IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Parte prima - sezione Seconda
Torna all'indice del Catechismo
PARTE PRIMA - LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE SECONDA -
LA PROFESSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
CAPITOLO TERZO -
CREDO NELLO SPIRITO SANTO
I
FEDELI - GERARCHIA, LAICI, VITA CONSACRATA
871
“I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il
Battesimo, sono costituiti Popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro
proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad
attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha
affidato alla Chiesa da compiere nel mondo” [Codice di Diritto Canonico, 204,
1; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 31].
872 “Fra
tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera
uguaglianza nella dignità e nell'agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano
all'edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri
di ciascuno” [Codice di Diritto Canonico, 208; cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
32].
873 Le differenze stesse che il Signore ha voluto
stabilire fra le membra del suo Corpo sono in funzione della sua unità e della
sua missione. Infatti “c'è nella Chiesa diversità di ministeri, ma unità di
missione. Gli Apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l'ufficio di
insegnare, santificare, reggere in suo nome e con la sua autorità. Ma i laici,
resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, nella
missione di tutto il Popolo di Dio assolvono compiti propri nella Chiesa e nel
mondo” [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 2]. Infine dai ministri
sacri e dai laici “provengono fedeli i quali, con la professione dei consigli
evangelici. . . sono consacrati in modo speciale a Dio e danno incremento alla
missione salvifica della Chiesa” [Codice di Diritto Canonico, 207, 2].
I. La costituzione gerarchica della Chiesa
Perché il ministero ecclesiale?
874 E'
Cristo stesso l'origine del ministero nella Chiesa. Egli l'ha istituita, le ha
dato autorità e missione, orientamento e fine:
Cristo
Signore, per pascere e sempre più accrescere il Popolo di Dio, ha istituito
nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I
ministri infatti, che sono dotati di sacra potestà, sono a servizio dei loro
fratelli, perché tutti coloro che appartengono al Popolo di Dio. . . arrivino
alla salvezza [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 18].
875 “E
come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne
parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima
inviati?” (Rm 10,14-15). Nessuno, né individuo né comunità, può annunziare
a se stesso il Vangelo. “La fede dipende. . . dalla predicazione” (Rm
10,17). Nessuno può darsi da sé il mandato e la missione di annunziare il
Vangelo. L'inviato del Signore parla e agisce non per autorità propria, ma in
forza dell'autorità di Cristo; non come membro della comunità, ma parlando ad
essa in nome di Cristo. Nessuno può conferire a se stesso la grazia, essa deve
essere data e offerta. Ciò suppone che vi siano ministri della grazia,
autorizzati e abilitati da Cristo. Da lui i vescovi e i presbiteri ricevono la
missione e la facoltà [la “sacra potestà”] di agire “in persona di
Cristo Capo”, i diaconi la forza di servire il ppolo di Dio nella
“diaconia” della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il
vescovo e il suo presbiterio. La tradizione della Chiesa chiama “sacramento”
questo ministero, attraverso il quale gli inviati di Cristo compiono e danno per
dono di Dio quello che da se stessi non possono né compiere né dare. Il
ministero della Chiesa viene conferito mediante uno specifico sacramento.
876
Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il
carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da
Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente “servi di
Cristo”, [Cf Rm 1,1] ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi
“la condizione di servo” (Fil 2,7). Poiché la parola e la grazia di cui
sono i ministri non sono le loro, ma quelle di Cristo che le ha loro affidate
per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti [Cf 1Cor 9,19].
877
Allo stesso modo, è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale
avere un carattere collegiale. Infatti il Signore Gesù, fin dall'inizio del suo
ministero, istituì i Dodici, che “furono ad un tempo il seme del Nuovo
Israele e l'origine della sacra gerarchia” [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes,
5]. Scelti insieme, sono anche mandati insieme, e la loro unione fraterna sarà
al servizio della comunione fraterna di tutti i fedeli; essa sarà come un
riflesso e una testimonianza della comunione delle persone divine [Cf Gv
17,21-23]. Per questo ogni vescovo esercita il suo ministero in seno al collegio
episcopale, in comunione col vescovo di Roma, successore di san Pietro e capo
del collegio; i sacerdoti esercitano il loro ministero in seno al presbiterio
della diocesi, sotto la direzione del loro vescovo.
878
Infine è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un
carattere personale. Se i ministri di Cristo agiscono in comunione, agiscono però
sempre anche in maniera personale. Ognuno è chiamato personalmente: “Tu
seguimi” (Gv 21,22) [Cf Mt 4,19; Mt 4,21; Gv 1,43] per essere, nella missione
comune, testimone personale, personalmente responsabile davanti a colui che
conferisce la missione, agendo “in Sua persona” e per delle persone: “Io
ti battezzo nel nome del Padre. . . ”; “Io ti assolvo. . . ”.
879
Pertanto il ministero sacramentale nella Chiesa è un servizio esercitato in
nome di Cristo. Esso ha un carattere personale e una forma collegiale. Ciò si
verifica sia nei legami tra il collegio episcopale e il suo capo, il successore
di san Pietro, sia nel rapporto tra la responsabilità pastorale del vescovo per
la sua Chiesa particolare e la sollecitudine di tutto il collegio episcopale per
la Chiesa universale.
Il collegio episcopale e il suo capo, il Papa
880
Cristo, istituì i Dodici “sotto la forma di un collegio o di un gruppo
stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
19]. “Come san Pietro e gli altri Apostoli
costituirono, per istituzione del Signore, un unico collegio apostolico,
similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori
degli Apostoli, sono tra loro uniti” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 19].
881 Del solo
Simone, al quale diede il nome di Pietro, il Signore ha fatto la pietra della
sua Chiesa. A lui ne ha affidato le chiavi; [Cf Mt 16,18-19] l'ha costituito
pastore di tutto il gregge [Cf Gv 21,15-17]. “Ma l'incarico di legare e di
sciogliere, che è stato dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al
collegio degli Apostoli, unito col suo capo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
22]. Questo ufficio pastorale di Pietro e degli altri
Apostoli costituisce uno dei fondamenti della Chiesa; è continuato dai vescovi
sotto il primato del Papa.
882 Il
Papa, vescovo di Roma e successore di san Pietro, “ è il perpetuo e visibile
principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei
fedeli” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 22]. “Infatti
il romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore
di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che
può sempre esercitare liberamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
22].
883 “Il
collegio o corpo episcopale non ha. . . autorità, se non lo si concepisce
insieme con il romano Pontefice. . ., quale suo capo”. Come tale, questo
collegio “è pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa:
potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del romano
Pontefice” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22; cf Codice di Diritto
Canonico, 336].
884
“Il collegio dei vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa
universale nel Concilio Ecumenico” [Codice di Diritto Canonico, 337, 1].
“Mai si ha Concilio Ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno
accettato dal successore di Pietro” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22].
885 “ [Il
collegio episcopale] in quanto composto da molti, esprime la varietà e
l'universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo,
esprime l'unità del gregge di Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22].
886 “I
vescovi. . ., singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento
dell'unità nelle loro Chiese particolari” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22]. In quanto tali “esercitano il loro pastorale
governo sopra la porzione del Popolo di Dio che è stata loro affidata”, [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 22] coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi. Ma,
in quanto membri del collegio episcopale, ognuno di loro è partecipe della
sollecitudine per tutte le Chiese, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Christus Dominus, 3]
e la esercita innanzi tutto “reggendo bene la propria Chiesa come porzione
della Chiesa universale”, contribuendo così “al bene di tutto il Corpo
mistico che è pure il corpo delle Chiese” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23]. Tale sollecitudine si estenderà particolarmente ai
poveri, [Cf Gal 2,10] ai perseguitati per la fede, come anche ai missionari che
operano in tutta la terra.
887 Le
Chiese particolari vicine e di cultura omogenea formano province ecclesiastiche
o realtà più vaste chiamate patriarcati o regioni [Cf Canone degli Apostoli,
34]. I vescovi di questi raggruppamenti possono riunirsi in sinodi o in concilii
provinciali. Così pure, le conferenze episcopali possono, oggi, contribuire in
modo molteplice e fecondo a che “lo spirito collegiale si attui
concretamente” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23].
L'ufficio di insegnare
888 I
vescovi, con i presbiteri, loro cooperatori, “hanno anzitutto il dovere di
annunziare a tutti il Vangelo di Dio”, [Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum
ordinis, 4] secondo il comando del Signore [Cf Mc 16,15]. Essi sono “gli
araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori
autentici” della fede apostolica, “rivestiti dell'autorità di Cristo” [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
25].
889 Per
mantenere la Chiesa nella purezza della fede trasmessa dagli Apostoli, Cristo,
che è la Verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria
infallibilità. Mediante il “senso soprannaturale della fede”, il Popolo di
Dio “aderisce indefettibilmente alla fede”, sotto la guida del Magistero
vivente della Chiesa [Cf ibid., 12; Id. , Dei Verbum, 10].
890 La
missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio
in Cristo ha stretto con il suo Popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e
dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza
errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a
vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per
compiere questo servizio, Cristo ha dotato i pastori del carisma d'infallibilità
in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere
parecchie modalità.
891
“Di questa infallibilità il romano Pontefice, capo del collegio dei vescovi,
fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dottore di
tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto
definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. . . L'infallibilità
promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale, quando questi esercita
il supremo Magistero col successore di Pietro” soprattutto in un Concilio
Ecumenico [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25; cf Concilio Vaticano I: Denz.
