IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
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PARTE PRIMA - LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE SECONDA -
LA PROFESSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
185
Chi dice “Io credo”, dice “Io aderisco a ciò che noi crediamo”.
La comunione nella fede richiede un linguaggio
comune della fede, normativo per tutti e che unisca nella medesima confessione
di fede.
186
Fin dalle origini, la Chiesa apostolica ha espresso e trasmesso la propria fede
in formule brevi e normative per tutti [Cf Rm 10,9; 1Cor 15,3-5]. Ma molto
presto la Chiesa ha anche voluto riunire l'essenziale della sua fede in compendi
organici e articolati, destinati in particolare ai candidati al Battesimo.
Il
simbolo della fede non fu composto secondo opinioni umane, ma consiste nella
raccolta dei punti salienti, scelti da tutta la Scrittura, così da dare una
dottrina completa della fede. E come il seme della senape racchiude in un
granellino molti rami, così questo compendio della fede racchiude tutta la
conoscenza della vera pietà contenuta nell'Antico e nel Nuovo Testamento [San
Cirillo di Gerusalemme, Catecheses illuminandorum, 5, 12: PG 33, 521-524].
187
Tali sintesi della fede vengono chiamate “professioni di fede”, perché
riassumono la fede professata dai cristiani. Vengono chiamate “Credo” a
motivo di quella che normalmente ne è la prima parola: “Io credo”. Sono
anche dette “Simboli della fede”.
188 La
parola greca “symbolon” indicava la metà di un oggetto spezzato (per
esempio un sigillo) che veniva presentato come un segno di riconoscimento. Le
parti rotte venivano ricomposte per verificare l'identità di chi le portava. Il
“Simbolo della fede” è quindi un segno di riconoscimento e di comunione tra
i credenti. “Symbolon” passò poi a significare raccolta, collezione o
sommario. Il “Simbolo della fede” è la raccolta delle principali verità
della fede. Da qui deriva il fatto che esso costituisce il primo e fondamentale
punto di riferimento della catechesi.
189 La
prima “professione di fede” si fa al momento del Battesimo.
Il “Simbolo della fede” è innanzi tutto il
Simbolo battesimale. Poiché il Battesimo viene dato “nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19), le verità di fede professate al
momento del Battesimo sono articolate in base al loro riferimento alle tre
Persone della Santa Trinità.
190 Il
Simbolo è quindi diviso in tre parti: “La prima è consacrata allo studio di
Dio Padre e dell'opera mirabile della creazione; la seconda allo studio di Gesù
Cristo e del Mistero della Redenzione; la terza allo studio dello Spirito Santo,
principio e sorgente della nostra santificazione [Catechismo Romano, 1, 1, 3].
Sono questi “i tre capitoli del nostro sigillo (battesimale)” [Sant'Ireneo
di Lione, Demonstratio apostolica, 100].
191
“Queste tre parti sono distinte, sebbene legate tra loro. In base a un
paragone spesso usato dai Padri, noi li chiamiamo articoli. Infatti, come nelle
nostre membra ci sono certe articolazioni che le distinguono e le separano, così,
in questa professione di fede, giustamente e a buon diritto si è data la
denominazione di articoli alle verità che dobbiamo credere in particolare e in
maniera distinta” [Catechismo Romano, 1, 1, 4]. Secondo un'antica tradizione,
attestata già da sant'Ambrogio, si è anche soliti contare dodici articoli del
Credo, simboleggiando con il numero degli Apostoli l'insieme della fede
apostolica [Cf Sant'Ambrogio, Explanatio Symboli, 8: PL 17, 1158D].
192
Nel corso dei secoli si sono avute numerose professioni o simboli della fede, in
risposta ai bisogni delle diverse epoche: i simboli delle varie Chiese
apostoliche e antiche, [Cf Denz. -Schönm. , 1-64] il Simbolo “Quicumque”,
detto di Sant'Atanasio, [Cf ibid. , 75-76] le professioni di fede di certi
Concili, [Concilio di Toledo XI (675): Denz. -Schönm., 525-541; Concilio
Lateranense IV (1215): Denz. -Schönm., 800-802; Concilio di Lione II (1274):
Denz. -Schönm., 851-861; Pio IV, Bolla Iniunctum nobis: Denz. -Schönm.,
1862-1870] o di alcuni Pontefici, come: la “fides Damasi” [Cf Denz. -Schönm.,
71-72] o “Il Credo del Popolo di Dio” di Paolo VI (1968).
193
Nessuno dei Simboli delle diverse tappe della vita della Chiesa può essere
considerato sorpassato ed inutile. Essi ci aiutano a vivere e ad approfondire
oggi la fede di sempre attraverso i vari compendi che ne sono stati fatti. Fra
tutti i Simboli della fede, due occupano un posto specialissimo nella vita della
Chiesa:
194 Il
Simbolo degli Apostoli, così chiamato perché a buon diritto è ritenuto il
riassunto fedele della fede degli Apostoli. E' l'antico Simbolo battesimale
della Chiesa di Roma. La sua grande autorità gli deriva da questo fatto: “E'
il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo
tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune”
[Sant'Ambrogio, Explanatio Symboli, 7: PL 17, 1158D].
195 Il
Simbolo detto di Nicea-Costantinopoli, il quale trae la sua grande autorità dal
fatto di essere frutto dei primi due Concili Ecumenici (325 e 381). E' tuttora
comune a tutte le grandi Chiese dell'Oriente e dell'Occidente.
196 La
nostra esposizione della fede seguirà il Simbolo degli Apostoli, che
rappresenta, per così dire, “il più antico catechismo romano”.
L'esposizione però sarà completata con costanti riferimenti al Simbolo di
Nicea-Costantinopoli, in molti punti più esplicito e più dettagliato.
197
Come al giorno del nostro Battesimo, quando tutta la nostra vita è stata
affidata alla regola dell'insegnamento, [Cf Rm 6,17] accogliamo il Simbolo della
nostra fede, la quale dà la vita. Recitare con fede il Credo, significa entrare
in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta
la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo:
Questo
Simbolo è un sigillo spirituale, è la meditazione del nostro cuore e ne è
come una difesa sempre presente: senza dubbio è il tesoro che custodiamo nel
nostro animo [Sant'Ambrogio, Explanatio Symboli, 1: PL 17, 1155C].
PARTE PRIMA - LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE SECONDA -
LA PROFESSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
CAPITOLO PRIMO -
IO CREDO IN DIO PADRE
198 La nostra professione di fede incomincia con
Dio, perché Dio è “il primo e l'ultimo” (Is 44,6), il Principio e la Fine
di tutto. Il Credo incomincia con Dio Padre, perché il Padre è la prima
Persona divina della Santissima Trinità; il nostro Simbolo incomincia con la
creazione del cielo e della terra, perché la creazione è l'inizio e il
fondamento di tutte le opere di Dio.
“IO
CREDO IN DIO PADRE ONNIPOTENTE
CREATORE
DEL CIELO E DELLA TERRA”
Paragrafo
1
199
“Io credo in Dio”: questa prima affermazione della professione di fede è
anche la più importante, quella fondamentale. Tutto il Simbolo parla di Dio, e,
se parla anche dell'uomo e del mondo, lo fa in rapporto a Dio. Gli articoli del
Credo dipendono tutti dal primo, così come i Comandamenti sono l'esplicitazione
del primo. Gli altri articoli ci fanno meglio conoscere Dio, quale si è
rivelato progressivamente agli uomini. “Giustamente quindi i cristiani
affermano per prima cosa di credere in Dio” [Catechismo Romano, 1, 2, 2].
I. “Io credo in un solo Dio”
200
Con queste parole incomincia il Simbolo di Nicea-Costantinopoli. La confessione
della Unicità di Dio, che ha la sua radice nella Rivelazione divina nell'Antica
Alleanza, è inseparabile da quella dell'esistenza di Dio ed è altrettanto
fondamentale. Dio è Unico: non c'è che un solo Dio: “La fede cristiana crede
e professa un solo Dio, unico per natura, per sostanza e per essenza”
[Catechismo Romano, 1, 2, 2].
201 A
Israele, suo eletto, Dio si è rivelato come l'Unico: “Ascolta, Israele: il
Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio
con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,4-5). Per
mezzo dei profeti, Dio invita Israele e tutte le nazioni a volgersi a lui,
l'Unico: “Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io
sono Dio; non ce n'è altri... davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me
giurerà ogni lingua. Si dirà: "Solo nel Signore si trovano vittoria e
potenza"” (Is 45,22-24) [Cf Fil 2,10-11].
202
Gesù stesso conferma che Dio è “l'unico Signore” e che lo si deve amare
con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze [Cf
Mc 12,29-30]. Nello stesso tempo lascia capire che egli pure è “il Signore”
[Cf Mc 12,35-37]. Confessare che “Gesù è Signore” è lo specifico della
fede cristiana. Ciò non contrasta con la fede nel Dio Unico. Credere nello
Spirito Santo “che è Signore e dà la Vita” non introduce alcuna divisione
nel Dio unico:
Crediamo
fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio, eterno e
immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e
Spirito Santo: tre Persone, ma una sola Essenza, Sostanza, cioè Natura
assolutamente semplice [Concilio Lateranense IV (1215): Denz. -Schönm., 800].
II. Dio rivela il suo Nome
203
Dio si è rivelato a Israele, suo popolo, facendogli conoscere il suo Nome. Il
nome esprime l'essenza, l'identità della persona e il senso della sua vita. Dio
ha un nome. Non è una forza anonima. Svelare il proprio nome, è farsi
conoscere agli altri; in qualche modo è consegnare se stesso rendendosi
accessibile, capace d'essere conosciuto più intimamente e di essere chiamato
personalmente.
204
Dio si è rivelato al suo popolo progressivamente e sotto diversi nomi; ma la
rivelazione del Nome divino fatta a Mosè nella teofania del roveto ardente,
alle soglie dell'Esodo e dell'Alleanza del Sinai, si è mostrata come la
rivelazione fondamentale per l'Antica e la Nuova Alleanza.
Il Dio vivente
205
Dio chiama Mosè dal mezzo di un roveto che brucia senza consumarsi, e gli dice:
“Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe” (Es 3,6). Dio è il Dio dei padri, colui che aveva chiamato e
guidato i patriarchi nelle loro peregrinazioni. E' il Dio fedele e
compassionevole che si ricorda di loro e delle sue promesse; egli viene per
liberare i loro discendenti dalla schiavitù. Egli è il Dio che, al di là
dello spazio e del tempo, lo può e lo vuole e che, per questo disegno, metterà
in atto la sua onnipotenza.
“Io sono Colui che sono”
Mosè
disse a Dio: “Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri
padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa
risponderò loro?”. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. Poi
disse: “Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. . . Questo è il
mio nome per sempre: questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione
in generazione” (Es 3,13-15).
