro il modo in cui ciascuno vive la sua fedeltà a Cristo. Ma le
difficoltà dei matrimoni misti non devono neppure essere sottovalutate. Esse
sono dovute al fatto che la separazione dei cristiani non è ancora superata.
Gli sposi rischiano di risentire il dramma della disunione dei cristiani
all'interno stesso del loro focolare. La disparità di culto può aggravare
ulteriormente queste difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la stessa
concezione del matrimonio, ma anche mentalità religiose differenti possono
costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a proposito
dell'educazione dei figli. Una tentazione può allora presentarsi:
l'indifferenza religiosa.
1635
Secondo il diritto in vigore nella Chiesa latina, un matrimonio misto necessita,
per la sua liceità, dell' espressa licenza dell'autorità ecclesiastica [Cf
Codice di Diritto Canonico, 1124]. In caso di disparità di culto è richiesta,
per la validità del matrimonio, una espressa dispensa dall'impedimento [Cf
ibid., 1086]. Questa licenza o questa dispensa suppongono che entrambe le parti
conoscano e non escludano i fini e le proprietà essenziali del matrimonio;
inoltre che la parte cattolica confermi gli impegni, portati a conoscenza anche
della parte acattlica, di conservare la propria fede e di assicurare il
Battesimo e l'educazione dei figli nella Chiesa cattolica [Cf ibid., 1125].
1636
In molte regioni, grazie al dialogo ecumenico, le comunità cristiane
interessate hanno potuto organizzare una pastorale comune per i matrimoni misti.
Suo compito è di aiutare queste coppie a vivere la loro situazione particolare
alla luce della fede. Essa deve anche aiutarle a superare le tensioni fra gli
obblighi dei coniugi l'uno nei confronti dell'altro e verso le loro comunità
ecclesiali. Deve incoraggiare lo sviluppo di ciò che è loro comune nella fede,
e il rispetto di ciò che li separa.
1637
Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito
particolare: infatti “il marito non credente viene reso santo dalla moglie
credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente” ( 1Cor
7,14 ). E' una grande gioia per il coniuge cristiano e per la Chiesa se questa
“santificazione” conduce alla libera conversione dell'altro coniuge alla
fede cristiana [Cf 1Cor 7,16 ]. L'amore coniugale sincero, la pratica umile e
paziente delle virtù familiari e la preghiera perseverante possono preparare il
coniuge non credente ad accogliere la grazia della conversione.
IV.
Gli effetti del sacramento del Matrimonio
1638
“Dalla valida celebrazione del matrimonio sorge tra i coniugi un vincolo di
sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel matrimonio cristiano i coniugi,
per i compiti e la dignità del loro stato, vengono corroborati e come
consacrati da uno speciale sacramento ” [Codice di Diritto Canonico, 1134].
Il
vincolo matrimoniale
1639
Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono mutuamente, è
suggellato da Dio stesso [Cf Mc 10,9 ]. Dalla loro alleanza “nasce, anche
davanti alla società, l'istituto (del matrimonio) che ha stabilità per
ordinamento divino” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. L'alleanza
degli sposi è integrata nell'alleanza di Dio con gli uomini: “L'autentico
amore coniugale è assunto nell'amore divino” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 48].
1640
Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il
matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto.
Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla
consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad
un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa
pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1141].
La
grazia del sacramento del Matrimonio
1641
“I coniugi cristiani. . . hanno, nel loro stato di vita e nel loro ordine, il
proprio dono in mezzo al Popolo di Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Questa
grazia propria del sacramento del Matrimonio è destinata a perfezionare l'amore
dei coniugi, a rafforzare la loro unità indissolubile. In virtù di questa
grazia essi “si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita
coniugale, nell'accettazione e nell'educazione della prole” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 11].
1642
Cristo è la sorgente di questa grazia. “Come un tempo Dio venne incontro al
suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli
uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il
sacramento del Matrimonio” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. Egli
rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria
croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di
portare gli uni i pesi degli altri, [ Cf Gal 6,2 ] di essere “sottomessi gli
uni agli altri nel timore di Cristo” ( Ef 5,21 ) e di amarsi di un amore
soprannaturale, delicato e fecondo. Nelle gioie del loro amore e della loro vita
familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto
delle nozze dell'Agnello:
Come
sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce,
l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e
il Padre celeste ratifica?. . . Quale giogo quello di due fedeli uniti in
un'unica speranza, in un unico desiderio, in un'unica osservanza, in un unico
servizio! Entrambi sono figli dello stesso Padre, servi dello stesso Signore;
non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi, sono
veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito
[Tertulliano, Ad uxorem, 2, 9; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 13].