-Schönm. , 3074]. Quando la Chiesa, mediante il suo Magistero supremo, propone
qualche cosa “da credere come rivelato da Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei
Verbum, 10] e come insegnamento di Cristo, “a tali definizioni si deve aderire
con l'ossequio della fede” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
25]. Tale infallibilità abbraccia l'intero deposito
della Rivelazione divina [Cf ibid].
892
L'assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano
in comunione con il successore di Pietro, e, in modo speciale, al vescovo di
Roma, pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione
infallibile e senza pronunciarsi in “maniera definitiva”, propongono,
nell'esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una
migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A
questo insegnamento ordinario i fedeli devono “aderire col religioso ossequio
dello spirito” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25] che, pur
distinguendosi dall'ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento.
L'ufficio di santificare
893 Il
vescovo “è il dispensatore della grazia del supremo sacerdozio”, [Conc.
Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25] specialmente nell'Eucaristia che egli stesso
offre o di cui assicura l'offerta mediante i presbiteri, suoi cooperatori.
L'Eucaristia, infatti, è il centro della vita della Chiesa particolare. Il
vescovo e i presbiteri santificano la Chiesa con la loro preghiera e il loro
lavoro, con il ministero della Parola e dei sacramenti. La santificano con il
loro esempio, “non spadroneggiando sulle persone” loro “affidate”, ma
facendosi “modelli del gregge” (1Pt 5,3), in modo che “possano, insieme
col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25].
L'ufficio di governare
894
“I vescovi reggono le Chiese particolari, come vicari e delegati di Cristo,
col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra
potestà”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25] che però dev'essere da
loro esercitata allo scopo di edificare, nello spirito di servizio che è
proprio del loro Maestro [Cf Lc 22,26-27].
895
“Questa potestà che personalmente esercitano in nome di Cristo, è propria,
ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato
dalla suprema autorità della Chiesa” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 27]. Ma i vescovi non devono essere considerati come dei
vicari del Papa, la cui autorità ordinaria e immediata su tutta la Chiesa non
annulla quella dei vescovi, ma anzi la conferma e la difende. Tale autorità
deve esercitarsi in comunione con tutta la Chiesa sotto la guida del Papa.
896 Il
Buon Pastore sarà il modello e la “forma” dell'ufficio pastorale del
vescovo. Cosciente delle proprie debolezze, “il vescovo può compatire quelli
che sono nell'ignoranza o nell'errore. Non rifugga dall'ascoltare” coloro che
dipendono da lui e “che cura come veri figli suoi. . . I fedeli poi devono
aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al
Padre”: [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 27]
Seguite
tutti il vescovo, come Gesù Cristo [segue] il Padre, e il presbiterio come gli
Apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la legge di Dio. Nessuno compia
qualche azione riguardante la Chiesa, senza il vescovo [Sant'Ignazio di
Antiochia, Epistula ad Smyrnaeos, 8, 1].
II. I fedeli laici
897
“Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri
dell'ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli
cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti
Popolo di Dio, e nella loro misura resi partecipi della funzione sacerdotale,
profetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel
mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
31].
La vocazione dei laici
898
“Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le
cose temporali e ordinandole secondo Dio. . . A loro quindi particolarmente
spetta di illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono
strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e
siano di lode al Creatore e al Redentore” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
31].
899
L'iniziativa dei cristiani laici è particolarmente necessaria quando si tratta
di scoprire, di ideare mezzi per permeare delle esigenze della dottrina e della
vita cristiana le realtà sociali, politiche ed economiche. Questa iniziativa è
un elemento normale della vita della Chiesa:
I
fedeli laici si trovano sulla linea più avanzata della vita della Chiesa;
grazie a loro, la Chiesa è il principio vitale della società. Per questo essi
soprattutto devono avere una coscienza sempre più chiara non soltanto di
appartenere alla Chiesa, ma di essere la Chiesa, cioè la comunità dei fedeli
sulla terra sotto la guida dell'unico capo, il Papa, e dei vescovi in comunione
con lui. Essi sono la Chiesa [Pio XII, discorso del 20 febbraio 1946: citato da
Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, 9].
900 I
laici, come tutti i fedeli, in virtù del Battesimo e della Confermazione,
ricevono da Dio l'incarico dell'apostolato; pertanto hanno l'obbligo e godono
del diritto, individualmente o riuniti in associazioni, di impegnarsi affinché
il messaggio divino della salvezza sia conosciuto e accolto da tutti gli uomini
e su tutta la terra; tale obbligo è ancora più pressante nei casi in cui solo
per mezzo loro gli uomini possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo. Nelle
comunità ecclesiali, la loro azione è così necessaria che, senza di essa,
l'apostolato dei pastori, la maggior parte delle volte, non può raggiungere il
suo pieno effetto [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 33].
La partecipazione dei laici all'ufficio
sacerdotale di Cristo
901
“I laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito Santo, sono in
modo mirabile chiamati e istruiti perché lo Spirito produca in essi frutti
sempre più copiosi. Tutte infatti le opere, le preghiere e le iniziative
apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo
spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie
della vita se sono sopportate con pazienza, diventano “sacrifici spirituali
graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2,5); e queste cose nella
celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme
all'oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente
dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
33].
902 In modo
particolare i genitori partecipano all'ufficio di santificazione “conducendo
la vita coniugale secondo lo spirito cristiano e attendendo all'educazione
cristiana dei figli” [Codice di Diritto Canonico, 835, 4].
903 I
laici, se hanno le doti richieste, possono essere assunti stabilmente ai
ministeri di lettori e di accoliti [Cf ibid., 230, 1]. “Ove le necessità
della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza
essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè
esercitare il ministero della Parola, presiedere alle preghiere liturgiche,
amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le
disposizioni del diritto” [Cf ibid., 230, 1].
La loro partecipazione all'ufficio profetico di
Cristo
904
“Cristo. . . adempie la sua funzione profetica. . . non solo per mezzo della
gerarchia. . . ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi
testimoni” dotandoli “del senso della fede e della grazia della parola”: [Conc.
Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 35]
Istruire
qualcuno per condurlo alla fede è il compito di ogni predicatore e anche di
ogni credente [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 71, 4, ad 3].
905 I
laici compiono la loro missione profetica anche mediante l'evangelizzazione, cioè
con l'annunzio di Cristo “fatto con la testimonianza della vita e con la
parola”. Questa azione evangelizzatrice ad opera dei laici “acquista una
certa nota specifica e una particolare efficacia, dal fatto che viene compiuta
nelle comuni condizioni del secolo”: [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 35]
Tale
apostolato non consiste nella sola testimonianza della vita: il vero apostolo
cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola, sia ai credenti... sia
agli infedeli [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 6; cf Id., Ad gentes, 15].
906
Tra i fedeli laici coloro che ne sono capaci e che vi si preparano possono anche
prestare la loro collaborazione alla formazione catechistica, [Cf Codice di
Diritto Canonico, 774; 776; 780] all'insegna gnamento delle scienze sacre, [Cf
ibid. , 229] ai mezzi di comunicazione sociale [Cf ibid., 823, 1].
907
“In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui
godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare
ai sacri pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e
di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l'integrità della fede e dei
costumi e il rispetto verso i pastori, tenendo inoltre presente l'utilità
comune e la dignità della persona” [Cf ibid., 823, 1].
La loro partecipazione all'ufficio regale di Cristo
908
Mediante la sua obbedienza fino alla morte, [Cf Fil 2,8-9] Cristo ha comunicato
ai suoi discepoli il dono della libertà regale, “perché con l'abnegazione di
sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 36].
Colui che
sottomette il proprio corpo e governa la sua anima senza lasciarsi sommergere
dalle passioni è padrone di sé: può essere chiamato re perché è capace di
governare la propria persona; è libero e indipendente e non si lascia
imprigionare da una colpevole schiavitù [Sant'Ambrogio, Expositio Psalmi CXVIII,
14, 30: PL 15, 1403A].
909
“Inoltre i laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le
istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingano i
costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della
giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù. Così
agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
36].
910 “I
laici possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro
pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità
della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i
carismi che il Signore vorrà loro dispensare” [Paolo VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 73].
911
Nella Chiesa, “i fedeli possono cooperare a norma del diritto all'esercizio
della potestà di governo” [Codice di Diritto Canonico, 129, 2] e questo
mediante la loro presenza nei Concili particolari, [Cf ibid., 443, 4] nei Sinodi
diocesani, [Cf ibid. , 463, 1. 2] nei Consigli pastorali; [Cf ibid., 511; 536]
nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia; [Cf ibid., 517, 2] nella
collaborazione ai Consigli degli affari economici; [Cf ibid., 492, 1; 536] nella
partecipazione ai tribunali ecclesiastici [Cf ibid., 1421, 2].
912 I
fedeli devono “distinguere accuratamente tra i diritti e i doveri, che loro
incombono in quanto sono aggregati alla Chiesa, e quelli che loro competono in
quanto membri della società umana. Cerchino di metterli in armonia,
ricordandosi che in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza
cristiana, poiché nessuna attività umana, neanche in materia temporale, può
essere sottratta al dominio di Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 36].
913 “Così
ogni laico, in ragione degli stessi doni ricevuti, è un testimone e insieme uno
strumento vivo della missione della Chiesa stessa "secondo la misura del
dono di Cristo" (Ef 4,7)” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 36].