206
Rivelando il suo Nome misterioso di YHWH, “Io sono colui che E'” oppure
“Io sono colui che Sono” o anche “Io sono chi Io sono”, Dio dice chi
egli è e con quale nome lo si deve chiamare. Questo Nome divino è misterioso
come Dio è Mistero. Ad un tempo è un Nome rivelato e quasi il rifiuto di un
nome; proprio per questo esprime, come meglio non si potrebbe, la realtà di
Dio, infinitamente al di sopra di tutto ciò che possiamo comprendere o dire:
egli è il “Dio nascosto” (Is 45,15), il suo Nome è ineffabile, [Cf Gdc
13,18] ed è il Dio che si fa vicino agli uomini.
207
Rivelando il suo Nome, Dio rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da
sempre e per sempre, valida per il passato (Io sono il Dio dei tuoi padri”, Es
3,6), come per l'avvenire (Io sarò con te”, Es 3,12). Dio che rivela il suo
Nome come “Io sono” si rivela come il Dio che è sempre là, presente
accanto al suo popolo per salvarlo.
208 Di
fronte alla presenza affascinante e misteriosa di Dio, l'uomo scopre la propria
piccolezza. Davanti al roveto ardente, Mosè si toglie i sandali e si vela il
viso [Cf Es 3,5-6] al cospetto della Santità divina. Davanti alla Gloria del
Dio tre volte santo, Isaia esclama: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo
dalle labbra impure io sono” (Is 6,5). Davanti ai segni divini che Gesù
compie, Pietro esclama: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc
5,8). Ma poiché Dio è santo, può perdonare all'uomo che davanti a lui si
riconosce peccatore: “Non darò sfogo all'ardore della mia ira. . . perché
sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te” (Os 11,9). Anche l'apostolo
Giovanni dirà: “Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa
esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”
(1Gv 3,19-20).
209 Il
Popolo d'Israele non pronuncia il Nome di Dio, per rispetto alla sua santità.Nella
lettura della Sacra Scrittura il Nome rivelato è sostituito con il titolo
divino “Signore” (Adonai”, in greco “Kyrios”). Con questo titolo si
proclamerà la divinità di Gesù: “Gesù è il Signore”.
“Dio di misericordia e di pietà”
210
Dopo il peccato di Israele, che si è allontanato da Dio per adorare il vitello
d'oro, [Cf Es 32] Dio ascolta l'intercessione di Mosè ed acconsente a camminare
in mezzo ad un popolo infedele, manifestando in tal modo il suo amore [Cf Es
33,12-17]. A Mosè che chiede di vedere la sua gloria, Dio risponde: “Farò
passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore [YHWH],
davanti a te” (Es 33,18-19). E il Signore passa davanti a Mosè e proclama:
“YHWH, YHWH, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e
di fedeltà” (Es 34,5-6). Mosè allora confessa che il Signore è un Dio che
perdona [Cf Es 34,9].
211 Il
Nome divino “Io sono” o “Egli è” esprime la fedeltà di Dio il quale,
malgrado l'infedeltà del peccato degli uomini e il castigo che merita,
“conserva il suo favore per mille generazioni” (Es 34,7). Dio rivela di
essere “ricco di misericordia” (Ef 2,4) arrivando a dare il suo Figlio. Gesù,
donando la vita per liberarci dal peccato, rivelerà che anch'egli porta il Nome
divino: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io
sono” (Gv 8,28).
Dio solo E'
212
Lungo i secoli, la fede d'Israele ha potuto sviluppare ed approfondire le
ricchezze contenute nella rivelazione del Nome divino. Dio è unico, fuori di
lui non ci sono dei [Cf Is 44,6]. Egli trascende il mondo e la storia. E' lui
che ha fatto il cielo e la terra: “essi periranno, ma tu rimani, tutti si
logorano come veste. . . ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine” (Sal
102,27-28). In lui “non c'è variazione né ombra di cambiamento” (Gc 1,17).
Egli è “colui che è” da sempre e per sempre, e perciò resta sempre fedele
a se stesso ed alle sue promesse.
213 La
rivelazione del Nome ineffabile “Io sono colui che sono” contiene dunque la
verità che Dio solo E'. In questo senso già la traduzione dei Settanta e,
sulla sua scia, la Tradizione della Chiesa hanno inteso il Nome divino: Dio è
la pienezza dell'Essere e di ogni perfezione, senza origine e senza fine. Mentre
tutte le creature hanno ricevuto da lui tutto ciò che sono e che hanno, egli
solo è il suo stesso essere ed è da se stesso tutto ciò che è.
III. Dio, “colui che è”, è Verità e Amore
214
Dio, “colui che è”, si è rivelato a Israele come colui che è “ricco di
grazia e di fedeltà” (Es 34,6). Questi due termini esprimono in modo
sintetico le ricchezze del Nome divino. In tutte le sue opere Dio mostra la sua
benevolenza, la sua bontà, la sua grazia, il suo amore; ma anche la sua
affidabilità, la sua costanza, la sua fedeltà, la sua verità. “Rendo grazie
al tuo Nome per la tua fedeltà e la tua misericordia” (Sal 138,2) [Cf Sal
85,11]. Egli è la Verità, perché “Dio è Luce e in lui non ci sono
tenebre” (1Gv 1,5); egli è “Amore”, come insegna l'apostolo Giovanni (1Gv
4,8).
Dio è la Verità
215
“La verità è principio della tua parola, resta per sempre ogni sentenza
della tua giustizia” (Sal 119,160). “Ora, Signore, tu sei Dio, e le tue
parole sono verità” (2Sam 7,28); per questo le promesse di Dio si realizzano
sempre [Cf Dt 7,9]. Dio è la stessa Verità, le sue parole non possono
ingannare. Proprio per questo ci si può affidare con piena fiducia alla verità
e alla fedeltà della sua Parola in ogni cosa. L'origine del peccato e della
caduta dell'uomo fu una menzogna del tentatore, che indusse a dubitare della
Parola di Dio, della sua bontà e della sua fedeltà.
216 La
verità di Dio è la sua sapienza che regge tutto l'ordine della creazione e del
governo del mondo [Cf Sap 13,1-9]. Dio che, da solo, “ha fatto cielo e
terra” (Sal 115,15), può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa
creata nella sua relazione con lui [Cf Sap 7,17-21].
217
Dio è veritiero anche quando rivela se stesso: “un insegnamento fedele” è
“sulla sua bocca” (Ml 2,6). Quando manderà il suo Figlio nel mondo, sarà
“per rendere testimonianza alla Verità” (Gv 18,37): “Sappiamo che il
Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l'intelligenza per conoscere il vero Dio”
(1Gv 5,20) [Cf Gv 17,3].
Dio è Amore
218
Israele, nel corso della sua storia, ha potuto scoprire che uno solo era il
motivo per cui Dio gli si era rivelato e lo aveva scelto fra tutti i popoli
perché gli appartenesse: il suo amore gratuito [Cf Dt 4,37; Dt 7,8; Dt 10,15].
Ed Israele, per mezzo dei profeti, ha compreso che, ancora per amore, Dio non ha
mai cessato di salvarlo [Cf Is 43,1-7] e di perdonargli la sua infedeltà e i
suoi peccati [Cf Os 2].
219
L'amore di Dio per Israele è paragonato all'amore di un padre per il proprio
figlio [Cf Os 11,1]. E' un amore più forte dell'amore di una madre per i suoi
bambini [Cf Is 49,14-15]. Dio ama il suo Popolo più di quanto uno sposo ami la
propria sposa; [Cf Is 62,4-5] questo amore vincerà anche le più gravi infedeltà;
[Cf Ez 16; Os 11] arriverà fino al dono più prezioso: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16).
220
L'amore di Dio è “eterno” (Is 54,8): “Anche se i monti si spostassero e i
colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto” (Is 54,10).
“Ti ho amato di un amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà” (Ger
31,3).
221 Ma
san Giovanni si spingerà oltre affermando: “Dio è Amore” (1Gv 4,8; 1Gv
4,16): l'Essere stesso di Dio è Amore. Mandando, nella pienezza dei tempi, il
suo Figlio unigenito e lo Spirito d'Amore, Dio rivela il suo segreto più
intimo: [Cf 1Cor 2,7-16; Ef 3,9-12] è lui stesso eterno scambio d'amore: Padre,
Figlio e Spirito Santo, e ci ha destinati ad esserne partecipi.
IV. Conseguenze della fede nel Dio unico
222
Credere in Dio, l'Unico, ed amarlo con tutto il proprio essere comporta per
tutta la nostra vita enormi conseguenze:
223
Conoscere la grandezza e la maestà di Dio: “Ecco, Dio è così grande, che
non lo comprendiamo” (Gb 36,26). Proprio per questo Dio deve essere “servito
per primo” [Santa Giovanna d'Arco, Dictum].
224
Vivere in rendimento di grazie: se Dio è l'Unico, tutto ciò che siamo e tutto
ciò che abbiamo viene da lui: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia
ricevuto?” (1Cor 4,7). “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha
dato?” (Sal 116,12).
225
Conoscere l'unità e la vera dignità di tutti gli uomini: tutti sono fatti “a
immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26).
226
Usare rettamente le cose create: la fede nell'Unico Dio ci conduce ad usare
tutto ciò che non è lui nella misura in cui ci avvicina a lui, e a staccarcene
nella misura in cui da lui ci allontana [Cf Mt 5,29-30; Mt 16,24; Mt 19,23-24].
Mio
Signore e mio Dio, togli da me quanto mi allontana da te.
Mio
Signore e mio Dio, dammi tutto ciò che mi conduce a te.
Mio
Signore e mio Dio, toglimi a me e dammi tutto a te [San Nicolao di Flüe,
Preghiera].
227
Fidarsi di Dio in ogni circostanza, anche nell'avversità. Una preghiera di
santa Teresa di Gesù esprime ciò mirabilmente:
Niente
ti turbi / niente ti spaventi.
Tutto
passa / Dio non cambia.
La
pazienza ottiene tutto. / Chi ha Dio
non
manca di nulla. / Dio solo basta
[Santa
Teresa di Gesù, Poesie, 30].
228
“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo...” (Dt
6,4; Mc 12,29). “L'Essere supremo deve necessariamente essere unico, cioè
senza eguali... Se Dio non è unico, non è Dio” [Tertulliano, Adversus
Marcionem, 1, 3].
229 La
fede in Dio ci conduce a volgerci a lui solo come alla nostra prima rigine e al
nostro ultimo fine,
e a non anteporre o sostituire nulla a lui.
230
Dio, mentre si rivela, rimane un Mistero ineffabile: “Se lo comprendessi, non
sarebbe Dio” [Sant'Agostino, Sermones, 52, 6, 16: PL 38, 360].
231 Il
Dio della nostra fede si è rivelato come colui che è; si è fatto conoscere
come “ricco di grazia e di misericordia” (Es 34,6). Il suo Essere stesso è
Verità e Amore.
IL
PADRE
I. “Nel nome del Padre e del Figlio
e
dello Spirito Santo”
232 I
cristiani vengono battezzati “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo” (Mt 28,19). Prima rispondono “Io credo” alla triplice domanda con
cui ad essi si chiede di confessare la loro fede nel Padre, nel Figlio e nello
Spirito: “Fides omnium christianorum in Trinitate consistit La fede di tutti i
cristiani si fonda sulla Trinità” [San Cesario d'Arles, Expositio symboli (sermo
9): CCL 103, 48].