V.
I beni e le esigenze dell'amore coniugale
1643
“L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti
della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e
dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira a una
unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola
carne, conduce a non fare che un cuore solo e un'anima sola; esso esige l'
indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre
sulla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni
amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le
consolida, ma anche le eleva al punto da farne l'espressione di valori
propriamente cristiani” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
13].
L'unità
e l'indissolubilità del matrimonio
1644
L'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e l'indissolubilità
della loro comunità di persone che ingloba tutta la loro vita: “Così che non
sono più due, ma una carne sola” ( Mt 19,6 ) [Cf Gen 2,24 ]. Essi “sono
chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà
quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale” [Giovanni
Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 19]. Questa comunione umana è
confermata, purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in Cristo
Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la
vita della comune fede e l'Eucaristia ricevuta insieme.
1645
“L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante
anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve
essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 49]. La poligamia è contraria a questa pari dignità e all'amore
coniugale che è unico ed esclusivo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 19].
La
fedeltà dell'amore coniugale
1646
L'amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà
inviolabile. E' questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si
fanno l'uno all'altro. L'amore vuole essere definitivo. Non può essere “fino
a nuovo ordine”. “Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due
persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne
reclamano l'indissolubile unità” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
1647
La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua alleanza,
di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono
abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal sacramento,
l'indissolubilità del Matrimonio riceve un senso nuovo e più profondo.
1648
Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un
essere umano. E' perciò quanto mai necessario annunciare la buona novella che
Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi
di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro
fedeltà possono essere i testimoni dell'amore fedele di Dio. I coniugi che, con
la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto
difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale [Cf
Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 20].
1649
Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa pra
ticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette
la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non
cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre
una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe,
se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare
queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al
vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile [Cf ibid., 83; Codice di
Diritto Canonico, 1151-1155].
1650
Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio
secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa
sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (Chi ripudia la propria
moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna
ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12 ), che
non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo
matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una
situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non
possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale
situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità
ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può
essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno
dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una
completa continenza.
1651
Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso
conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti
e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché
essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale
possono e devono partecipare in quanto battezzati:
Siano
esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa,
a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle
iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella
fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare
così, di giorno in giorno, la grazia di Dio [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Familiaris consortio, 84].
L'apertura
alla fecondità
1652
“Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale
sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste
trovano il loro coronamento”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]
I
figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al
bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: “Non è bene che l'uomo
sia solo” ( Gen 2,18 ) e che “creò all'inizio l'uomo maschio e femmina” (
Mt 19,4 ), volendo comunicare all'uomo una certa speciale partecipazione nella
sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: “Crescete e
moltiplicatevi” ( Gen 1,28 ). Di conseguenza la vera pratica dell'amore
coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre
gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza
d'animo, siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore,
che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48].
1653
La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita morale,
spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso
l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli [Cf
Conc. Ecum.
Vat. II, Gravissimum educationis, 3]. In
questo senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di
essere al servizio della vita [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 28].
1654
I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere
una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro
matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di
sacrificio.
VI.
La Chiesa domestica
1655
Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla Santa Famiglia di Giuseppe e di
Maria. La Chiesa non è altro che la “famiglia di Dio”. Fin dalle sue
origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con
tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti [Cf At 18,8 ]. Allorché si
convertivano, desideravano che anche tutta la loro famiglia fosse salvata [Cf At
16,31 e 11, 14]. Queste famiglie divenute credenti erano piccole isole di vita
cristiana in un mondo incredulo.
1656
Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le
famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e
irradiante. E' per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un'antica
espressione, chiama la famiglia “Ecclesia domestica” Chiesa domestica [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris
consortio, 21]. E' in seno alla famiglia che “i genitori devono essere per i
loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e
secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale” [Conc.
Ecum. Vat.
II, Lumen gentium, 11].
1657
E' qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del
padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia,
“con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento,
con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11]. Il
focolare è così la prima scuola di vita cristiana e “una scuola di umanità
più ricca” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 52]. E' qui che si apprende
la fatica e la gioia del lavoro, l'amore fraterno, il perdono generoso, sempre
rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l'offerta
della propria vita.
1658
Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causa delle condizioni concrete in
cui devono vivere - e spesso senza averlo voluto - sono particolarmente vicine
al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e premurosa sollecitudine da parte
della Chiesa e in modo speciale dei pastori: il gran numero di persone celibi.