III. La vita consacrata
914
“Lo stato [di vita] che è costituito dalla professione dei consigli
evangelici, pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa,
interessa tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità” [Conc.
Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 36].
Consigli evangelici, vita consacrata
915 I
consigli evangelici, nella loro molteplicità, sono proposti ad ogni discepolo
di Cristo. La perfezione della carità, alla quale tutti i fedeli sono chiamati,
comporta per coloro che liberamente accolgono la vocazione alla vita consacrata,
l'obbligo di praticare la castità nel celibato per il Regno, la povertà e
l'obbedienza. E' la professione di tali consigli, in uno stato di vita stabile
riconosciuto dalla Chiesa, che caratterizza la “vita consacrata” a Dio [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 42-43; Id. , Perfectae caritatis, 1].
916 Lo stato
di vita consacrata appare quindi come uno dei modi di conoscere una
consacrazione “più intima”, che si radica nel Battesimo e dedica totalmente
a Dio [Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Perfectae caritatis, 5]. Nella
vita consacrata, i fedeli di Cristo si propongono, sotto la mozione dello
Spirito Santo, di seguire Cristo più da vicino, di donarsi a Dio amato sopra
ogni cosa e, tendendo alla perfezione della carità a servizio del Regno, di
significare e annunziare nella Chiesa la gloria del mondo futuro [Cf Codice di
Diritto Canonico, 573].
Un grande albero dai molti rami
917
“Come in un albero piantato da Dio e in un modo mirabile e molteplice
ramificatosi nel campo del Signore, sono cresciute varie forme di vita solitaria
o comune e varie famiglie, che si sviluppano sia per il profitto dei loro
membri, sia per il bene di tutto il Corpo di Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
43].
918 “Fin
dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della
pratica dei consigli evangelici intesero seguire Cristo con maggiore libertà e
imitarlo più da vicino e condussero, ciascuno a loro modo, una vita consacrata
a Dio. Molti di essi, dietro l'impulso dello Spirito Santo, o vissero una vita
solitaria o fondarono famiglie religiose, che la Chiesa con la sua autorità
volentieri accolse e approvò” [Conc. Ecum. Vat. II, Perfectae caritatis, 1].
919 I
vescovi si premureranno sempre di discernere i nuovi doni della vita consacrata
affidati dallo Spirito Santo alla sua Chiesa; l'approvazione di nuove forme di
vita consacrata è riservata alla Sede Apostolica [Cf Codice di Diritto
Canonico, 605].
La vita eremitica
920
Senza professare sempre pubblicamente i tre consigli evangelici, gli eremiti,
“in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e
nella continua preghiera e nella penitenza, dedicano la propria vita alla lode
di Dio e alla salvezza del mondo” [Codice di Diritto Canonico, 603, 1].
921
Essi indicano a ciascuno quell'aspetto interiore del mistero della Chiesa che è
l'intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita
dell'eremita è predicazione silenziosa di colui al quale ha consegnato la sua
vita, poiché egli è tutto per lui. E' una chiamata particolare a trovare nel
deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso.
Le vergini e le vedove consacrate
922
Fin dai tempi apostolici, ci furono vergini e vedove cristiane che, chiamate dal
Signore a dedicarsi esclusivamente a lui [Cf 1Cor 7,34-36] in una maggiore
libertà di cuore, di corpo e di spirito, hanno preso la decisione, approvata
dalla Chiesa, di vivere rispettivamente nello stato di verginità o di castità
perpetua “per il Regno dei cieli” (Mt 19,12).
923
“Emettendo il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, [le vergini]
dal vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato
e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della
Chiesa” [Codice di Diritto Canonico, 604, 1]. Mediante questo rito solenne, [Consecratio
virginum] “la vergine è costituita persona consacrata” quale “segno
trascendente dell'amore della Chiesa verso Cristo, immagine escatologica della
Sposa celeste e della vita futura” [Pontificale romano, Consacrazione delle
vergini, Premesse, 1].
924
“Assimilato alle altre forme di vita consacrata”, [Codice di Diritto
canonico, 604, 1] l'ordine delle vergini stabilisce la donna che vive nel mondo
(o la monaca) nella preghiera, nella penitenza, nel servizio dei fratelli e nel
lavoro apostolico, secondo lo stato e i rispettivi carismi offerti ad ognuna
[Pontificale romano, Consacrazione delle vergini, Premesse, 2]. Le vergini
consacrate possono associarsi al fine di mantenere più fedelmente il loro
proposito [Cf Codice di Diritto Canonico, 604, 2].
La vita religiosa
925
Nata in Oriente nei primi secoli del cristianesimo [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Unitatis redintegratio, 15] e continuata negli istituti canonicamente eretti
dalla Chiesa, [Cf Codice di Diritto Canonico, 573] la vita religiosa si
distingue dalle altre forme di vita consacrata per l'aspetto cultuale, la
professione pubblica dei consigli evangelici, la vita fraterna condotta in
comune, la testimonianza resa all'unione di Cristo e della Chiesa [Cf Codice di
Diritto Canonico, 607].
926 La
vita religiosa sgorga dal mistero della Chiesa. E' un dono che la Chiesa riceve
dal suo Signore e che essa offre come uno stato di vita stabile al fedele
chiamato da Dio nella professione dei consigli. Così la Chiesa può manifestare
Cristo e insieme riconoscersi Sposa del Salvatore. Alla vita religiosa, nelle
sue molteplici forme, è chiesto di esprimere la carità stessa di Dio, nel
linguaggio del nostro tempo.
927
Tutti i religiosi, esenti o no, [Cf ibid. , 591] sono annoverati fra i
cooperatori del vescovo diocesano nel suo ufficio pastorale [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Christus
Dominus, 33-35]. La
fondazione e l'espansione missionaria della Chiesa richiedono la presenza della
vita religiosa in tutte le sue forme fin dagli inizi dell'evangelizzazione [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 18; 40]. “La storia attesta i grandi meriti
delle famiglie religiose nella propagazione della fede e nella formazione di
nuove Chiese, dalle antiche istituzioni monastiche e dagli Ordini medievali fino
alle moderne Congregazioni” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio,
69].
Gli istituti secolari
928
“L'Istituto secolare è un istituto di vita consacrata in cui i fedeli,
vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la
santificazione del mondo, soprattutto operando all'interno di esso” [Codice di
Diritto Canonico, 710].
929
Mediante una “vita perfettamente e interamente consacrata a [tale]
santificazione”, [Pio XII, Cost. ap. Provida Mater] i membri di questi
istituti “partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa”, “nel
mondo e dal mondo”, in cui la loro presenza agisce “come un fermento” [Conc.
Ecum. Vat. II, Perfectae
caritatis, 11]. La loro testimonianza di
vita cristiana mira a ordinare secondo Dio le realtà temporali e vivificare il
mondo con la forza del Vangelo. Essi assumono con vincoli sacri i consigli
evangelici e custodiscono tra loro la comunione e la fraternità che sono
proprie al loro modo di vita secolare [Cf Codice di Diritto Canonico, 713, 2].
Le società di vita apostolica
930
Alle diverse forme di vita consacrata “sono assimilate le società di vita
apostolica i cui membri, senza i voti religiosi, perseguono il fine apostolico
proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un
proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l'osservanza delle
costituzioni. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli
evangelici”, secondo le loro costituzioni [Codice di Diritto Canonico, 731, 1.
2].
Consacrazione e missione: annunziare il Re che
viene
931
Consegnato a Dio sommamente amato, colui che già era stato votato a lui dal
Battesimo, si trova in tal modo più intimamente consacrato al servizio divino e
dedito al bene della Chiesa. Con lo stato di consacrazione a Dio, la Chiesa
manifesta Cristo e mostra come lo Spirito Santo agisca in essa in modo mirabile.
Coloro che professano i consigli evangelici hanno, dunque, come prima missione,
quella di vivere la loro consacrazione. Ma “dal momento che si dedicano al
servizio della Chiesa in forza della stessa consacrazione, sono tenuti
all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria,
con lo stile proprio dell'Istituto” [Codice di Diritto Canonico, 731, 1. 2].
932
Nella Chiesa che è come il sacramento, cioè il segno e lo strumento della vita
di Dio, la vita consacrata appare come un segno particolare del mistero della
Redenzione. Seguire e imitare Cristo “più da vicino”, manifestare “più
chiaramente” il suo annientamento, significa trovarsi “più profondamente”
presenti, nel cuore di Cristo, ai propri contemporanei. Coloro, infatti, che
camminano in questa via “più stretta” stimolano con il proprio esempio i
loro fratelli e “testimoniano in modo splendido che il mondo non può essere
trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
31].
933 Che tale
testimonianza, sia pubblica, come nello stato religioso, oppure più discreta, o
addirittura segreta, la venuta di Cristo rimane per tutti i consacrati l'origine
e l'orientamento della loro vita:
Poiché
il Popolo di Dio non ha qui città permanente,. . . lo stato religioso. . .
rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni
celesti; meglio testimonia la vita nuova ed eterna acquistata dalla Redenzione
di Cristo, e meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno
celeste” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 31].
934
“Per istituzione divina vi sono nella Chiesa i ministri sacri, che nel diritto
sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici.