233 I
cristiani sono battezzati “nel nome” - e non “nei nomi” - del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo; [Professione di fede del papa Vigilio nel 552:
Denz. -Schönm., 415] infatti non vi è che un solo Dio, il Padre onnipotente e
il Figlio suo unigenito e lo Spirito Santo: la Santissima Trinità.
234 Il
mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita
cristiana. E' il mistero di Dio in se stesso. E' quindi la sorgente di tutti gli
altri misteri della fede; è la luce che li illumina. E' l'insegnamento più
fondamentale ed essenziale nella “gerarchia delle verità” di fede
[Congregazione per il clero, Direttorio catechistico generale, 43]. “Tutta la
storia della salvezza è la storia del rivelarsi del Dio vero e unico: Padre,
Figlio e Spirito Santo, il quale riconcilia e unisce a sé coloro che sono
separati dal peccato” [Congregazione per il clero, Direttorio catechistico
generale, 43].
235 In
questo paragrafo, si esporrà in breve in qual modo è stato rivelato il mistero
della Beata Trinità (I), come la Chiesa ha formulato la dottrina della fede in
questo mistero (II), e infine, come, attraverso le missioni divine del Figlio e
dello Spirito Santo, Dio Padre realizza il suo “benevolo disegno” di
creazione, redenzione e santificazione (III).
236 I
Padri della Chiesa fanno una distinzione tra la “Theologia” e l'“Oikonomia”,
designando con il primo termine il mistero della vita intima del Dio-Trinità, e
con il secondo tutte le opere di Dio, con le quali egli si rivela e comunica la
sua vita. Attraverso l' “Oikonomia” ci è rivelata la “Theologia”; ma,
inversamente, è la “Theologia” che illumina tutta l' “Oikonomia”. Le
opere di Dio rivelano chi egli è in se stesso; e, inversamente, il mistero del
suo Essere intimo illumina l'intelligenza di tutte le sue opere. Avviene così,
analogicamente, tra le persone umane. La persona si mostra attraverso le sue
azioni, e, quanto più conosciamo una persona, tanto più comprendiamo le sue
azioni.
237 La
Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei “misteri nascosti
in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati”
[Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3015]. Indubbiamente Dio ha lasciato
tracce del suo essere trinitario nell'opera della creazione e nella sua
Rivelazione lungo il corso dell'Antico Testamento. Ma l'intimità del suo Essere
come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come
pure alla fede d'Israele, prima dell'Incarnazione del Figlio di Dio e dell'invio
dello Spirito Santo.
II. La Rivelazione di Dio come Trinità
Il Padre rivelato dal Figlio
238 In
molte religioni Dio viene invocato come “Padre”. Spesso la divinità è
considerata come “padre degli dèi e degli uomini”. Presso Israele, Dio è
chiamato Padre in quanto Creatore del mondo [Cf Dt 32,6; Ml 2,10]. Ancor più
Dio è Padre in forza dell'Alleanza e del dono della Legge fatto a Israele, suo
“figlio primogenito” (Es 4,22). E' anche chiamato Padre del re d'Israele [Cf
2Sam 7,14]. In modo particolarissimo Egli è “il Padre dei poveri”,
dell'orfano, della vedova, che sono sotto la sua protezione amorosa [Cf Sal
68,6].
239
Chiamando Dio con il nome di “Padre”, il linguaggio della fede mette in luce
soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità
trascendente, e che, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d'amore per
tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa
con l'immagine della maternità, [Cf Is 66,13; 239 Sal 131,2] che indica ancor
meglio l'immanenza di Dio, l'intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio
della fede si rifà così all'esperienza umana dei genitori che, in certo qual
modo, sono per l'uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però,
mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della
paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la
distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio.
Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, [Cf Sal 27,10] pur
essendone l'origine e il modello: [Cf Ef 3,14; Is 49,15] nessuno è padre quanto
Dio.
240
Gesù ha rivelato che Dio è “Padre” in un senso inaudito: non lo è
soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio
suo Unigenito, il quale non è eternamente Figlio se non in relazione al Padre
suo: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se
non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).
241
Per questo gli Apostoli confessano Gesù come “il Verbo” che “in
principio” “era presso Dio”, “il Verbo” che “era Dio” (Gv 1,1),
come “l'immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), come l'“irradiazione
della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1,3).
242
Sulla loro scia, seguendo la Tradizione Apostolica, la Chiesa nel 325, nel primo
Concilio Ecumenico di Nicea, ha confessato che il Figlio è “consustanziale”
al Padre, cioè un solo Dio con lui. Il secondo Concilio Ecumenico, riunito a
Costantinopoli nel 381, ha conservato tale espressione nella sua formulazione
del Credo di Nicea ed ha confessato “il Figlio unigenito di Dio, generato dal
Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non
creato, della stessa sostanza del Padre” [Denz. -Schönm., 150].
Il Padre e il Figlio rivelati dallo Spirito
243
Prima della sua Pasqua, Gesù annunzia l'invio di un “altro Paraclito”
(Difensore), lo Spirito Santo. Lo Spirito che opera fin dalla creazione, [Cf Gen
1,2] che già aveva “parlato per mezzo dei profeti” (Simbolo di
Nicea-Costantinopoli), dimorerà presso i discepoli e sarà in loro, [Cf Gv
14,17] per insegnare loro ogni cosa [Cf Gv 14,26] e guidarli “alla verità
tutta intera” (Gv 16,13). Lo Spirito Santo è in tal modo rivelato come
un'altra Persona divina in rapporto a Gesù e al Padre.
244
L'origine eterna dello Spirito si rivela nella sua missione nel tempo. Lo
Spirito Santo è inviato agli Apostoli e alla Chiesa sia dal Padre nel nome del
Figlio, sia dal Figlio in persona, dopo il suo ritorno al Padre [Cf Gv 14,26; Gv
15,26; Gv 16,14]. L'invio della Persona dello Spirito dopo la glorificazione di
Gesù [Cf Gv 7,39] rivela in pienezza il Mistero della Santa Trinità.
245 La
fede apostolica riguardante lo Spirito è stata confessata dal secondo Concilio
Ecumenico nel 381 a Costantinopoli: “Crediamo nello Spirito Santo, che è
Signore e dà vita; che procede dal Padre” [Denz. -Schönm., 150]. Così la
Chiesa riconosce il Padre come “la fonte e l'origine di tutta la divinità”
[Concilio di Toledo VI (638): Denz. -Schönm., 490]. L'origine eterna dello
Spirito Santo non è tuttavia senza legame con quella del Figlio: “Lo Spirito
Santo, che è la Terza Persona della Trinità, è Dio, uno e uguale al Padre e
al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura... Tuttavia, non si
dice che Egli è soltanto lo Spirito del Padre, ma che è, ad un tempo, lo
Spirito del Padre e del Figlio” [Concilio di Toledo XI (675): Denz. -Schönm.,
527]. Il Credo del Concilio di Costantinopoli della Chiesa confessa: “Con il
Padre e con il Figlio è adorato e glorificato” [Denz.-Schönm., 150].
246 La
tradizione latina del Credo confessa che lo Spirito “procede dal Padre e dal
Figlio [Filioque] ”. Il Concilio di Firenze, nel 1439, esplicita: “Lo
Spirito Santo ha la sua essenza e il suo essere sussistente ad un tempo dal
Padre e dal Figlio e. . . procede eternamente dall'Uno e dall'Altro come da un
solo Principio e per una sola spirazione. . . E poiché tutto quello che è del
Padre, lo stesso Padre lo ha donato al suo unico Figlio generandolo, ad
eccezione del suo essere Padre, anche questo procedere dello Spirito Santo a
partire dal Figlio lo riceve dall'eternità dal suo Padre che ha generato il
Figlio stesso” [Concilio di Firenze: Denz. -Schönm., 1300-1301].
247
L'affermazione del Filioque mancava nel Simbolo confessato a Costantinopoli nel
381. Ma sulla base di una antica tradizione latina e alessandrina, il Papa san
Leone l'aveva già dogmaticamente confessata nel 447, [Cf San Leone Magno,
Lettera Quam laudabiliter: Denz. -Schönm., 284] prima che Roma conoscesse e
ricevesse, nel 451, durante il Concilio di Calcedonia, il Simbolo del 381. L'uso
di questa formula nel Credo è entrato a poco a poco nella Liturgia latina (tra
i secoli VIII e XI). L'introduzione del “Filioque” nel Simbolo di
Nicea-Costantinopoli da parte della Liturgia latina costituisce tuttavia, ancora
oggi, un punto di divergenza con le Chiese ortodosse.
248 La
tradizione orientale mette innanzi tutto in rilievo che il Padre, in rapporto
allo Spirito, è l'origine prima. Confessando che lo Spirito “procede dal
Padre” (Gv 15,26), afferma che lo Spirito procede dal Padre attraverso il
Figlio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 2]. La tradizione occidentale dà
maggior risalto alla comunione consustanziale tra il Padre e il Figlio
affermando che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio (Filioque). Lo dice
“lecitamente e ragionevolmente”; [Concilio di Firenze (1439): Denz. -Schönm.,
1302] infatti l'ordine eterno delle Persone divine nella loro comunione
consustanziale implica che il Padre sia l'origine prima dello Spirito in quanto
“principio senza principio”, [Concilio di Firenze (1442): Denz. -Schönm.,
1331] ma pure che, in quanto Padre del Figlio Unigenito, Egli con Lui sia
“l'unico principio dal quale procede lo Spirito Santo” [Cf Concilio di Lione
II (1274): Denz. -Schönm., 850]. Questa legittima complementarità, se non
viene inasprita, non scalfisce l'identità della fede nella realtà del medesimo
mistero confessato.
III. La Santa Trinità nella dottrina della fede
La formazione del dogma trinitario
249 La
verità rivelata della Santa Trinità è stata, fin dalle origini, alla radice
della fede vivente della Chiesa, principalmente per mezzo del Battesimo. Trova
la sua espressione nella regola della fede battesimale, formulata nella
predicazione, nella catechesi e nella preghiera della Chiesa. Simili
formulazioni compaiono già negli scritti apostolici, come ad esempio questo
saluto, ripreso nella Liturgia eucaristica: “La grazia del Signore Gesù
Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”
(2Cor 13,13) [Cf 1Cor 12,4-6; Ef 4,4-6].
250
Nel corso dei primi secoli, la Chiesa ha cercato di formulare in maniera più
esplicita la sua fede trinitaria, sia per approfondire la propria intelligenza
della fede, sia per difenderla contro errori che la alteravano. Fu questa
l'opera degli antichi Concili, aiutati dalla ricerca teologica dei Padri della
Chiesa e sostenuti dal senso della fede del popolo cristiano.
251
Per la formulazione del dogma della Trinità, la Chiesa ha dovuto sviluppare una
terminologia propria ricorrendo a nozioni di origine filosofica: “sostanza”,
“persona” o “ipostasi”, “relazione”, ecc. Così facendo, non ha
sottoposto la fede ad una sapienza umana, ma ha dato un significato nuovo,
insolito a questi termini assunti ora a significare anche un Mistero
inesprimibile, “infinitamente al di là di tutto ciò che possiamo concepire a
misura d'uomo” [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 2].