Molte di loro restano senza famiglia umana, spesso a causa delle condizioni di
povertà. Ve ne sono di quelle che vivono la loro situazione nello spirito delle
Beatitudini, servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro
bisogna aprire le porte dei focolari, “Chiese domestiche”, e della grande
famiglia che è la Chiesa. “Nessuno è privo della famiglia in questo mondo:
la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono
“affaticati e oppressi” ( Mt 11,28 )” [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Familiaris consortio, 85].
1659
San Paolo dice: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la
Chiesa. . . Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla
Chiesa” ( Ef 5,25; Ef 5,32 ).
1660
L'alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna costituiscono fra
loro un'intima comunione di vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue
proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è ordinata al bene dei coniugi così
come alla generazione e all'educazione della prole. Tra battezzati essa è stata
elevata da Cristo Signore alla dignità di sacramento [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 48; Codice di Diritto Canonico, 1055, 1].
1661
Il sacramento del Matrimonio è segno dell'unione di Cristo e della Chiesa. Esso
dona agli sposi la grazia di amarsi con l'amore con cui Cristo ha amato la sua
Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così l'amore umano dei coniugi,
consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita
eterna [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1799].
1662
Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di
donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un'alleanza d'amore
fedele e fecondo.
1663
Poiché il matrimonio stabilisce i coniugi in uno stato pubblico di vita nella
Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica, inserita in una
celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote (o del testimone qualificato
della Chiesa), dei testimoni e dell'assemblea dei fedeli.
1664
L'unità, l'indissolubilità e l'apertura alla fecondità sono essenziali al
matrimonio. La poligamia è incompatibile con l'unità del matrimonio; il
divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della fecondità priva la vita
coniugale del suo “preziosissimo dono”, il figlio [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 50].
1665
Il nuovo matrimonio dei divorziati, mentre è ancora vivo il coniuge legittimo,
contravviene al disegno e alla Legge di Dio insegnati da Cristo. Costoro non
sono separati dalla Chiesa, ma non possono accedere alla Comunione eucaristica.
Vivranno la loro vita cristiana particolarmente educando i loro figli nella
fede.
1666
Il focolare cristiano è il luogo in cui i figli ricevono il primo annuncio
della fede. Ecco perché la casa familiare è chiamata a buon diritto “la
Chiesa domestica”, comunità di grazia e di preghiera, scuola delle virtù
umane e della carità cristiana.
PARTE
SECONDA - LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO
SEZIONE
SECONDA - “I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA”
CAPITOLO
QUARTO - LE ALTRE CELEBRAZIONI
LITURGICHE
I
SACRAMENTALI
1667
“La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri
per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati
e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto
spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto
principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della
vita” [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 60; cf Codice di Diritto
Canonico, 1166; Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium, 867].
I
tratti caratteristici dei sacramentali
1668
Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri
ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie della vita
cristiana, così come dell'uso di cose utili all'uomo. Secondo le decisioni
pastorali dei vescovi, possono anche rispondere ai bisogni, alla cultura e alla
storia propri del popolo cristiano di una regione o di un'epoca. Comportano
sempre una preghiera, spesso accompagnata da un determinato segno, come
l'imposizione della mano, il segno della croce, l'aspersione con l'acqua
benedetta (che richiama il Battesimo).
1669
Essi derivano dal sacerdozio battesimale: ogni battezzato è chiamato ad essere
una “benedizione” [Cf Gen 12,2 ] e a benedire [Cf Lc 6,28; Rm 12,14; 1669
1Pt 3,9 ]. Per questo anche i laici possono presiedere alcune benedizioni; [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 79; Codice di Diritto Canonico,
1168] più una benedizione riguarda la vita ecclesiale e sacramentale, più la
sua presidenza è riservata al ministero ordinato [Vescovi, sacerdoti o diaconi;
cf Rituale Romano, Benedizionale, 16, 18].
1670
I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla maniera dei
sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la
grazia e dispongono a cooperare con essa. “Ai fedeli ben disposti è dato di
santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina
che fluisce dal Mistero pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo,
Mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i
sacramentali; e così ogni uso onesto delle cose materiali può essere
indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla lode di Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 61].
Le
varie forme di sacramentali
1671
Fra i sacramentali ci sono innanzi tutto le benedizioni (di persone, della
mensa, di oggetti, di luoghi). Ogni benedizione è lode di Dio e preghiera per
ottenere i suoi doni. In Cristo, i cristiani sono benedetti da Dio Padre “con
ogni benedizione spirituale” ( Ef 1,3 ). Per questo la Chiesa impartisce la
benedizione invocando il nome di Gesù, e facendo normalmente il santo segno
della croce di Cristo.