Dagli uni e dagli altri provengono fedeli i quali, con la professione dei
consigli evangelici. . . sono consacrati in modo speciale a Dio e danno
incremento alla missione salvifica della Chiesa” [Codice di Diritto Canonico,
207, 1. 2].
935
Per annunziare la fede e instaurare il suo Regno, Cristo invia i suoi Apostoli e
i loro successori. Li rende partecipi della sua missione. Da lui ricevono il
potere di agire in sua persona.
936 Il
Signore ha fatto di san Pietro il fondamento visibile della sua Chiesa. A lui ne
ha affidato le chiavi. Il vescovo della Chiesa di Roma, suc cessore di san
Pietro, è “capo del collegio dei vescovi, vicario di Cristo e pastore qui in
terra della Chiesa universale” [Codice di Diritto Canonico, 207, 1. 2].
937 Il
Papa “è per divina istituzione rivestito di un potere supremo, pieno,
immediato e universale per il bene delle anime” [Conc. Ecum. Vat. II, Christus
Dominus, 2].
938 I
vescovi, costituiti per mezzo dello Spirito Santo, succedono agli Apostoli.
“Singolarmente presi, sono il principio visibile e il fondamento dell'unità
nelle loro Chiese particolari” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23].
939 Aiutati
dai presbiteri, loro cooperatori, e dai diaconi, i vescovi hanno l'ufficio di
insegnare autenticamente la fede, di celebrare il culto divino, soprattutto l'Eucarestia,
e di guidare la loro Chiesa da veri pastori. E' inerente al loro ufficio anche
la sollecitudine per tutte le Chiese, con il Papa e sotto di lui.
940 I
laici, essendo proprio del loro stato che “vivano nel mondo e in mezzo agli
affari secolari, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, a
modo di fermento esercitino nel mondo il loro apostolato” [Conc. Ecum. Vat. II,
Apostolicam actuositatem, 2].
941 I
laici partecipano al sacerdozio di Cristo: sempre più uniti a lui, dispiegano
la grazia del Battesimo e della Confermazione in tutte le dimensioni della vita
personale, familiare, sociale ed ecclesiale, e realizzano così la chiamata alla
santità rivolta a tutti i battezzati.
942
Grazie alla loro missione profetica, “i laici sono chiamati anche ad essere
testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure in mezzo alla società
umana” [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 43].
943
Grazie alla loro missione regale, i laici hanno il potere di vincere in se
stessi e nel mondo il regno del peccato con l'abnegazione di sé e la santità
della loro vita [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 36].
944 La vita
consacrata a Dio si caratterizza mediante la professione pubblica dei consigli
evangelici di povertà, castità e obbedienza in uno stato di vita stabile
riconosciuto dalla Chiesa.
945
Consegnato a Dio sommamente amato, colui che era già stato destinato a lui dal
Battesimo, si trova, nello stato di vita consacrata, più intimamente votato al
servizio divino e dedito al bene di tutta la Chiesa.
LA
COMUNIONE DEI SANTI
946
Dopo aver confessato “la santa Chiesa cattolica”, il Simbolo degli Apostoli
aggiunge “la comunione dei santi”. Questo articolo è, per certi aspetti,
una esplicitazione del precedente: “Che cosa è la Chiesa se non l'assemblea
di tutti i santi?” [Niceta, Explanatio symboli, 10: PL 52, 871B]. La comunione
dei santi è precisamente la Chiesa.
947
“Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è
comunicato agli altri. . . Allo stesso modo bisogna credere che esista una
comunione di beni nella Chiesa. Ma il membro più importante è Cristo, poiché
è il Capo. . . Pertanto, il bene di Cristo è comunicato a tutte le membra; ciò
avviene mediante i sacramenti della Chiesa” [San Tommaso d'Aquino, Expositio
in symbolum apostolicum, 10]. “L'unità dello Spirito, da cui la Chiesa è
animata e retta, fa sì che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro
che vi appartengono” [Catechismo Romano, 1, 10, 24].
948 Il
termine “comunione dei santi” ha pertanto due significati, strettamente
legati: “comunione alle cose sante ["sancta"]” e “comunione tra
le persone sante ["sancti"]”.
“Sancta
sanctis!” - le cose sante ai santi - viene proclamato dal celebrante nella
maggior parte delle liturgie orientali, al momento dell'elevazione dei santi
Doni, prima della distribuzione della Comunione. I fedeli ["sancti"]
vengono nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo ["sancta"] per
crescere nella comunione dello Spirito Santo ["koinonia"] e
comunicarla al mondo.
I. La comunione dei beni spirituali
949
Nella prima comunità di Gerusalemme, i discepoli “erano assidui
nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella
frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42).
La
comunione nella fede. La fede dei fedeli è la fede della Chiesa ricevuta dagli
Apostoli, tesoro di vita che si accresce mentre viene condiviso.
950 La
comunione dei sacramenti. “Il frutto di tutti i sacramenti appartiene così a
tutti i fedeli, i quali per mezzo dei sacramenti stessi, come altrettante
arterie misteriose, sono uniti e incorporati in Cristo. Soprattutto il Battesimo
è al tempo stesso porta per cui si entra nella Chiesa e vincolo dell'unione a
Cristo. . . La comunione dei santi significa questa unione operata dai
sacramenti. . . Il nome di "comunione" conviene a tutti i sacramenti
in quanto ci uniscono a Dio. . . ; più propriamente però esso si addice
all'Eucaristia che in modo affatto speciale attua questa intima e vitale
comunione soprannaturale” [Catechismo Romano, 1, 10, 24].
951 La
comunione dei carismi. Nella comunione della Chiesa, lo Spirito Santo
“dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali” per
l'edificazione della Chiesa [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 12]. Ora
“a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità
comune” (1Cor 12,7).
952
“ Ogni cosa era fra loro comune ” (At 4,32). “Il cristiano veramente tale
nulla possiede di così strettamente suo che non lo debba ritenere in comune con
gli altri, pronto quindi a sollevare la miseria dei fratelli più poveri”
[Catechismo Romano, 1, 10, 27]. Il cristiano è un amministratore dei beni del
Signore [Cf Lc 16,1-3].
953 La
comunione della carità. Nella “comunione dei santi” “nessuno di noi vive
per se stesso e nessuno muore per se stesso” (Rm 14,7). “Se un membro
soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le
membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno
per la sua parte” (1Cor 12,26-27). “La carità non cerca il suo interesse”
(1Cor 13,5) [Cf 1Cor 10,24]. Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella
carità ha ripercussioni benefiche per tutti, in forza di questa solidarietà
con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla comunione
dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione.
II. La comunione della Chiesa del cielo e della
terra
954 I
tre stati della Chiesa. “ Fino a che il Signore non verrà nella sua gloria e
tutti gli angeli con lui e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte
le cose, alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono
passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria
contemplando "chiaramente Dio uno e trino, qual è"”: [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 49]
Tutti però, sebbene in grado e modo diverso,
comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo e cantiamo al nostro Dio
lo stesso inno di gloria. Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il
suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 49].
955
“L'unione. . . di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di
Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa,
è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
49].
956
L'intercessione dei santi. “A causa infatti della loro più intima unione con
Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità. . . non cessano di
intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra
mediante Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. . . La nostra
debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine”: [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
49]
Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia
morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita [San Domenico
morente ai suoi frati, cf Giordano di Sassonia, Libellus de principiis Ordinis
praedicatorum, 93].
Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra
[Santa Teresa di Gesù Bambino, Novissima verba].
957 La
comunione con i santi. “Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo
d'esempio, ma più ancora perché l'unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia
consolidata dall'esercizio della fraterna carità. Poiché come la cristiana
comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicino a Cristo, così la
comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal
capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso Popolo di Dio”: [Conc.
Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 50]
Noi adoriamo Cristo quale Figlio di Dio, mentre ai
martiri siamo giustamente devoti in quanto discepoli e imitatori del Signore e
per la loro suprema fedeltà verso il loro re e maestro; e sia dato anche a noi
di farci loro compagni e condiscepoli [San Policarpo di Smirne, in Martyrium
Polycarpi, 17].
958 La
comunione con i defunti. “La Chiesa di quelli che sono in cammino,
riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù
Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una
grande pietà la memoria dei defunti e, poiché "santo e salutare è il
pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2Mac
12,45), ha offerto per loro anche i suoi suffragi” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 50]. La nostra preghiera per loro può non solo
aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore.
959
Nell'unica famiglia di Dio. Tutti noi che “siamo figli di Dio e costituiamo in
Cristo una sola famiglia, mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e
nell'unica lode della Trinità santissima, corrispondiamo all'intima vocazione
della Chiesa” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 50].
960 La
Chiesa è “comunione dei santi”: questa espressione designa primariamente le
“cose sante” ["sancta"], e innanzi tutto l'Eucaristia con la quale
“viene rappresentata e prodotta l'unità dei fedeli, che costituiscono un solo
corpo in Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 50].
961 Questo
termine designa anche la comunione delle “persone sante” ["sancti"]
nel Cristo che è “morto per tutti”, in modo che quanto ognuno fa o soffre
in e per Cristo porta frutto per tutti.
962
“Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono
pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei
beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in
questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta
costantemente le nostre preghiere” [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 30].
MARIA: MADRE
DI CRISTO.