252 La
Chiesa adopera il termine “sostanza” (reso talvolta anche con “essenza”
o “natura”) per designare l'Essere divino nella sua unità, il termine
“persona” o “ipostasi” per designare il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo nella loro reale distinzione reciproca, il termine “relazione” per
designare il fatto che la distinzione tra le Persone divine sta nel riferimento
delle une alle altre.
Il dogma della Santa Trinità
253 La
Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dèi, ma un Dio solo in tre Persone:
“la Trinità consustanziale” [Concilio di Costantinopoli II (553): Denz.
-Schönm., 421]. Le Persone divine non si dividono l'unica divinità, ma
ciascuna di esse è Dio tutto intero: “Il Padre è tutto ciò che è il
Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è
il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto alla natura” [Concilio di
Toledo XI (675): Denz. -Schönm., 530]. “Ognuna delle tre Persone è quella
realtà, cioè la sostanza, l'essenza o la natura divina” [Concilio
Lateranense IV (1215): Denz.-Schönm., 804].
254 Le
Persone divine sono realmente distinte tra loro. “Dio è unico ma non
solitario” [Fides Damasi: Denz. -Schönm., 71]. “Padre”, “Figlio” e
“Spirito Santo” non sono semplicemente nomi che indicano modalità
dell'Essere divino; essi infatti sono realmente distinti tra loro: “il Figlio
non è il Padre, il Padre non è il Figlio, e lo Spirito Santo non è il Padre o
il Figlio” [Concilio di Toledo XI (675): Denz. -Schönm., 530]. Sono distinti
tra loro per le loro relazioni di origine: “E' il Padre che genera, il Figlio
che è generato, lo Spirito Santo che procede” [Concilio Lateranense IV
(1215): Denz. -Schönm., 804]. L'Unità divina è Trina.
255 Le
Persone divine sono relative le une alle altre. La distinzione reale delle
Persone divine tra loro, poiché non divide l'unità divina, risiede
esclusivamente nelle relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre:
“Nei nomi relativi delle Persone, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al
Padre, lo Spirito Santo all'uno e all'altro; quando si parla di queste tre
Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura o
sostanza” [Concilio di Toledo XI (675): Denz. -Schönm. , 528]. Infatti
“tutto è una cosa sola in loro, dove non si opponga la relazione” [Concilio
di Firenze (1442): Denz. -Schönm., 1330]. “Per questa unità il Padre è
tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio tutto nel Padre, tutto
nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio”
[Concilio di Firenze (1442): Denz. -Schönm., 1330].
256 Ai
catecumeni di Costantinopoli san Gregorio Nazianzeno, detto anche “il
Teologo”, consegna questa sintesi della fede trinitaria:
Innanzi
tutto, conservatemi questo prezioso deposito, per il quale io vivo e combatto,
con il quale voglio morire, che mi rende capace di sopportare ogni male e di
disprezzare tutti i piaceri: intendo dire la professione di fede nel Padre, nel
Figlio e nello Spirito Santo. Io oggi ve la affido. Con essa fra poco vi
immergerò nell'acqua e da essa vi trarrò. Ve la dono, questa professione, come
compagna e patrona di tutta la vostra vita. Vi do una sola Divinità e Potenza,
che è Uno in Tre, e contiene i Tre in modo distinto. Divinità senza differenza
di sostanza o di natura, senza grado superiore che eleva, o inferiore che
abbassa. . . Di tre infiniti è l'infinita connaturalità. Ciascuno considerato
in sé è Dio tutto intiero. . . Dio le Tre Persone considerate insieme. . . Ho
appena appena incominciato a pensare all'Unità ed eccomi immerso nello
splendore della Trinità. Ho appena incominciato a pensare alla Trinità ed ecco
che l'Unità mi sazia. . [San Gregorio Nazianzeno, Orationes, 40, 41: PG 36,
417].
IV. Le operazioni divine e le missioni trinitarie
257
“O lux, beata Trinitas et principalis Unitas - O luce, Trinità beata e
originaria Unità!” [Liturgia delle Ore, Inno ai Vespri “O lux beata
Trinitas”]. Dio è eterna beatitudine, vita immortale, luce senza tramonto.
Dio è Amore: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio liberamente vuol comunicare la
gloria della sua vita beata. Tale è il disegno della sua benevolenza, [Cf Ef
1,9] disegno che ha concepito prima della creazione del mondo nel suo Figlio
diletto, “predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù
Cristo” (Ef 1,4-5), cioè “ad essere conformi all'immagine del Figlio suo”
(Rm 8,29), in forza dello “Spirito da figli adottivi”(Rm 8,15). Questo
progetto è una “grazia che ci è stata data. . . fin dall'eternità” (2Tm
1,9-10) e che ha come sorgente l'amore trinitario. Si dispiega nell'opera della
creazione, in tutta la storia della salvezza dopo la caduta, nella missione del
Figlio e in quella dello Spirito, che si prolunga nella missione della Chiesa [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 2-9].
258
Tutta l'Economia divina è l'opera comune delle tre Persone divine. Infatti, la
Trinità, come ha una sola e medesima natura, così ha una sola e medesima
operazione [Cf Concilio di Costantinopoli II (553): Denz. -Schönm., 421]. “Il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principi della creazione, ma un
solo principio” [Concilio di Firenze (1442): Denz. -Schönm., 1331]. Tuttavia,
ogni Persona divina compie l'operazione comune secondo la sua personale proprietà.
Così la Chiesa rifacendosi al Nuovo Testamento [Cf 1Cor 8,6] professa: “Uno
infatti è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il Signore Gesù Cristo,
mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono
tutte le cose” [Concilio di Costantinopoli II (553): Denz. -Schönm., 421]. Le
missioni divine dell'Incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo sono
quelle che particolarmente manifestano le proprietà delle Persone divine.
259
Tutta l'Economia divina, opera comune e insieme personale, fa conoscere tanto la
proprietà delle Persone divine, quanto la loro unica natura. Parimenti, tutta
la vita cristiana è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun
modo separarle. Chi rende gloria al Padre lo fa per il Figlio nello Spirito
Santo; chi segue Cristo, lo fa perché il Padre lo attira [Cf Gv 6,44] e perché
lo Spirito lo guida [Cf Rm 8,14].
260 Il
fine ultimo dell'intera Economia divina è che tutte le creature entrino
nell'unità perfetta della Beata Trinità [Cf Gv 17,21-23]. Ma fin d'ora siamo
chiamati ad essere abitati dalla Santissima Trinità: “Se uno mi ama”, dice
il Signore, “osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a
lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23):
O mio
Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per stabilirmi in
te, immobile e serena come se la mia anima fosse già nell'eternità; nulla
possa turbare la mia pace né farmi uscire da te, o mio Immutabile, ma che ogni
minuto mi porti più addentro nella profondità del tuo Mistero! Pacifica la mia
anima; fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che io
non ti lasci mai sola, ma che sia lì, con tutta me stessa, tutta vigile nella
mia fede, tutta adorante, tutta offerta alla tua azione creatrice [Beata
Elisabetta della Trinità, Preghiera].
261 Il
Mistero della Santissima Trinità è il Mistero centrale della fede e della vita
cristiana. Soltanto Dio può darcene la conoscenza rivelandosi come Padre,
Figlio e Spirito Santo.
262
L'Incarnazione del Figlio di Dio rivela che Dio è il Padre eterno e che il
Figlio è consustanziale al Padre, cioè che in lui e con lui è lo stesso unico
Dio.
263 La
missione dello Spirito Santo, che il Padre manda nel nome del Figlio [Cf Gv
14,26] e che il Figlio manda “dal Padre” (Gv 15,26), rivela che egli è con
loro lo stesso unico Dio. “Con il Padre e con il Figlio è adorato e
glorificato”.
264
“Lo Spirito Santo procede, primariamente, dal Padre e, per il dono eterno che
il Padre ne fa al Figlio, procede dal Padre e dal Figlio in comunione”
[Sant'Agostino, De Trinitate, 15, 26, 47].
265
Attraverso la grazia del Battesimo “nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo”, siamo chiamati ad aver parte alla vita della Beata Trinità,
quaggiù nell'oscurità della fede, e, oltre la morte, nella luce eterna [Cf
Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 9].
266
“Fides autem catholica haec est, ut unum Deum in Trinitate, et Trinitatem in
unitate veneremur, neque confundentes personas, neque substantiam separantes:
alia enim est persona Patris, alia Filii, alia Spiritus Sancti; sed Patris et
Filii et Spiritus Sancti est una divinitas, aequalis gloria, coaeterna maiestas
- La fede cattolica consiste nel venerare un Dio solo nella Trinità, e la
Trinità nell'Unità, senza confusione di Persone né separazione della
sostanza: altra infatti è la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra
quella dello Spirito Santo; ma unica è la divinità del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo, uguale la gloria, coeterna la maestà” [Simbolo “Quicumque”:
Denz. -Schönm., 75].
267
Inseparabili nella loro sostanza, le Persone divine sono inseparabili anche
nelle loro operazioni. Ma nell'unica operazione divina ogni Per sona manifesta
ciò che le è proprio nella Trinità, soprattutto nelle missioni divine
dell'Incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo.
L'ONNIPOTENTE
268 Di
tutti gli attributi divini, nel Simbolo si nomina soltanto l'onnipotenza di Dio:
confessarla è di grande importanza per la nostra vita. Noi crediamo che tale
onnipotenza è universale, perché Dio, che tutto ha creato, [Cf Gen 1,1; Gv
1,3] tutto governa e tutto può; amante, perché Dio è nostro Padre; [Cf Mt
6,9] misteriosa, perché la fede soltanto la può riconoscere allorché “si
manifesta nella debolezza” (2Cor 12,9) [Cf 1Cor 1,18].
“Egli opera tutto ciò che vuole” (Sal 115,3)
269 Le
Sacre Scritture affermano a più riprese la potenza universale di Dio. Egli è
detto “il Potente di Giacobbe” (Gen 49,24; Is 1,24 e. a), “il Signore
degli eserciti”, “il Forte, il Potente” (Sal 24,8-10). Se Dio è
onnipotente “in cielo e sulla terra” (Sal 135,6), è perché lui stesso li
ha fatti. Nulla quindi gli è impossibile [Cf Ger 32,17; 269 Lc 1,37] e dispone
della sua opera come gli piace; [Cf Ger 27,5] egli è il Signore dell'universo,
di cui ha fissato l'ordine che rimane a lui interamente sottoposto e
disponibile; egli è il Padrone della storia: muove i cuori e guida gli
avvenimenti secondo il suo beneplacito [Cf Est 4,17 b; Pr 21,1; Tb 13,2].
“Prevalere con la forza ti è sempre possibile; chi potrà opporsi al potere
del tuo braccio?” (Sap 11,21).