1672
Alcune benedizioni hanno una portata duratura: hanno per effetto di consacrare
delle persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all'uso liturgico. Fra
quelle che sono destinate a persone - da non confondere con l'ordinazione
sacramentale - figurano la benedizione dell'abate o dell'abbadessa di un
monastero, la consacrazione delle vergini e delle vedove, il rito della
professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiastici
(lettori, accoliti, catechisti, ecc). Come esempio delle benedizioni che
riguardano oggetti, si può segnalare la dedicazione o la benedizione di una
chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti
sacre, delle campane, ecc.
1673
Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo,
che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del Maligno e
sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l'ha praticato; è da lui
che la Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare [Cf Mc 1,25 ss; Mc
3,15; Mc 6,7; Mc 6,13; 1673 Mc 16,17 ]. In una forma semplice, l'esorcismo è
praticato durante la celebrazione del Battesimo. L'esorcismo solenne, chiamato
“grande esorcismo”, può essere praticato solo da un presbitero e con il
permesso del vescovo. In ciò bisogna procedere con prudenza, osservando
rigorosamente le norme stabilite dalla Chiesa. L'esorcismo mira a scacciare i
demoni o a liberare dall'influenza demoniaca, e ciò mediante l'autorità
spirituale che Gesù ha affidato alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di
malattie, soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo della scienza
medica. E' importante, quindi, accertarsi, prima di celebrare l'esorcismo, che
si tratti di una presenza del Maligno e non di una malattia [Cf Codice di
Diritto Canonico, 1172].
La
religiosità popolare
1674
Oltre che della Liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve
tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare.
Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua
espressione nelle varie forme di pietà che circondano la vita sacramentale
della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i
pellegrinaggi, le processioni, la “via crucis”, le danze religiose, il
rosario, le medaglie, ecc [Cf Concilio di Nicea II: Denz. -Schönm., 601; 603;
Concilio di Trento: ibid., 1822].
1675
Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma
non la sostituiscono: “Bisogna che tali esercizi, tenuto conto dei tempi
liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia,
derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga
superiore, conducano il popolo cristiano” [Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 13].
1676
E' necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità
popolare e, all'occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che
sta alla base di tali devozioni e per far progredire nella conoscenza del
Mistero di Cristo [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 54]. Il
loro esercizio è sottomesso alla cura e al giudizio dei vescovi e alle norme
generali della Chiesa.
La
religiosità popolare, nell'essenziale, è un insieme di valori che, con
saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell'esistenza. Il buon
senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l'esistenza. E'
così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l'umano, Cristo e Maria, lo
spirito e il corpo, la comunione e l'istituzione, la persona e la comunità, la
fede e la patria, l'intelligenza e il sentimento. Questa saggezza è un
umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in
quanto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale, insegna a porsi in
armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre delle motivazioni
per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie
dell'esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo, un principio di
discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando
il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è svuotato del suo
contenuto e soffocato da altri interessi [Documento di Puebla [1979] 448; cf
Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 48].
1677
Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di
preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di santificare le
varie circostanze della vita.
1678
Fra i sacramentali, le benedizioni occupano un posto importante. Esse comportano
ad un tempo la lode di Dio per le sue opere e i suoi doni, e l'intercessione
della Chiesa affinché gli uomini possano usare i doni di Dio secondo lo spirito
del Vangelo.
1679
Oltre che della Liturgia, la vita cristiana si nutre di varie forme di pietà
popolare, radicate nelle diverse culture. Pur vigilando per illuminarle con la
luce della fede, la Chiesa favorisce le forme di religiosità popolare, che
esprimono un istinto evangelico e una saggezza umana e arricchiscono la vita
cristiana.
LE
ESEQUIE CRISTIANE
1680
Tutti i sacramenti, e principalmente quelli dell'iniziazione cristiana, hanno
per scopo l'ultima Pasqua del figlio di Dio, quella che, attraverso la morte, lo
introduce nella vita del Regno. Allora si compie ciò che confessa nella fede e
nella speranza: “Aspetto la Risurrezione dei morti e la vita del mondo che
verrà” [Simbolo di Nicea-Costantinopoli].
I.
L'ultima Pasqua del cristiano
1681
Il senso cristiano della morte si manifesta alla luce del Mistero pasquale della
Morte e della Risurrezione di Cristo, nel quale riposa la nostra unica speranza.
Il cristiano che muore in Cristo Gesù “va in esilio dal corpo per abitare
presso il Signore” ( 2Cor 5,8 ).