MADRE DELLA
CHIESA
963
Dopo aver parlato del ruolo della
Vergine Maria nel Mistero di Cristo e dello Spirito, è ora opportuno
considerare il suo posto nel Mistero della Chiesa. «Infatti la Vergine Maria..,
e riconosciuta e onorata come la vera Madre di Dio e del Redentore. . . Insieme
pero... e veramente “Madre delle membra” [di Cristo]... perché ha
cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di
quel Capo sono le membra», «...Maria Madre di Cristo, Madre della Chiesa» .
I.
La maternità di Maria verso la Chiesa
Interamente unita al Figlio suo. - -
964
Il ruolo di Maria verso la Chiesa è inseparabile dalla sua unione a Cristo e da
essa direttamente deriva. «Questa unione della Madre col Figlio nell’opera
della Redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo
fino alla morte di lui». Essa viene particolarmente manifestata nell’ora
della sua Passione:
La
beata Vergine ha avanzato nel cammino della fede e ha conservato 534 fedelmente
la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino,
se ne stette ritta, soffrì profondamente
con suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui,
amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e
finalmente, dallo stesso Cristo Gesù morente m croce fu data come madre al
discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv
19, 26).
965
Dopo l’Ascensione del suo Figlio, Maria «con le sue preghiere aiutò
le primizie della Chiesa». Riunita con gll Apostoli e alcune donne, «anche
Maria implorava con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l’aveva già
presa sotto la sua ombra nell’Annunciazione» .
.. - .anche
nella sua Assunzione... - .
966
«Infine, l’immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa
originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste
gloria col suo corpo e con la sua anima, e dal Signore esaltata come la Regina
dell’universo. perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il
Signore dei dominanti, il vincitore del peccato e della morte». L’Assunzione
della Santa Vergine è una singolare partecipazione alla Risurrezione del suo
Figlio e un’anticipazione della risurrezione degli altri cristiani.
Nella
tua maternità hai conservato la verginità, nella sua dormizione non hai
abbandonato il mondo, o Madre di Dio; hai raggiunto la sorgente della Vita, tu
che hai concepito il Dio vivente e che con le tue preghiere libererai le
nostre anime dalla morte>03.
-
- Ella è nostra Madre nell’ordine della grazia
967
Per la sua piena adesione alla volontà del Padre, all’opera redentrice del
suo Figlio, ad ogni mozione dello Spirito Santo, la Vergine Maria è il
modello della fede e della carità per la Chiesa. «Per questo è riconosciuta
quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa»>
«ed è la figura [“typus”] della Chiesa».
968
Ma il suo ruolo in rapporto alla Chiesa e a tutta l’umanità va ancora più
lontano. «Ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore,
con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità 15cr restaurare
la vita soprannaturale delle anime. Per questo è stata Per noi la Madre
nell’ordine della grazia» 5s6~
969
«Questa maternità di Maria 50:
nell’economia
della grazia perdura senza soste dal momento del con- 149 senso prestato nella
fede al tempo dell’Annunciazione, e mantenuto senza esitazioni sotto la croce,
fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti, assunta in cielo ella
non ha deposto questa missione di salvezza, ma con la sua molteplice
intercessione continua ad ottenerci i doni della salvezza eterna. . . Per
questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata,
ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice» 507
970
«La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o
diminuisce» l’«unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia. Infatti
ogni salutare influsso della beata Vergine. . . sgorga dalla sovrabbondanza
dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente
dipende e attinge tutta la sua efficacia» ~ «Nessuna creatura infatti può
mai essere paragonata col Verbo incarnato e Redentore; ma come il sacerdozio
di Cristo è in vari modi partecipato dai sacri ministri e dal Popolo fedele, e
2ome l’unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature,
così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle
creature una varia cooperazione partecipata dall’unica fonte».
II. Il culto della Santa Vergine
971
«Tutte
le generazioni mi chiameranno beata» (Le 1, 48). «La pie- i 172 à della
Chiesa verso la Santa Vergine è elemento intrinseco del culo cristiano”.
La Santa Vergine «viene dalla Chiesa giustamente onorata con un culto speciale.
In verità dai tempi più antichi la beata Vergine è venerata col titolo di
“Madre di Dio”, sotto il cui presidio i fedeli, pregandola, si rifugiano
in tutti i loro pericoli e le loro necessità... Questo culto..., sebbene del
tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione, prestato
al Verbo incarnato come al Padre e allo Spirito Santo, e particolarmente lo
promuove» esso trova la sua espressione nelle feste liturgiche dedicate alla
Madre di Dio312 e nella preghiera mariana come il santo Rosario, «compendio
di tutto quanto il Vangelo».
III.
Maria - Icona escatologica della Chiesa
972
Dopo aver parlato della Chiesa, della sua origine, della sua missione e del suo
destino, non sapremmo concludere meglio che volgendo lo sguardo verso Maria
per contemplare in lei ciò che la Chiesa è nel suo Mistero, nel suo «pellegrinaggio
della fede», e quello che sarà nella patria al termine del suo cammino, dove
l’attende, nella «gloria della Santissima e indi indivisibile Trinità»,
«nella comunione di tutti i santi» colei
che la Chiesa venera come la Madre del suo Signore e come sua propria Madre:
La
Madre di Gesù, come in cielo, glo-rificata ormai nel corpo e nell’anima, è
l’immagine e la primizia della Chie-sa che dovrà avere il suo compimento
nell’età futura, così sulla terra bri1la 2853 come un segno di sicura
speranza e
di
consolazione per il popolo di Dio in cammino.
973
Pronunziando il «fiat» dell’Annunciazione e dando il suo consenso al
Mistero dell’incarnazione, Maria già collabora a tutta l’opera che il
Figlio suo deve compiere. Ella è Madre dovunque egli è Salvatore e Capo del
Corpo Mistico.
974
La Santissima Vergine Maria, dopo aver terminato il corso della sua vita
terrena, fu elevata, corpo e anima, alla gloria del cielo, dove già partecipa
alla gloria della Risurrezione del suo Figlio, anticipando la risurrezione
di tutte le membra del suo Corpo.
975
«Noi crediamo che la Santissima Madre di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa,
continua in cielo il suo ruolo materno verso le membra di Cristo» 5.16
«CREDO
LA REMISSIONE DEI PECCATI»
976
Il Simbolo degli Apostoli lega la fede nel perdono dei peccati alla fede nello
Spirito Santo, ma anche alla fede nella Chiesa e nella comunione dei santi.
Proprio donando ai suoi Apostoli lo Spirito Santo, Cristo risorto ha loro
conferito il suo potere divino di perdonare i peccati: «Ricevete lo Spirito
Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
(La
seconda parte del Catechismo tratterà esplicitamente del perdono dei peccati
per mezzo del Battesimo, del sacramento della Penitenza e degli altri
sacramenti, specialmente dell’Eucaristia. Pertanto qui è sufficiente
richiamare brevemente qualche dato fondamentale).
I.
Un solo Battesimo per la remissione dei peccati
977
Nostro Signore ha legato il perdono dei peccati alla fede e al Battesimo: «Andate
in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà
battezzato sarà salvo» (Mc 16, 15-16). Il Battesimo è il primo e principale
sacramento per il perdono dei peccati perché ci unisce a Cristo «messo a
morte per i mostri peccati e... risuscitato per la nostra giustificazione»
(Rm 4, 25), affinché «anche noi possiamo camminare m una vita nuova» (Rm 6,
4).
978
«La remissione dei peccati nella Chiesa avviene innanzitutto quando l’anima
professa per la prima volta la fede. Con l’acqua battesimale, infatti,
viene concesso un perdono talmente ampio che non rimane più alcuna colpa — nè
originale nè ogni altra contratta posteriormente — e viene rimessa ogni
pena da scontare. La grazia del Battesimo, peraltro, non libera la nostra
natura dalla sua debolezza, anzi non vi è quasi nessuno che non deb1264 ba
lottare «contro la concupiscenza, fomite continuo del peccato» 517.
979
In tale combattimento contro l’inclinazione al male, chi potrebbe«resistere
con tanta energia
e
con tanta vigilanza da riuscire ad evitare ogni ferita» del peccato? «Fu
quindi necessario che nella Chiesa vi fosse la potestà di rimettere i peccati
anche in modo diverso dal sacramento del Battesimo. Per questa ragione Cristo
consegnò alla Chiesa le chiavi del Regno 1446 dei cieli, in virtù delle
quali potesse
perdonare
a qualsiasi peccatore pentito i peccati commessi dopo il Battesimo, fino
all’ultimo giorno della vita»518.
980
E’ per mezzo del sacramento della Penitenza che il battezzato può essere
riconciliato con Dio e con la Chiesa:
I
Padri hanno giustamente chiamato la Penitenza «un battesimo laborioso>>.
Per coloro che sono caduti dopo il Battesimo questo sacramento della Penitenza
è necessario alla salvezza come lo stesso Battesimo per quelli che non sono
stati ancora
II.
Il potere delle chiavi
981
Cristo dopo la sua Risurrezione ha inviato i suoi Apostoli a predicare «nel
suo nome... a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,
47). Tale «mmistero della riconciliazione» (2 Cor 5, 18) non viene compiuto
dagli Apostoli e loro successori solamente annunziando agli uomini il perdono
di Dio meritato per noi da Cristo e chiamandoli alla conversione e alla fede,
ma anche comunicando loro la remissione dei pecca- 1444 ti per mezzo del
Battesimo e riconciliandoli con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle
chiavi ricevuto da Cristo:
La
Chiesa ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, affinché in essa si
compia
la remissione dei peccati per mezzo del sangue di Cristo e dell’azione dello
Spirito Santo. In questa Chiesa l’anima, che era morta a causa dei peccati,
rinasce per vivere con Cristo, la cui grazia ci ha salvati521.