“Hai compassione di tutti, perché tutto tu
puoi”
(Sap 11,23)
270
Dio è il Padre onnipotente. La sua paternità e la sua potenza si illuminano a
vicenda. Infatti, egli mostra la sua onnipotenza paterna nel modo in cui si
prende cura dei nostri bisogni; [Cf Mt 6,32] attraverso l'adozione filiale che
ci dona (sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice
il Signore onnipotente”: 2Cor 6,18); infine attraverso la sua infinita
misericordia, dal momento che egli manifesta al massimo grado la sua potenza
perdonando liberamente i peccati.
271
L'onnipotenza divina non è affatto arbitraria: “In Dio la potenza e
l'essenza, la volontà e l'intelligenza, la sapienza e la giustizia sono una
sola ed identica cosa, di modo che nulla può esserci nella potenza divina che
non possa essere nella giusta volontà di Dio o nella sua sapiente
intelligenza” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 25, 5, ad 1].
Il mistero dell'apparente impotenza di Dio
272 La
fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall'esperienza del
male e della sofferenza. Talvolta Dio può sembrare assente ed incapace di
impedire il male. Ora, Dio Padre ha rivelato nel modo più misterioso la sua
onnipotenza nel volontario abbassamento e nella Risurrezione del Figlio suo, per
mezzo dei quali ha vinto il male. Cristo crocifisso è quindi “potenza di Dio
e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli
uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor
1,24-25). Nella Risurrezione e nella esaltazione di Cristo il Padre ha
dispiegato “l'efficacia della sua forza” e ha manifestato “la
straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti” (Ef 1,19-22).
273
Soltanto la fede può aderire alle vie misteriose dell'onnipotenza di Dio. Per
questa fede, ci si gloria delle proprie debolezze per attirare su di sé la
potenza di Cristo [Cf 2Cor 12,9; Fil 4,13]. Di questa fede il supremo modello è
la Vergine Maria: ella ha creduto che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37)
e ha potuto magnificare il Signore: “Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e santo è il suo nome” (Lc 1,49).
274
“La ferma persuasione dell'onnipotenza divina vale più di ogni altra cosa a
corroborare in noi il doveroso sentimento della fede e della speranza. La nostra
ragione, conquistata dall'idea della divina onnipotenza, assentirà, senza più
dubitare, a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto possa essere
grande e meravigliosa o superiore alle leggi e all'ordine della natura. Anzi,
quanto più sublimi saranno le verità da Dio rivelate, tanto più agevolmente
riterrà di dovervi assentire” [Catechismo Romano, 1, 2, 13].
275
Con Giobbe, il giusto, noi confessiamo: “Comprendo che puoi tutto e che
nessuna cosa è impossibile per te” (Gb 42,2).
276
Fedele alla testimonianza della Scrittura, la Chiesa rivolge spesso la sua
preghiera al “Dio onnipotente ed eterno” (omnipotens sempiterne Deus. . .
”), credendo fermamente che “nulla è impossibile a Dio” (Gen 18,14; Lc
1,37; Mt 19,26).
277
Dio manifesta la sua onnipotenza convertendoci dai nostri peccati e
ristabilendoci nella sua amicizia con la grazia (Deus, qui omnipo potentiam tuam
parcendo maxime et miserando manifestas. . . - O Dio, che riveli la tua
onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono. . . ”) [Messale
Romano, colletta della ventiseiesima domenica].
278
Senza credere che l'Amore di Dio è onnipotente, come credere che il Padre abbia
potuto crearci, il Figlio riscattarci, lo Spirito Santo santificarci?
IL
CREATORE
279
“In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). Con queste solenni
parole incomincia la Sacra Scrittura. Il Simbolo della fede le riprende
confessando Dio Padre onnipotente come “Creatore del cielo e della terra”,
“di tutte le cose visibili e invisibili”. Noi parleremo perciò innanzi
tutto del Creatore, poi della sua creazione, infine della caduta a causa del
peccato, da cui Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a risollevarci.
280 La
creazione è il fondamento di “tutti i progetti salvifici di Dio”,
“l'inizio della storia della salvezza”, [Congregazione per il Clero,
Direttorio catechistico generale, 51] che culmina in Cristo. Inversamente, il
Mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il
fine in vista del quale, “in principio, Dio creò il cielo e la terra” (Gen
1,1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo [Cf
Rm 8,18-23].
281
Per questo le letture della Veglia Pasquale, celebrazione della nuova creazione
in Cristo, iniziano con il racconto della creazione; parimenti, nella Liturgia
Bizantina, il racconto della creazione è sempre la prima lettura delle vigilie
delle grandi feste del Signore. Secondo la testimonianza degli antichi,
l'istruzione dei catecumeni per il Battesimo segue lo stesso itinerario [Cf
Eteria, Peregrinatio ad loca sancta, 46: PLS 1, 1047; Sant'Agostino, De
catechizandis rudibus, 3, 5].
I. La catechesi sulla creazione
282 La
catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti
stessi della vita umana e cristiana: infatti esplicita la risposta della fede
cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni tempo si sono
posti: “Da dove veniamo?” “Dove andiamo?” “Qual è la nostra
origine?” “Quale il nostro fine?” “Da dove viene e dove va tutto ciò
che esiste?”. Le due questioni, quella dell'origine e quella del fine, sono
inseparabili. Sono decisive per il senso e l'orientamento della nostra vita e
del nostro agire.
283 La
questione delle origini del mondo e dell'uomo è oggetto di numerose ricerche
scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze
sull'età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi,
sull'apparizione del l'uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore
ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue
opere e per l'intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai
ricercatori. Con Salomone costoro possono dire: “Egli mi ha concesso la
conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la
forza degli elementi. . . perché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte
le cose” (Sap 7,17-21).
284 Il
grande interesse, di cui sono oggetto queste ricerche, è fortemente stimolato
da una questione di altro ordine, che oltrepassa il campo proprio delle scienze
naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto materialmente
il cosmo, né quando sia apparso l'uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia
il senso di tale origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco,
da una necessità anonima, oppure da un Essere trascendente, intelligente e
buono, chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e dalla bontà di
Dio, perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C'è una
liberazione da esso?
285
Fin dagli inizi, la fede cristiana è stata messa a confronto con risposte
diverse dalla sua circa la questione delle origini. Infatti, nelle religioni e
nelle culture antiche si trovano numerosi miti riguardanti le origini. Certi
filosofi hanno affermato che tutto è Dio, che il mondo è Dio, o che il
divenire del mondo è il divenire di Dio (panteismo); altri hanno detto che il
mondo è una emanazione necessaria di Dio, che scaturisce da questa sorgente e
ad essa ritorna; altri ancora hanno sostenuto l'esistenza di due princìpi
eterni, il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre, in continuo conflitto
(dualismo, manicheismo); secondo alcune di queste concezioni, il mondo (almeno
il mondo materiale) sarebbe cattivo, prodotto di un decadimento, e quindi da
respingere o oltrepassare (gnosi); altri ammettono che il mondo sia stato fatto
da Dio, ma alla maniera di un orologiaio che, una volta fatto, l'avrebbe
abbandonato a se stesso(deismo); altri infine non ammettono alcuna origine
trascendente del mondo, ma vedono in esso il puro gioco di una materia che
sarebbe sempre esistita (materialismo). Tutti questi tentativi di spiegazione
stanno a testimoniare la persistenza e l'universalità del problema delle
origini. Questa ricerca è propria dell'uomo.
286
Indubbiamente, l'intelligenza umana può già trovare una risposta al problema
delle origini. Infatti, è possibile conoscere con certezza l'esistenza di Dio
Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana, [Cf
Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3026] anche se questa conoscenza spesso è
offuscata e sfigurata dall'errore. Per questo la fede viene a confermare e a far
luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità: “Per fede
sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non
visibili ha preso origine ciò che si vede” (Eb 11,3).
287 La
verità della creazione è tanto importante per l'intera vita umana che Dio,
nella sua tenerezza, ha voluto rivelare al suo Popolo tutto ciò che al riguardo
è necessario conoscere. Al di là della conoscenza naturale che ogni uomo può
avere del Creatore, [Cf At 17,24-29; Rm 1,19-20] Dio ha progressivamente
rivelato a Israele il mistero della creazione. Egli, che ha scelto i patriarchi,
che ha fatto uscire Israele dall'Egitto, e che, eleggendo Israele, l'ha creato e
formato, [Cf Is 43,1] si rivela come colui al quale appartengono tutti i popoli
della terra e l'intera terra, come colui che, solo, “ha fatto cielo e terra”
(Sal 115,15; Sal 124,8; 287 Sal 134,3).
288 La
rivelazione della creazione è così inseparabile dalla rivelazione e dalla
realizzazione dell'Alleanza di Dio, l'Unico, con il suo Popolo. La creazione è
rivelata come il primo passo verso tale Alleanza, come la prima e universale
testimonianza dell'amore onnipotente di Dio [Cf Gen 15,5; 288 Ger 33,19-26]. E
poi la verità della creazione si esprime con una forza crescente nel messaggio
dei profeti, [Cf Is 44,24] nella preghiera dei Salmi[Cf Sal 104] e della
Liturgia, nella riflessione della sapienza [Cf Pr 8,22-31] del Popolo eletto.
289
Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto
singolarissimo i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario
questi testi possono avere diverse fonti. Gli autori ispirati li hanno collocati
all'inizio della Scrittura in modo che esprimano, con il loro linguaggio
solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio,
del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell'uomo, infine del dramma
del peccato e della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo,
nell'unità della Sacra Scrittura e della Tradizione vivente della Chiesa,
queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei misteri delle
“origini”: creazione, caduta, promessa della salvezza.
II. La creazione - opera della Santissima Trinità
290
“In principio, Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). Queste prime parole
della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a
tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore (il verbo “creare”
- in ebraico “bara” - ha sempre come soggetto Dio). La totalità di ciò che
esiste (espressa nella formula “il cielo e la terra”) dipende da colui che
gli dà di essere.
291
“In principio era il Verbo. . . e il Verbo era Dio. . . Tutto è stato fatto
per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto” (Gv 1,1-3). Il Nuovo
Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio
suo diletto. “Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei
cieli e quelle sulla terra. . . Tutte le cose sono state create per mezzo di lui
e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”
(Col 1,16-17). La fede della Chiesa afferma pure l'azione creatrice dello
Spirito Santo: egli è il “datore di vita”, [Simbolo di Nicea-Costantinopoli]
lo “Spirito Creatore”, [Liturgia delle Ore, Inno “Veni, Creator Spiritus”]
la “sorgente di ogni bene” [Liturgia bizantina, Tropario dei Vespri di
Pentecoste].
292
Lasciata intravvedere nell'Antico Testamento, [Cf Sal 33,6; Sal 104,30; Gen
1,2-3] rivelata nella Nuova Alleanza, l'azione creatrice del Figlio e dello
Spirito, inseparabilmente una con quella del Padre, è chiaramente affermata
dalla regola di fede della Chiesa: “Non esiste che un solo Dio. . . : egli è
il Padre, è Dio, il Creatore, l'Autore, l'Ordinatore. Egli ha fatto ogni cosa
da se stesso, cioè con il suo Verbo e la sua Sapienza”, “per mezzo del
Figlio e dello Spirito”, che sono come “le sue mani” [Sant'Ireneo di
Lione, Adversus haereses, 2, 30, 9 e 4, 20, 1]. La creazione è l'opera comune
della Santissima Trinità.