1682
Il giorno della morte inaugura per il cristiano, al termine della sua vita
sacramentale, il compimento della sua nuova nascita cominciata con il Battesimo,
la “somiglianza” definitiva all'“immagine del Figlio” conferita
dall'Unzione dello Spirito Santo e la partecipazione al banchetto del Regno
anticipato nell'Eucaristia, anche se, per rivestire l'abito nuziale, ha ancora
bisogno di ulteriori purificazioni.
1683
La Chiesa che, come Madre, ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano
durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine del suo cammino
per rimetterlo “nelle mani del Padre”. Essa offre al Padre, in Cristo, il
figlio della sua grazia e, nella speranza, consegna alla terra il seme del corpo
che risusciterà nella gloria [Cf 1Cor 15,42-44 ]. Questa offerta è celebrata
in pienezza nel Sacrificio eucaristico; le benedizioni che precedono e che
seguono sono dei sacramentali.
II.
La celebrazione delle esequie
1684
Le esequie cristiane sono una celebrazione liturgica della Chiesa [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Sacrosanctum concilium, 81-82]. Il
ministero della Chiesa in questo caso mira ad esprimere la comunione efficace
con il defunto come pure a farvi partecipare la comunità riunita per le esequie
e ad annunciarle la vita eterna.
1685
I differenti riti delle esequie esprimono il carattere pasquale della morte
cristiana, e rispondono alle situazioni e alle tradizioni delle singole regioni,
anche quanto al colore liturgico [Cf ibid., 81].
1686
L' Ordo exsequiarum [Rituale romano, Rito delle esequie] della liturgia romana
propone tre tipi di celebrazione delle esequie, corrispondenti ai tre luoghi del
suo svolgimento (la casa, la chiesa, il cimitero), e secondo l'importanza che vi
attribuiscono la famiglia, le consuetudini locali, la cultura e la pietà
popolare. Questo svolgimento è del resto comune a tutte le tradizioni
liturgiche e comprende quattro momenti principali:
1687
L' accoglienza della comunità. Un saluto di fede apre la celebrazione. I
parenti del defunto sono accolti con una parola di “conforto” (nel senso del
Nuovo Testamento: la forza dello Spirito Santo nella speranza) [Cf 1Ts 4,18 ].
La comunità che si raduna in preghiera attende anche “le parole di vita
eterna”. La morte di un membro della comunità (o il giorno anniversario, il
settimo o il trigesimo) è un evento che deve far superare le prospettive di
“questo mondo” e attirare i fedeli nelle autentiche prospettive della fede
nel Cristo risorto.
1688
La Liturgia della Parola, durante le esequie, esige una preparazione tanto più
attenta in quanto l'assemblea presente in quel momento può comprendere fedeli
poco assidui alla Liturgia e amici del defunto che non sono cristiani. L'omelia,
in particolare, deve evitare “la forma e lo stile di un elogio funebre”
[Rituale romano, Rito delle esequie, 41] e illuminare il mistero della morte
cristiana alla luce di Cristo risorto.
1689
Il Sacrificio eucaristico. Quando la celebrazione ha luogo in chiesa,
l'Eucaristia è il cuore della realtà pasquale della morte cristiana [Cf ibid.,
1]. E' allora che la Chiesa esprime la sua comunione efficace con il defunto:
offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della Morte e della
Risurrezione di Cristo, gli chiede che il suo figlio sia purificato dai suoi
peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza pasquale della
mensa del Regno [Cf ibid., 57]. E' attraverso l'Eucaristia così celebrata che
la co munità dei fedeli, specialmente la famiglia del defunto, impara a vivere
in comunione con colui che “si è addormentato nel Signore”, comunicando al
Corpo di Cristo di cui egli è membro vivente, e pregando poi per lui e con lui.
1690
L'addio (“a-Dio”) al defunto è la sua “raccomandazione a Dio” da parte
della Chiesa. E' “l'ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo
membro, prima che il corpo sia portato alla sepoltura” [Cf ibid., 57]. La
tradizione bizantina lo esprime con il bacio di addio al defunto:
Con
questo saluto finale “si canta per la sua dipartita da questa vita e la sua
separazione, ma anche perché esiste una comunione e una riunione. Infatti,
morti, non siamo affatto separati gli uni dagli altri, poiché noi tutti
percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo. Non saremo
mai separati, perché viviamo per Cristo, e ora siamo uniti a Cristo, andando
incontro a lui. . . saremo tutti insieme in Cristo” [San Simeone di
Tessalonica, De ordine sepulturae: PG 155, 685B].