982
Non c’è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata
dalla santa Chiesa. «Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto
infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del
perdo605 no»522. Cristo, che è morto per tutti gli uomini,
vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque
si allontana dal peccato523.
983
La catechesi si sforzerà di risvegliare e coltivare nei fedeli la fe1442 de
nella incomparabile grandezza
del
dono che Cristo risorto ha fatto alla sua Chiesa: la missione e il potere di
perdonare veramente i peccati, mediante il ministero degli Apostoli e dei
loro successori. Il Signore vuole che i suoi discepoli abbiano i più ampi
poteri; vuole che i suoi servi facciano in suo nome ciò che faceva egli stesso,
quando era sulla terra’24. I sacerdoti hanno ricevuto un potere che Dio non ha
concesso nè agli angeli né agli arcangeli... Quello che i sacerdoti compiono
quaggiù, Dio lo conferma lassù. Se nella Chiesa non ci fosse la remissione dei
peccati, non ci sarebbe nessuna speranza, nessuna speranza di una vita eterna
e di una liberazione eterna. Rendiamo grazie a Dio che ha fatto alla sua Chiesa
un tale dono326.
984
Il Credo mette in relazione «la remissione dei peccati» con la professione di
fede nel/o Spirito Santo. Infatti Cristo risorto ha affidato agli Apostoli
i/potere di perdonare i peccati quando ha loro donato lo Spirito Santo.
985
I/ Battesimo è il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati:
ci unisce a Cristo morto e risorto e ci dona lo Spirito Santo.
986
Secondo la volontà di Cristo, la Chiesa possiede i/ potere di perdonare i
peccati dei battezzati e lo esercita per mezzo dei vescovi e dei sacerdoti
normalmente nel sacramento della Penitenza.
987
«1 sacerdoti e i sacramenti sono gli strumenti per i/perdono dei peccati;
strumenti per mezzo dei quali Gesù Cristo, autore e dispensatore della
salvezza, opera in noi la remissione dei peccati e genera la grazia»..
«CREDO
LA RISURREZIONE DELLA CARNE»
988
Il Credo cristiano — professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e
Spirito Santo, e nella sua azione creatrice, salvifica e santificante —
culmina nella proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi, e
nella vita eterna.
989
Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente
risorto dai morti e vive per sempre, cosi pure i giusti, dopo la loro morte,
vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo
giorno528. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della
Santissima Trinità:
Se
lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che
ha risuscitato Cristo dai morti data la vita anche ai vostri corpi mortali per
mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm 8,11)529.
990
Il termine «carne» designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di
mortalità530. La «risurrezione della carne» significa che, dopo
la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i
nostri «corpi mortali» (Rm 8, 111 riprenderanno vita.
991
Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede
cristiana fin dalle sue origini4
«Fiducia
chrisrianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus— La risurrezione
dei morti è la fede dei cristiani- credendo in essa siamo tali»531:
Come
possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste
risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è
risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra
fede... Ora, invece, Cristo e resuscitato dai morti, primizia di coloro che
sono morii (1 or 15, 12-14.20).
I.
La Risurrezione di Cristo e la nostra
Rivelazione
progressiva della Risurrezione
992
La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo Popolo
progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è
imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto
intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche
colui che mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua
discendenza. E in questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la
fede nella risurrezione. Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano:
Il
Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a
vita nuova ed eterna (2 Mac 7, 9). E bello morire a causa degli uomini, per
attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo
risuscitati (2 Mac?, 14)532.
993
I farisei 533 e molti contemporanei del Signore554 speravano
nella 575 risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano
risponde: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscere le
Scritture, nè la potenza di Dio?» (Mc 12, 24). La fede nella risurrezione
riposa sulla fede in Dio 205 che «non è un Dio dei morti, ma dei viventi!»
(Mc 12, 27).
994
Ma c’è di più. Gesù lega la fe de nella risurrezione alla sua stessa
Persona: «Io sono la Risurrezione e la Vita» (Gv 11, 251. Sarà lo stes-so Gesù
a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e
che avranno mangiato il
suo
Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra
facendo tornare in vita alcuni morti537, annunziando con ciò la sua
stessa Risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale
avvenimento senza eguale parla come del «segno di Giona» (Mt 12, 39), del
segno del tempio558: annunzia la sua Risurrezione al terzo giorno
dopo essere stato messo a morte .
995
Essere testimone di Cristo è essere «testimone della sua Risurrezione» (At 1,22)540, aver «mangiato
e bevuto con lui dopo la sua Risurrezione dai morti» (At 10,41). La speranza
cristiana nella risurrezione è contrassegnata dagli incontri con Cristo
risorto. Noi risusciteremo come lui, con lui, per mezzo di lui.
996
Fin dagli inizi, la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato
incomprensioni ed opposizioni541. «In nessun altro argomento la
fede cristiana incontra tanta opposizione come a proposito della risurrezione
della carne»342. Si accetta abbastanza facilmente che, dopo la
morte, la vita della persona umana continui in un modo spirituale. Ma come
credere
che questo corpo, la cui mortalità è tanto evidente, possa risorgere per
la vita eterna?
Come
risuscitano i morti?
997
Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del
corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la stia anima va
incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo
glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita
incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della
Risurrezione di Gesù.
998
Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: «quanti fecero il bene per
una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di
condanna», (Gv 3, 29)543.
999
Come? Cristo è risorto con il suo proprio corpo: «Guardate le mie mani e i
miei piedi: sono proprio io!» (Lc24, 39); ma egli non è ritornato ad una vita
terrena. Allo stesso modo, in lui, «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora
sono rivestiti»544, ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo in
«corpo spirituale» (1 Cor 15, 44):
Ma
qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?».
Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quello che
semini non e il corpo che nascerà, ma un semplice chicco... Si -semina
corruttibile e risorge incorruttibile. E’ necessario infatti che questo corpo
corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo morta-le si vesta di
immortalità (1 Cor 15, 33-37.42.5 3).
1000
Il «come» supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro
intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione
all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per
opera di Cristo:
Come
il pane che è frutto della terra, dopo che è stata invocata sudi esso la
benedizione divina, non è più pane comune, ma Eucaristia, composta di
due
realtà, una terrena, l’altra celeste, così i nostri corpi che ricevono
l’Eucaristia non sono più corruttibili, dal momento che portano in sé il
germe della risurrezione .
1001
Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39-40.44.54; 11, 24); «alla
fine del mondo»547. Infatti, la risurrezione dei morti è
intimamente associata alla Parusia di Cristo:
Perché
i Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della
tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo (1
Ts4, 16).
Risuscitati
con Cristo
1002
Se è vero che Cristo ci risusciterà «nell’ultimo giorno», è anche
vero che, per un certo aspetto, siamo già risuscitati con Cristo. Infatti,
grazie allo Spirito Santo, la vita cristiana, fin d’ora su questa terra,
è una partecipazione alla morte e alla Risurrezione di Cristo:
Con
lui infatti siete stati sepolti insieme nel Battesimo, in lui anche siete
stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato
dai morti... Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove sì
trova Cristo assiso alla destra di Dio (Col2, 12; 3, 1).
1003
I credenti, uniti a Cristo mediante il Battesimo, partecipano già realmente
alla vita celeste di Cristo
risorto,
ma questa vita rimane «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 31. «Con lui,
[Dio] ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù»
(Ef2, 61. Nutriti del suo Corpo nell’Eucaristia, apparteniamo già al Corpo
di Cristo. Quando risusciteremo nell’ultimo giorno saremo anche noi «manifestati
con lui nella gloria» (Col3, 4).
1004
Nell’attesa di quel giorno, i corpo e l’anima del credente già partecipano
alla dignità di essere «in Cristo» ; di qui l’esigenza di rispetto verso
il proprio corpo, ma 364 anche verso quello degli altri, particolarmente quando
soffre:
Il
corpo è peri Signore e il Signore è per il corpo. Dio poi che ha risuscitato
il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Cristo?... Non appartenete a voi stessi... Glorificate
dunque Dio nel vostro corpo (1 Cor 6,13-15.19-20).
II.
Morire in Cristo Gesù
1005 Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con
Cristo, bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2
Cor5, 8). In questo «essere sciolto» (Fil 1, 23) che è la morte, l’anima
viene separa- 624 ta dal corpo. Essa sarà riunita al suo 650 corpo il giorno
della risurrezione dei morti .
La morte
1006
«In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo» . Per
un verso la morte corporale è naturale, ma per la fede essa in realtà è
«salario del peccato» (Rm 6, 23).
E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla
morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione.
1007
La morte è il termine della vita terrena.
Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo,
invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare
come la fine normale della vita. Questo aspetto della morte comporta
un’urgenza per le nostre vite: infatti il far memoria della nostra
mortalità serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per
realizzare la nostra esistenza.
Ricordati
del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza.., prima che ritorni la
polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato (Qo
12,1.7).
1008
La morte è conseguenza del peccato. Interprete
autentico delle affermazioni della Sacra Scrittura”3 e della
Tradizione, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel
mondo a causa del peccato dell’uomo Sebbene l’uomo possedesse una natura
mortale, Dio lo destinava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni
di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato355.