III. “Il mondo è stato creato per la gloria di
Dio”
293 E'
una verità fondamentale che la Scrittura e la Tradizione costantemente
insegnano e celebrano: “Il mondo è stato creato per la gloria di Dio”
[Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3025]. Dio ha creato tutte le cose,
spiega san Bonaventura, “non propter gloriam augendam, sed propter gloriam
manifestandam et propter gloriam suam communicandam - non per accrescere la
propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla” [San Bonaventura, In
libros sententiarum, 2, 1, 2, 2, 1]. Infatti Dio non ha altro motivo per creare
se non il suo amore e la sua bontà: “Aperta manu clave amoris creaturÍ
prodierunt - Aperta la mano dalla chiave dell'amore, le creature vennero alla
luce” [San Tommaso d'Aquino, In libros sententiarum, 2, prol]. E il Concilio
Vaticano I spiega:
Nella
sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua
beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i
beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera
delle decisioni, insieme, dall'inizio dei tempi, creato dal nulla l'una e
l'altra creatura, la spirituale e la corporale [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm.,
3002].
294 La
gloria di Dio è che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua
bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Fare di noi i suoi
“figli adottivi per opera di Gesù Cristo”, è il benevolo disegno “della
sua volontà. . . a lode e gloria della sua grazia” (Ef 1,5-6). “Infatti la
gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la visione di Dio: se già
la Rivelazione di Dio attraverso la creazione procurò la vita a tutti gli
esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre per mezzo
del Verbo dà la vita a coloro che vedono Dio” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus
haereses, 4, 20, 7]. Il fine ultimo della creazione è che Dio, “che di tutti
è il Creatore, possa anche essere "tutto in tutti" (1Cor 15,28)
procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità” [Conc. Ecum. Vat.
II, Ad gentes, 2].
IV. Il mistero della creazione
Dio crea con sapienza e amore
295
Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza [Cf Sap
9,9]. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o
del caso. Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio,
il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza
e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono
create e sussistono” (Ap 4,11). “Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza” (Sal 104,24). “Buono è il Signore verso
tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Sal 145,9).
Dio crea “dal nulla”
296
Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di
alcun aiuto [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3022]. La creazione non è
neppure una emanazione necessaria della sostanza divina [Cf ibid., 3023-3024].
Dio crea liberamente “dal nulla”: [Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm.,
800; Concilio Vaticano I: ibid. , 3025]
Che vi
sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia
preesistente? Un artigiano umano, quando gli si dà un materiale, ne fa tutto ciò
che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente in questo, che
egli parte dal nulla per fare tutto ciò che vuole [San Teofilo d'Antiochia, Ad
Autolycum, 2, 4: PG 6, 1052].
297 La
fede nella creazione “dal nulla” è attestata nella Scrittura come una verità
piena di promessa e di speranza. Così la madre dei sette figli li incoraggia al
martirio:
Non so
come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io
ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del
mondo, che ha plasmato all'origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di
tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita,
come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi. . . Ti scongiuro,
figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che
Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l'origine del genere
umano (2Mac 7,22-23; 2Mac 7,28).
298
Dio, poiché può creare dal nulla, può anche, per opera dello Spirito Santo,
donare ai peccatori la vita dell'anima, creando in essi un cuore puro, [Cf Sal
51,12] e ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo, egli “che dà
vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono” (Rm
4,17). E, dal momento che, con la sua Parola, ha potuto far risplendere la luce
dalle tenebre, [Cf Gen 1,3] può anche donare la luce della fede a coloro che
non lo conoscono [Cf 2Cor 4,6].
Dio crea un mondo ordinato e buono
299
Per il fatto che Dio crea con sapienza, la creazione ha un ordine: “Tu hai
disposto tutto con misura, calcolo e peso” (Sap 11,20). Creata nel e per mezzo
del Verbo eterno, “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), la creazione è
destinata, indirizzata all'uomo, immagine di Dio, [Cf Gen 1,26] chiamato a una
relazione personale con Dio. La nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce
dell'Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la
creazione, [Cf Sal 19,2-5] certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà
e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera [Cf Gb 42,3]. Scaturita dalla
bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà (E Dio vide che era cosa
buona. . . cosa molto buona”: Gen 1,4; Gen 1,10; 299 Gen 1,12; Gen 1,18; Gen
1,21; Gen 1,31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto
all'uomo, come un'eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più
riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del
mondo materiale [Cf San Leone Magno, Lettera Quam laudabiliter: Denz. -Schönm.
, 286; Concilio di].
Dio trascende la creazione ed è ad essa presente
300
Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere: [Cf Sir 43,28] “Sopra
i cieli si innalza” la sua “magnificenza” (Sal 8,2), “la sua grandezza
non si può misurare” (Sal 145,3). Ma poiché egli è il Creatore sovrano e
libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell'intimo più
profondo delle sue creature: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At
17,28). Secondo le parole di sant'Agostino, egli è “superior summo meo et
interior intimo meo - più intimo della mia parte più intima, più alto della
mia parte più alta” [Sant'Agostino, Confessiones, 3, 6, 11].
Dio conserva e regge la creazione
301
Dopo averla creata, Dio non abbandona a se stessa la sua creatura. Non le dona
soltanto di essere e di esistere: la conserva in ogni istante nell'essere, le dà
la facoltà di agire e la conduce al suo termine. Riconoscere questa completa
dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia,
di fiducia:
Tu ami
tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi
odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa
se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu
risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita (Sap
11,24-26).
V. Dio realizza il suo disegno: la Provvidenza
divina
302 La
creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del
Creatore interamente compiuta. E' creata “in stato di via” (in statu viae”)
verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve
essere raggiunta. Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle
quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
Dio
conserva e governa con la sua Provvidenza tutto ciò che ha creato, “essa si
estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni
cosa” (Sap 8,1). Infatti “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (Eb
4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature [Concilio
Vaticano I: Denz. -Schönm., 3003].
303 La
testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina
Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più
piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri
Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: “Il
nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole” (Sal 115,3); e di
Cristo si dice: “Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno
apre” (Ap 3,7); “molte sono le idee nella mente dell'uomo, ma solo il
disegno del Signore resta saldo” (Pr 19,21).
304
Spesso si nota che lo Spirito Santo, autore principale della Sacra Scrittura,
attribuisce delle azioni a Dio, senza far cenno a cause seconde. Non si tratta
di “un modo di parlare” primitivo, ma di una maniera profonda di richiamare
il primato di Dio e la sua signoria assoluta sulla storia e sul mondo [Cf Is
10,5-15; Is 45,5-7; Dt 32,39; Sir 11,14] educando così alla fiducia in lui. La
preghiera dei Salmi è la grande scuola di questa fiducia [Cf Sal 22; Sal 32;
305 Sal 35; Sal 103; Sal 138; e.a.].
305
Gesù chiede un abbandono filiale alla Provvidenza del Padre celeste, il quale
si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: “Non affannatevi
dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?. . .
Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il
Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in
aggiunta” (Mt 6,31-33) [Cf Mt 10,29-31].
La Provvidenza e le cause seconde
306
Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve
anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza,
bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue
creature non dona soltanto l'esistenza, ma anche la dignità di agire esse
stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal
modo al compimento del suo disegno.
307
Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua
Provvidenza, affidando loro la responsabilità di “soggiogare” la terra e di
dominarla [Cf Gen 1,26-28]. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause
intelligenti e libere per completare l'opera della creazione, perfezionandone
l'armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso
inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente
nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro
sofferenze [Cf Col 1,24]. Allora diventano in pienezza “collaboratori di
Dio” (1Cor 3,9; 1Ts 3,2) e del suo Regno [Cf Col 4,11].
308
Dio agisce in tutto l'agire delle sue creature: è una verità inseparabile
dalla fede in Dio Creatore. Egli è la causa prima che opera nelle e per mezzo
delle cause seconde: “E' Dio infatti che suscita” in noi “il volere e
l'operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13) [Cf 1Cor 12,6]. Lungi
dallo sminuire la dignità della creatura, questa verità la accresce. Infatti
la creatura, tratta dal nulla dalla potenza, dalla sapienza e dalla bontà di
Dio, niente può se è separata dalla propria origine, perché “la creatura
senza il Creatore svanisce”; [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36] ancor
meno può raggiungere il suo fine ultimo senza l'aiuto della grazia [Cf Mt
19,26; Gv 15,5; Fil 4,13].
La Provvidenza e lo scandalo del male
309 Se
Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di
tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto
pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna rapida
risposta potrà bastare. E' l'insieme della fede cristiana che costituisce la
risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato,
l'amore paziente di Dio che viene incontro all'uomo con le sue Alleanze, con
l'Incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con il
radunare la Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita
felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma
alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c'è un punto
del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al
problema del male .
310 Ma
perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere
alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di
migliore [Cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 25, 6]. Tuttavia, nella
sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un
mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel
disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri,
con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura
anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male
fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione [Cf San
Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
311
Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso
il loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi
possono, quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. E' così che nel mondo è
entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non
è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale
[Cf Sant'Agostino, De libero arbitrio, 1, 1, 1: PL 32, 1221-1223; San Tommaso d'Aquino,
Summa teologiae, I-II, 79, 1]. Però, rispettando la libertà della sua
creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene:
Infatti
Dio onnipotente. . ., essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un
qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente
e buono da trarre dal male stesso il bene [Sant'Agostino, Enchiridion de fide,
spe et caritate, 11, 3].
312
Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua Provvidenza onnipotente,
può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle
sue creature: “Non siete stati voi”, dice Giuseppe ai suoi fratelli, “a
mandarmi qui, ma Dio; . . . se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha
pensato di farlo servire a un bene. . . per far vivere un popolo numeroso” (Gen
45,8 Gen 50,20) [Cf Tb 2,12-18 vulg]. Dal più grande male morale che mai sia
stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato
di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, [Cf Rm 5,20]
ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra
Redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.
313
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). La testimonianza
dei santi non cessa di confermare questa verità:
Così
santa Caterina da Siena dice a “coloro che si scandalizzano e si ribellano
davanti a ciò che loro capita”: “Tutto viene dall'amore, tutto è ordinato
alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a questo fine” [Santa
Caterina da Siena, Dialoghi, 4, 138].
E san
Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: “Nulla accade che
Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva
appaia, sarà in realtà sempre per il meglio” [San Tommaso More, Lettera ad
Alice Alington di Margaret Roper sul colloquio avuto in carcere con il padre, cf
Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del 22 giugno].
E
Giuliana di Norwich: “Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere
fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che
tutto sarebbe finito in bene. . . : “Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa
sarà per il bene ” [Giuliana di Norwich, Rivelazioni dell'amore divino, 32].
314
Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie
della sua Provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando
avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio “a faccia a
faccia” (1Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie, lungo le quali, anche
attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione
fino al riposo di quel Sabato [Cf Gen 2,2] definitivo, in vista del quale ha
creato il cielo e la terra.