«La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse
peccato»556 è pertanto «l’ultimo nemico» del557
l’uomo a
dover essere vinto
morte è
trasformata da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subito la morte,
propria della condizione umana. Ma, malgrado la sua angoscia di fronte ad
essa, egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione
alla volontà
del Padre suo. L’obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della
morte in benedizione.
Il senso della morte cristiana
1010
Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. “Per me il
vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). “Certa è questa
parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” (2Tm 2,11). Qui sta la
novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è
già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova; e se
noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo “morire con
Cristo” e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore.
Per me
è meglio morire per (eis”) Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della
terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò.
Il momento in cui sarò partorito è imminente. . . Lasciate che io raggiunga la
pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo [Sant'Ignazio di Antiochia,
Epistula ad Romanos, 6, 1-2].
1011
Nella morte, Dio chiama a sé l'uomo. Per questo il cristiano può provare nei
riguardi della morte un desiderio simile a quello di san Paolo: “il desiderio
di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (Fil 1,23); e può
trasformare la sua propria morte in un atto di obbedienza e di amore verso il
Padre, sull'esempio di Cristo [Cf Lc 23,46].
Il mio
amore è crocifisso; . . . un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice:
“Vieni al Padre!” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 7, 2].
Voglio
vedere Dio, ma per vederlo bisogna morire [Santa Teresa di Gesù, Libro della
mia vita, 1].
Non
muoio, entro nella vita [Santa Teresa di Gesù Bambino, Novissima verba].
1012
La visione cristiana della morte [Cf 1Ts 4,13-14] è espressa in modo
impareggiabile nella liturgia della Chiesa:
Ai
tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si
distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione
eterna nel cielo [Messale Romano, Prefazio dei defunti, I].
1013
La morte è la fine del pellegrinaggio terreno dell'uomo, è la fine del tempo
della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita
terrena secondo il disegno divino e per decidere il suo destino ultimo. Quando
è “finito l'unico corso della nostra vita terrena”, [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 48] noi non ritorneremo più a vivere altre vite terrene. “E'
stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta” (Eb 9,27). Non c'è
“reincarnazione” dopo la morte.
1014
La Chiesa ci incoraggia a prepararci all'ora della nostra morte (Dalla morte
improvvisa, liberaci, Signore”: antica Litania dei santi), a chiedere alla
Madre di Dio di intercedere per noi “nell'ora della nostra morte” (Ave
Maria) e ad affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte:
In
ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire
oggi stesso; se avrai la coscienza retta, non avrai molta paura di morire.
Sarebbe meglio star lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei
preparato a morire, come lo sarai domani?
[Imitazione
di Cristo, 1, 23, 1]
Laudato
si, mi Signore,
per
sora nostra Morte corporale,
da la
quale nullo omo vivente po' scampare.
Guai a
quelli che morranno ne le peccata mortali!;
beati
quelli che trovarà
ne le
tue sanctissime voluntati,
ca la
morte seconda no li farrà male [San Francesco d'Assisi, Cantico delle
creature].
1015
“La carne è il cardine della salvezza” [Tertulliano, De resurrectione
carnis, 8, 2]. Noi crediamo in Dio che è il Creatore della carne; crediamo nel
Verbo fatto carne per riscattare la carne; crediamo nella risurrezione della
carne, compimento della creazione e della redenzione della carne.
1016
Con la morte l'anima viene separata dal corpo, ma nella risurrezione Dio tornerà
a dare la vita incorruttibile al nostro corpo trasformato, riunendolo alla
nostra anima. Come Cristo è risorto e vive per sempre, così tutti noi
risusciteremo nell'ultimo giorno.
1017
“Crediamo nella vera risurrezione della carne che abbiamo ora” [Concilio di
Lione II: Denz. -Schönm., 854]. Mentre, tuttavia, si semina nella tomba un
corpo corruttibile, risuscita un corpo incorruttibile , [Cf 1Cor 15,42] un
“corpo spirituale” (1Cor 15,44).
1018
In conseguenza del peccato originale, l'uomo deve subire “la morte corporale,
dalla quale sarebbe stato esentato se non avesse peccato” [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 18].
1019
Gesù, il Figlio di Dio, ha liberamente subìto la morte per noi in una
sottomissione totale e libera alla volontà di Dio, suo Padre. Con la sua morte
ha vinto la morte, aprendo così a tutti gli uomini la possibilità della
salvezza.
“CREDO
LA VITA ETERNA”
1020
Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è
come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha
pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo
sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima volta, con una unzione
fortificante e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a
lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole:
Parti,
anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha
creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla
croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora
sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio,
con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. . . Tu possa tornare al tuo
Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa
vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. . . Mite e
festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli
in eterno [Rituale romano, Rito delle esequie, Raccomandazione dell'anima].
I. Il giudizio particolare
1021
La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al
rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf 2Tm 1,9-10]. Il Nuovo
Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro
finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese,
l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto
alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf Lc 16,22] e
la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf Lc 23,43] così come
altri testi del Nuovo Testamento [Cf 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; Eb 12,23]
parlano di una sorte ultima dell'anima [Cf Mt 16,26] che può essere diversa per
le une e per le altre.
1022
Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la
retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in
rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [Cf Concilio
di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306;
Concilio di Trento: ibid., 1820] o entrerà immediatamente nella beatitudine del
cielo, [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001;
Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid., 990] oppure si dannerà immediatamente
per sempre [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002].
Alla sera
della vita, saremo giudicati sull'amore [Cf San Giovanni della Croce, Parole di
luce e di amore, 1, 57].
II. Il Cielo
1023
Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente
purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché
lo vedono “così come egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12;
Ap 22,4]
1024 Questa
vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità,
con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il
cielo è il fine ultimo dell'uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più
profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva.
1025
Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17]. Gli
eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità,
il loro proprio nome: [Cf Ap 2,17]
Vita
est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi regnum - La vita,
infatti, è stare con Cristo, perché dove c'è Cristo, là c'è la vita, là c'è
il Regno [Sant'Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121: PL 15,
1834A].
1026
Con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù Cristo ci ha “aperto” il cielo.
La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della Redenzione
compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorificazione celeste coloro che
hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la
beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in lui.
1027
Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo
supera ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne
parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa
del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: “Quelle cose che occhio non vide, né
orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per
coloro che lo amano” (1Cor 2,9).
1028 A
motivo della sua trascendenza, Dio non può essere visto quale è se non quando
egli stesso apre il suo Mistero alla contemplazione immediata dell'uomo e gliene
dona la capacità. Questa contemplazione di Dio nella sua gloria celeste è
chiamata dalla Chiesa la “la visione beatifica”:
Questa
sarà la tua gloria e la tua felicità: essere ammesso a vedere Dio, avere
l'onore di partecipare alle gioie della salvezza e della luce eterna insieme con
Cristo, il Signore tuo Dio, . . . godere nel Regno dei cieli, insieme con i
giusti e gli amici di Dio, le gioie dell'immortalità raggiunta [San Cipriano di
Cartagine, Epistulae, 56, 10, 1: PL 4, 357B].
1029
Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di
Dio in rapporto agli altri uomini e all'intera creazione. Regnano già con
Cristo; con lui “regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,5) [Cf Mt 25,21;
Mt 25,23].
III. La purificazione finale o Purgatorio
1030
Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente
purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però
sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la
santità necessaria per entrare nella gioia del cielo.
1031
La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è
tutt'altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina
della fede relativa al Purgatorio soprattutto nei Concilii di Firenze [Cf Denz.
-Schönm., 1304] e di Trento [Cf ibid. , 1820; 1580]. La Tradizione della
Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [Cf ad esempio, 1Cor 3,15;
1031 1Pt 1,7] parla di un fuoco purificatore:
Per
quanto riguarda alcune colpe leggere, si deve credere che c'è, prima del
Giudizio, un fuoco purificatore; infatti colui che è la Verità afferma che, se
qualcuno pronuncia una bestemmia contro lo Spirito Santo, non gli sarà
perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Mt 12,31). Da questa
affermazione si deduce che certe colpe possono essere rimesse in questo secolo,
ma certe altre nel secolo futuro [San Gregorio Magno, Dialoghi, 4, 39].
1032
Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di
cui la Sacra Scrittura già parla: “Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il
sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato” (2Mac
12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha onorato la memoria dei defunti e ha
offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio eucaristico, [Cf
Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 856] affinché, purificati, possano
giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine,
le indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti:
Rechiamo
loro soccorso e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe sono stati purificati dal
sacrificio del loro padre, [Cf Gb 1,5] perché dovremmo dubitare che le nostre
offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo a soccorrere
coloro che sono morti e ad offrire per loro le nostre preghiere [San Giovanni
Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 41, 5: PG 61, 594-595].
IV. L'inferno
1033
Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non
possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro
prossimo o contro noi stessi: “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia
il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se
stesso la vita eterna” (1Gv 3,15). Nostro Signore ci avverte che saremo
separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli
che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46]. Morire in peccato mortale senza
essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa
rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo
stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che
viene designato con la parola “inferno”.
1034
Gesù parla ripetutamente della “Geenna”, del “fuoco inestinguibile”,
[Cf Mt 5,22; Mt 5,29; 1034 Mt 13,42; Mt 13,50; Mc 9,43-48] che è riservato a
chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove
possono perire sia l'anima che il corpo [Cf Mt 10,28]. Gesù annunzia con parole
severe che egli “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno. . . tutti gli
operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Mt 13,41-42), e
che pronunzierà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno!” (Mt 25,41).