315
Nella creazione del mondo e dell'uomo, Dio ha posto la prima e universale
testimonianza del suo amore onnipotente e della sua sapienza, il primo annunzio
del suo “disegno di benevolenza”, che ha il suo fine nella nuova creazione
in Cristo.
316
Sebbene l'opera della creazione sia particolarmente attribuita al Padre, è
ugualmente verità di fede che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono il
principio unico e indivisibile della creazione.
317
Dio solo ha creato l'universo liberamente, direttamente, senza alcun aiuto.
318
Nessuna creatura ha il potere infinito necessario per “creare” nel senso
proprio del termine, cioè produrre e dare l'essere a ciò che non l'aveva
affatto (chiamare all'esistenza “ex nihilo” - dal nulla) [Cf Congregazione
per l'Educazione Cattolica, Decreto del 27 luglio 1914, Theses approbatae
philosophiae tomisticae: Denz. -Schönm., 3624].
319
Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le
sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza:
ecco la gloria per la quale Dio le ha create.
320
Dio, che ha creato l'universo, lo conserva nell'esistenza per mezzo del suo
Verbo, “questo Figlio che. . . sostiene tutto con la potenza della sua
Parola” (Eb 1,3), e per mezzo dello Spirito Creatore che dà vita.
321 La
divina Provvidenza consiste nelle disposizioni con le quali Dio, con sapienza e
amore, conduce tutte le creature al loro fine ultimo.
322
Cristo ci esorta all'abbandono filiale alla Provvidenza del nostro Padre celeste
[Cf Mt 6,26-34] e l'apostolo san Pietro gli fa eco: gettate “in lui ogni
vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1Pt 5,7) [Cf Sal 55,23].
323 La
Provvidenza divina agisce anche attraverso l'azione delle creature. Agli esseri
umani Dio dona di cooperare liberamente ai suoi disegni.
324
Che Dio permetta il male fisico e morale è un mistero che Dio illumina nel suo
Figlio, Gesù Cristo, morto e risorto per vincere il male. La fede ci dà la
certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il
bene, per vie che conosceremo pienamente soltanto nella vita eterna.
IL
CIELO E LA TERRA
325 Il
Simbolo degli Apostoli professa che Dio è “il Creatore del cielo e della
terra”, e il Simbolo di Nicea-Costantinopoli esplicita: “. . . di tutte le
cose visibili e invisibili”.
326
Nella Sacra Scrittura, l'espressione “cielo e terra” significa: tutto ciò
che esiste, l'intera creazione. Indica pure, all'interno della creazione, il
legame che ad un tempo unisce e distingue cielo e terra: “La terra” è il
mondo degli uomini [Cf Sal 115,16]. “Il cielo”, o “i cieli”, può
indicare il firmamento, [Cf Sal 19,2] ma anche il “luogo” proprio di Dio: il
nostro “Padre che è nei cieli” (Mt 5,16) [Cf Sal 115,16] e, di conseguenza,
anche il “cielo” che è la gloria escatologica. Infine, la parola
“cielo” indica il “luogo” delle creature spirituali - gli angeli - che
circondano Dio.
327 La
professione di fede del Concilio Lateranense IV afferma che Dio “fin dal
principio del tempo, creò dal nulla l'uno e l'altro ordine di creature, quello
spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre; e poi
l'uomo, quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo”
[Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 800; cf Concilio Vaticano I: ibid.,
3002 e Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 8].
I. Gli angeli
L'esistenza degli angeli - una verità di fede
328
L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama
abitualmente angeli, è una verità di fede. La testimonianza della Scrittura è
tanto chiara quanto l'unanimità della Tradizione.
Chi sono?
329
Sant'Agostino dice a loro riguardo: “Angelus officii nomen est, non naturae. Quaeris
nomen huius naturae, spiritus est; quaeris officium, angelus est: ex eo quod
est, spiritus est, ex eo quod agit, angelus - La parola angelo designa
l'ufficio, non la natura. Se si chiede
il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l'ufficio, si
risponde che è angelo: è spirito per quello che è, mentre per quello che
compie è angelo” [Sant'Agostino, Enarratio in Psalmos, 103, 1, 15]. In tutto
il loro essere, gli angeli sono servitori e messaggeri di Dio. Per il fatto che
“vedono sempre la faccia del Padre. . . che è nei cieli” (Mt 18,10), essi
sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola”
(Sal 103,20).
330 In
quanto creature puramente spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono
creature personali [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm.,
3891] e immortali [Cf Lc 20,36]. Superano in perfezione tutte le creature
visibili. Lo testimonia il fulgore della loro gloria [Cf Dn 10,9-12].
Cristo “con tutti i suoi angeli”
331
Cristo è il centro del mondo angelico. Essi sono “i suoi angeli”: “Quando
il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli. . . ” (Mt
25,31). Sono suoi perché creati per mezzo di lui e in vista di lui: “Poiché
per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle
sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati
e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di
lui” (Col 1,16). Sono suoi ancor più perché li ha fatti messaggeri del suo
disegno di salvezza: “Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero,
inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?” (Eb 1,14).
332
Essi, fin dalla creazione [Cf Gb 38,7] e lungo tutta la storia della salvezza,
annunciano da lontano o da vicino questa salvezza e servono la realizzazione del
disegno salvifico di Dio: chiudono il paradiso terrestre, [Cf Gen 3,24]
proteggono Lot, [Cf Gen 19] salvano Agar e il suo bambino, [Cf Gen 21,17]
trattengono la mano di Abramo; [Cf Gen 22,11] la Legge viene comunicata “per
mano degli angeli” (At 7,53), essi guidano il Popolo di Dio, [Cf Es 23,20-23]
annunziano nascite [Cf Gdc 13] e vocazioni, [Cf Gdc 6,11-24; Is 6,6] assistono i
profeti, [Cf 1Re 19,5] per citare soltanto alcuni esempi. Infine, è l'angelo
Gabriele che annunzia la nascita del Precursore e quella dello stesso Gesù [Cf
Lc 1,11; Lc 1,26].
333
Dall'Incarnazione all'Ascensione, la vita del Verbo incarnato è circondata
dall'adorazione e dal servizio degli angeli. Quando Dio “introduce il
Primogenito nel mondo, dice: lo adorino tutti gli angeli di Dio” (Eb 1,6). Il
loro canto di lode alla nascita di Cristo non ha cessato di risuonare nella lode
della Chiesa: “Gloria a Dio. . . ” (Lc 2,14). Essi proteggono l'infanzia di
Gesù, [Cf Mt 1,20; 333 Mt 2,13; Mt 1,19] servono Gesù nel deserto, [Cf Mc
1,12; Mt 4,11] lo confortano durante l'agonia, [Cf Lc 22,43] quando egli avrebbe
potuto da loro essere salvato dalla mano dei nemici [Cf Mt 26,53] come un tempo
Israele [Cf 2Mac 10,29-30; 333 2Mac 11,8]. Sono ancora gli angeli che
“evangelizzano” (Lc 2,10) annunziando la Buona Novella dell'Incarnazione [Cf
Lc 2,8-14] e della Risurrezione [Cf Mc 16,5-7] di Cristo. Al ritorno di Cristo,
che essi annunziano, [Cf At 1,10-11] saranno là, al servizio del suo giudizio [Cf
Mt 13,41; 333 Mt 25,31; Lc 12,8-9].
Gli angeli nella vita della Chiesa
334
Allo stesso modo tutta la vita della Chiesa beneficia dell'aiuto misterioso e
potente degli angeli [Cf At 5,18-20; At 8,26-29; At 10,3-8; At 12,6-11; 334 At
27,23-25].
335
Nella Liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte
santo; [Messale Romano, “Sanctus”] invoca la loro assistenza (così
nell'“In Paradisum deducant te angeli. . . ” - In Paradiso ti accompagnino
gli angeli - della Liturgia dei defunti, o ancora nell'“Inno dei Cherubini”
della Liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare
(san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi).
336
Dal suo inizio [Cf Mt 18,10] fino all'ora della morte [Cf Lc 16,22] la vita
umana è circondata dalla loro protezione [Cf Sal 34,8; Sal 91,10-13] e dalla
loro intercessione [Cf Gb 33,23-24; Zc 1,12; 336 Tb 12,12]. “Ogni fedele ha al
proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita”
[San Basilio di Cesarea, Adversus Eunomium, 3, 1: PG 29, 656B]. Fin da quaggiù,
la vita cristiana partecipa, nella fede, alla beata comunità degli angeli e
degli uomini, uniti in Dio.
II. Il mondo visibile
337 E'
Dio che ha creato il mondo visibile in tutta la sua ricchezza, la sua varietà e
il suo ordine. La Scrittura presenta simbolicamente l'opera del Creatore come un
susseguirsi di sei giorni di “lavoro” divino, che terminano nel “riposo”
del settimo giorno [Cf Gen 1,1-2,4]. Il testo sacro, riguardo alla creazione,
insegna verità rivelate da Dio per la nostra salvezza, [Cf Conc. Ecum. Vat. II,
Dei Verbum, 11] che consentono di “riconoscere la natura intima di tutta la
creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 36].
338 Non
esiste nulla che non debba la propria esistenza a Dio Creatore. Il mondo ha
avuto inizio quando è stato tratto dal nulla dalla Parola di Dio; tutti gli
esseri esistenti, tutta la natura, tutta la storia umana si radicano in questo
evento primordiale: è la genesi della formazione del mondo e dell'inizio del
tempo [Cf Sant'Agostino, De Genesi contra Manichaeos, 1, 2, 4: PL 35, 175].
339
Ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione. Per ognuna
delle opere dei “sei giorni” è detto: “E Dio vide che ciò era buono”.
“E' dalla loro stessa condizione di creature che le cose tutte ricevono la
loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro
ordine” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36]. Le varie creature, volute
nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell'infinita
sapienza e bontà di Dio. Per questo l'uomo deve rispettare la bontà propria di
ogni creatura, per evitare un uso disordinato delle cose, che disprezza il
Creatore e comporta conseguenze nefaste per gli uomini e per il loro ambiente.
340
L'interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e
il piccolo fiore, l'aquila e il passero: le innumerevoli diversità e
disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che
esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi
vicendevolmente, al servizio le une delle altre.
341 La
bellezza dell'universo. L'ordine e l'armonia del mondo creato risultano dalla
diversità degli esseri e dalle relazioni esistenti tra loro. L'uomo le scopre
progressivamente come leggi della natura. Esse sono oggetto dell'ammirazione
degli scienziati. La bellezza della creazione riflette la bellezza infinita del
Creatore. Deve ispirare il rispetto e la sottomissione dell'intelligenza e della
volontà dell'uomo.
342 La
gerarchia delle creature è espressa dall'ordine dei “sei giorni”, che va
dal meno perfetto al più perfetto. Dio ama tutte le sue creature, [Cf Sal
145,9] si prende cura di ognuna, perfino dei passeri. Tuttavia, Gesù dice:
“Voi valete più di molti passeri” (Lc 12,6-7), o ancora: “Quanto è più
prezioso un uomo di una pecora!” (Mt 12,12).