1035
La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità.
Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte
discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno,
“il fuoco eterno” [Cf Simbolo “Quicumque”: Denz. -Schnöm., 76; Sinodo
di Costantinopoli: ibid., 409. 411; 274]. La pena principale dell'inferno
consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere
la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
1036
Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa
riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo
deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno.
Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione:
“Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che
conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto
stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto
pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14).
Siccome
non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che
vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita
terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati
tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco
eterno, nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore di denti”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48].
1037 Dio non
predestina nessuno ad andare all'inferno; [Cf Concilio di Orange II: Denz. -Schönm.
, 397; Concilio di Trento: ibid. , 1567] questo è la conseguenza di una
avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla
fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la
Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole “che alcuno perisca,
ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9):
Accetta
con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e
tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla
dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti [Messale Romano, Canone
Romano].
V. Il Giudizio finale
1038
La risurrezione di tutti i morti, “dei giusti e degli ingiusti” (At 24,15),
precederà il Giudizio finale. Sarà “l'ora in cui tutti coloro che sono nei
sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell'Uomo] e ne usciranno: quanti
fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una
risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29). Allora Cristo “verrà nella sua
gloria, con tutti i suoi angeli. . . E saranno riunite davanti a lui tutte le
genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore
dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. . . E se
ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt
25,31; Mt 25,32; Mt 25,46).
1039
Davanti a Cristo che è la Verità sarà definitivamente messa a nudo la verità
sul rapporto di ogni uomo con Dio [Cf Gv 12,49]. Il Giudizio finale manifesterà,
fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà
omesso di compiere durante la sua vita terrena:
Tutto
il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui
Dio non tacerà (Sal 50,3). . . egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro:
“Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo
nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame.
Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al
capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri
fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete
posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me
[Sant'Agostino, Sermones, 18, 4, 4: PL 38, 130-131].
1040
Il Giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto
il Padre ne conosce l'ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per
mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta
la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l'opera della creazione e di
tutta l'Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le
quali la Provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo.
Il Giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le
ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della
morte [Cf Ct 8,6].
1041
Il messaggio del Giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona
agli uomini “il momento favorevole, il giorno della salvezza” (2Cor 6,2).
Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del Regno di Dio.
Annunzia la “beata speranza” (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale
“verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile
in tutti quelli che avranno creduto” (2Ts 1,10).
VI. La speranza dei cieli nuovi e della terra nuova
1042
Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il
Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in
corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato:
Allora
la Chiesa. . . avrà il suo compimento. . . nella gloria del cielo, quando verrà
il tempo della restaurazione di tutte le cose e quando col genere umano anche
tutto il mondo, il quale è intimamente unito con l'uomo e per mezzo di lui
arriva al suo fine, sarà perfettamente ricapitolato in Cristo [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
48].
1043 Questo
misterioso rinnovamento, che trasformerà l'umanità e il mondo, dalla Sacra
Scrittura è definito con l'espressione: “i nuovi cieli e una terra nuova”
(2Pt 3,13) [Cf Ap 21,1]. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di
“ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della
terra” (Ef 1,10).
1044
In questo nuovo universo, [Cf Ap 21,5] la Gerusalemme celeste, Dio avrà la sua
dimora in mezzo agli uomini. Egli “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non
ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno perché le cose di
prima sono passate” (Ap 21,4) [Cf Ap 21,27].
1045
Per l'uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell'unità del
genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia
è “come sacramento” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 1]. Coloro
che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la “Città
santa” di Dio (Ap 21,2), “la Sposa dell'Agnello” (Ap 21,9). Essa non sarà
più ferita dal peccato, dalle impurità, [Cf Ap 21,27] dall'amor proprio, che
distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica,
nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente
perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione.
1046
Quanto al cosmo, la Rivelazione afferma la profonda comunione di destino fra il
mondo materiale e l'uomo:
La
creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio. . . e
nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione.
. . Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi
nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le
primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la
redenzione del nostro corpo (Rm 8,19-23).
1047
Anche l'universo visibile, dunque, è destinato ad essere trasformato,
“affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più
alcun ostacolo, al servizio dei giusti”, partecipando alla loro glorificazione
in Gesù Cristo risorto [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 32, 1].
1048
“ Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità, e non sappiamo
il modo in cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di
questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio
prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la
cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono
nel cuore degli uomini” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39].
1049
“Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto
stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce
quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa
prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba
accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di
Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana
società, tale progresso è di grande importanza” [Conc. Ecum. Vat. II,
Gaudium et spes, 39].
1050
“Infatti. . . tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità,
dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il
suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia,
illuminati e trasfigurati, allorquando Cristo rimetterà al Padre il Regno
eterno e universale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 39]. Dio allora
sarà “tutto in tutti” (1Cor 15,28), nella vita eterna:
La
vita, nella sua stessa realtà e verità, è il Padre, che attraverso il Figlio
nello Spirito Santo, riversa come fonte su tutti noi i suoi doni celesti. E per
la sua bontà promette veramente anche a noi uomini i beni divini della vita
eterna [San Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 18, 29: PG 33,
1049, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del giovedì della
diciassettesima settimana. [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 28.]
1051
Ogni uomo riceve nella sua anima immortale la propria retribuzione eterna fin
dalla sua morte, in un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi
e dei morti.
1052
“Noi crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo.
. . costituiscono il Popolo di Dio nell'al di là della morte, la quale sarà
definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime
saranno riunite ai propri corpi” .
1053
“Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù
e a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine
eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi,
con i santi angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo
per noi e aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine”
[Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 29].
1054
Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma imperfettamente
purificati, benché sicuri della loro salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo
la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per
entrare nella gioia di Dio.
1055
In virtù della “comunione dei santi”, la Chiesa raccomanda i defunti alla
misericordia di Dio e per loro offre suffragi, in particolare il santo
Sacrificio eucaristico.
1056
Seguendo l'esempio di Cristo, la Chiesa avverte i fedeli della “triste e
penosa realtà della morte eterna” , [Congregazione per il Clero, Direttorio
catechistico generale, 69] chiamata anche “inferno”.
1057
La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio; in Dio
soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e
alle quali aspira.
1058
La Chiesa prega perché nessuno si perda: “Signore, non permettere che sia mai
separato da te”. Se è vero che nessuno può salvarsi da se stesso, è anche
vero che Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4) e che per
lui “tutto è possibile” (Mt 19,26).
1059
“La santissima Chiesa romana crede e confessa fermamente che nel giorno del
Giudizio tutti gli uomini compariranno col loro corpo davanti al tribunale di
Cristo per rendere conto delle loro azioni” [Concilio di Lione II: Denz. -Schönm.,
859; cf Concilio di Trento: ibid., 1549].
1060
Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Allora i
giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima, e lo
stesso universo materiale sarà trasformato. Dio allora sarà “tutto in
tutti” (1Cor 15,28), nella vita eterna.
“AMEN”
1061
Il Credo, come pure l'ultimo libro della Sacra Scrittura, [Cf Ap 22,21] termina
con la parola ebraica Amen. La si trova frequentemente alla fine delle preghiere
del Nuovo Testamento. Anche la Chiesa termina le sue preghiere con “Amen”.
1062
In ebraico, “Amen” si ricongiunge alla stessa radice della parola
“credere”. Tale radice esprime la solidità, l'affidabilità, la fedeltà.
Si capisce allora perché l'“Amen” può esprimere tanto la fedeltà di Dio
verso di noi quanto la nostra fiducia in lui.
1063
Nel profeta Isaia si trova l'espressione “Dio di verità”, letteralmente
“Dio dell'Amen”, cioè il Dio fedele alle sue promesse: “Chi vorrà essere
benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele” (Is 65,16).Nostro
Signore usa spesso il termine Amen, [Cf Mt 6,2; Mt 6,5; Mt 6,16] a volte in
forma doppia, [Cf Gv 5,19] per sottolineare l'affidabilità del suo
insegnamento, la sua autorità fondata sulla verità di Dio.
1064
L'“Amen” finale del Credo riprende quindi e conferma le due parole con cui
inizia: “Io credo”. Credere significa dire “Amen” alle parole, alle
promesse, ai comandamenti di Dio, significa fidarsi totalmente di colui che è
l'“Amen” d'infinito amore e di perfetta fedeltà. La vita cristiana di ogni
giorno sarà allora l'“Amen” all'“Io credo” della professione di fede
del nostro Battesimo:
Il
Simbolo sia per te come uno specchio. Guardati in esso, per vedere se tu credi
tutto quello che dichiari di credere e rallegrati ogni giorno per la tua fede
[Sant'Agostino, Sermones, 58, 11, 13: PL 38, 399].
1065
Gesù Cristo stesso è l'“Amen” (Ap 3,14). Egli è l'“Amen” definitivo
dell'amore del Padre per noi; assume e porta alla sua pienezza il nostro
“Amen” al Padre: “Tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “sì”.
Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria”
(2Cor 1,20):
Per
lui, con lui e in lui,
a te,
Dio Padre onnipotente,
nell'unità
dello Spirito Santo,
ogni
onore e gloria
per
tutti i secoli dei secoli.
AMEN!