343
L'uomo è il vertice dell'opera della creazione. Il racconto ispirato lo esprime
distinguendo nettamente la creazione dell'uomo da quella delle altre creature [Cf
Gen 1,26].
344
Esiste una solidarietà fra tutte le creature per il fatto che tutte hanno il
medesimo Creatore e tutte sono ordinate alla sua gloria:
Laudato
si, mi Signore, cun tutte le tue creature,
spezialmente
messer lo frate Sole
lo
quale è iorno, e allumini noi per lui.
Ed
ello è bello e radiante cun grande splendore:
de te,
Altissimo, porta significazione. . . .
Laudato
si, mi Signore, per sor Aqua,
la
quale è molto utile e umile e preziosa e casta. .. .
Laudato
si, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la
quale ne sustenta e governa
e
produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba.. . .
Laudate
e benedicite mi Signore,
e
rengraziate e serviteli cun grande umiltate [San Francesco d'Assisi, Cantico
delle creature].
345 Il
Sabato - fine dell'opera dei “sei giorni”. Il testo sacro dice che “Dio,
nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto” e così
“furono portati a compimento il cielo e la terra”; Dio “cessò nel settimo
giorno da ogni suo lavoro”, “benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gen
2,1-3). Queste parole ispirate sono ricche di insegnamenti salutari:
346
Nella creazione Dio ha posto un fondamento e delle leggi che restano stabili, [Cf
Eb 4,3-4] sulle quali il credente potrà appoggiarsi con fiducia, e che saranno
per lui il segno e il pegno della incrollabile fedeltà dell'Alleanza di Dio [Cf
Ger 31,35-37; 346 Ger 33,19-26]. Da parte sua, l'uomo dovrà rimaner fedele a
questo fondamento e rispettare le leggi che il Creatore vi ha inscritte.
347 La
creazione è fatta in vista del Sabato e quindi del culto e dell'adorazione di
Dio. Il culto è inscritto nell'ordine della creazione [Cf Gen 1,14]. “Operi
Dei nihil praeponatur” - Nulla si anteponga all'“Opera di Dio”, dice la
Regola di san Benedetto, indicando in tal modo il giusto ordine delle
preoccupazioni umane.
348 Il
Sabato è al cuore della Legge di Israele. Osservare i comandamenti equivale a
corrispondere alla sapienza e alla volontà di Dio espresse nell'opera della
creazione.
349
L'ottavo giorno. Per noi, però, è sorto un giorno nuovo: quello della
Risurrezione di Cristo. Il settimo giorno porta a termine la prima creazione.
L'ottavo giorno dà inizio alla nuova creazione. Così, l'opera della creazione
culmina nell'opera più grande della Redenzione. La prima creazione trova il suo
senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera
quello della prima [Cf Messale Romano, Veglia Pasquale: orazione dopo la prima
lettura].
350
Gli angeli sono creature spirituali che incessantemente glorificano Dio e
servono i suoi disegni salvifici nei confronti delle altre creature: “Ad omnia
bona nostra cooperantur angeli - Gli angeli cooperano ad ogni nostro bene”
[San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 114, 3, ad 3].
351
Gli angeli circondano Cristo, loro Signore. Lo servono soprattutto nel
compimento della sua missione di salvezza per tutti gli uomini.
352 La
Chiesa venera gli angeli che l'aiutano nel suo pellegrinaggio terreno, e che
proteggono ogni essere umano.
353
Dio ha voluto la diversità delle sue creature e la loro bontà propria, la loro
interdipendenza, il loro ordine. Ha destinato tutte le creature materiali al
bene del genere umano. L'uomo, e attraverso lui l'intera creazione, sono
destinati alla gloria di Dio.
354
Rispettare le leggi inscritte nella creazione e i rapporti derivanti dalla
natura delle cose, è un principio di saggezza e un fondamento della morale.
L'UOMO
355
“Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e
femmina li creò” (Gen 1,27). L'uomo, nella creazione, occupa un posto unico:
egli è “a immagine di Dio” (I); nella sua natura unisce il mondo spirituale
e il mondo materiale (II); è creato “maschio e femmina” (III); Dio l'ha
stabilito nella sua amicizia (IV).
I. “A immagine di Dio”
356 Di
tutte le creature visibili, soltanto l'uomo è “capace di conoscere e di amare
il proprio Creatore”; [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 12] “è la sola
creatura che Dio abbia voluto per se stessa”; [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 12] soltanto l'uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e
nell'amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la
ragione fondamentale della sua dignità.
Quale
fu la ragione che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? Certo l'amore
inestimabile con il quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei
innamorato di lei; per amore infatti tu l'hai creata, per amore tu le hai dato
un essere capace di gustare il tuo Bene eterno [Santa Caterina da Siena,
Dialoghi, 4, 13, cf Liturgia delle Ore, IV, Ufficio delle letture della
diciannovesima domenica].
357
Essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è
soltanto qualche cosa, ma qualcuno. E' capace di conoscersi, di possedersi, di
liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato,
per grazia, ad una alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e
di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione.
358
Dio ha creato tutto per l'uomo, [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 12;
24; 39] ma l'uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta
la creazione:
Qual
è dunque l'essere che deve venire all'esistenza circondato di una tale
considerazione? E' l'uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso
agli occhi di Dio dell'intera creazione: è l'uomo, è per lui che esistono il
cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione, ed è alla sua
salvezza che Dio ha dato tanta importanza da non risparmiare, per lui, neppure
il suo Figlio Unigenito. Dio infatti non ha mai cessato di tutto mettere in atto
per far salire l'uomo fino a sé e farlo sedere alla sua destra [San Giovanni
Crisostomo, Sermones in Genesim, 2, 1: PG 54, 587D-588A].
359
“In realtà solamente nel Mistero del Verbo incarnato trova vera luce il
mistero dell'uomo”: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]
Il
beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere
umano: Adamo e Cristo... “Il primo uomo, Adamo, - dice - divenne un essere
vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita”. Quel primo fu
creato da quest'ultimo, dal quale ricevette l'anima per vivere... Il secondo
Adamo plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi
che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva
fatto a sua immagine. C'è un primo Adamo e c'è un ultimo Adamo. Il primo ha un
inizio, l'ultimo non ha fine Proprio quest'ultimo infatti è veramente il primo
dal momento che dice: “Sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo” [San
Pietro Crisologo, Sermones, 117 PL 52, 520B, cf Liturgia delle ore, IV, Uffici
delle letture del sabato della ventinovesima settimana.]
360
Grazie alla comune origine il genere umano forma una unità. Dio infatti “creò
da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (At 17,26): [Cf Tb 8,6]
Meravigliosa
visione che ci fa contemplare il genere umano nell'unità della sua origine in
Dio...; nell'unità della sua natura, composta ugualmente presso tutti di un
corpo materiale e di un'anima spirituale; nell'unità del suo fine immediato e
della sua missione nel mondo; nell'unità del suo “habitat”: la terra, dei
cui beni tutti gli uomini, per diritto naturale, possono usare per sostentare e
sviluppare la vita; nell'unità del suo fine soprannaturale: Dio stesso, al
quale tutti devono tendere; nell'unità dei mezzi per raggiungere tale fine;...
nell'unità del suo riscatto operato per tutti da Cristo [Pio XII, Lett. enc.
Summi Pontificatus; cf Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 1].
361
“Questa legge di solidarietà umana e di carità”, [Pio XII, Lett. enc.
Summi Pontificatus; cf Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 1] senza escludere la
ricca varietà delle persone, delle culture e dei popoli, ci assicura che tutti
gli uomini sono veramente fratelli.
II. “Corpore et anima unus” - Unità di anima e
di corpo 361 _
362 La
persona umana, creata a immagine di Dio, è un essere insieme corporeo e
spirituale. Il racconto biblico esprime questa realtà con un linguaggio
simbolico, quando dice che “Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita, e l'uomo divenne un essere vivente” (Gen
2,7). L'uomo tutto intero è quindi voluto da Dio.
363
Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine anima indica la vita umana, [Cf Mt
16,25-26; Gv 15,13] oppure tutta la persona umana [Cf At 2,41]. Ma designa anche
tutto ciò che nell'uomo vi è di più intimo [Cf Mt 26,38; Gv 12,27] e di
maggior valore, [Cf Mt 10,28; 2Mac 6,30] ciò per cui più particolarmente egli
è immagine di Dio: “anima” significa il principio spirituale nell'uomo.
364 Il
corpo dell'uomo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”: è corpo umano
proprio perché è animato dall'anima spirituale, ed è la persona umana tutta
intera ad essere destinata a diventare, nel Corpo di Cristo, il tempio dello
Spirito [Cf 1Cor 6,19-20; 1Cor 15,44-45].
Unità
di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione
corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui
toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore.
Allora, non è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è
tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché
creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno [Conc. Ecum. Vat.
II, Gaudium et spes, 14].
365
L'unità dell'anima e del corpo è così profonda che si deve considerare
l'anima come la “forma” del corpo; [Cf Concilio di Vienne (1312): Denz. -Schönm.,
902] ciò significa che grazie all'anima spirituale il corpo composto di materia
è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due
nature congiunte, ma la loro unione forma un'unica natura.
366 La
Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio [Cf Pio
XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3896; Paolo VI, Credo del
popolo di Dio, 8] - non è “prodotta” dai genitori - ed è immortale: [Cf
Concilio Lateranense V (1513): Denz. -Schönm., 1440] essa non perisce al
momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al
corpo al momento della risurrezione finale.
367
Talvolta si dà il caso che l'anima sia distinta dallo spirito. Così san Paolo
prega perché il nostro essere tutto intero, “spirito, anima e corpo, si
conservi irreprensibile per la venuta del Signore” (1Ts 5,23). La Chiesa
insegna che tale distinzione non introduce una dualità nell'anima [Concilio di
Costantinopoli IV (870): Denz. -Schönm., 657]. “Spirito” significa che sin
dalla sua creazione l'uomo è ordinato al suo fine sopranna turale, [Concilio
Vaticano I: Denz. -Schönm., 3005; cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]
e che la sua anima è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con
Dio [Cf Pio XII, Lett. enc. Humani
generis: Denz. -Schönm., 3891].
368 La
tradizione spirituale della Chiesa insiste anche sul cuore, nel senso biblico di
“profondità dell'essere”,[Cf Ger 31,33] dove la persona si decide o no per
Dio [Cf Dt 6,5; Dt 29,3; Is 29,13; Ez 36,22; Mt 6,21; Lc 8,15; Rm 5,5].
III. “Maschio e femmina li creò”
Uguaglianza e diversità volute da Dio
369
L'uomo e la donna sono creati, cioè sono voluti da Dio: in una perfetta
uguaglianza per un verso, in quanto persone umane, e, per l'altro verso, nel
loro rispettivo essere di maschio e di femmina. “Essere uomo”, “essere
donna” è una realtà buona e voluta da Dio: l'uomo e la donna hanno una
insopprimibile dignità, che viene loro direttamente da Dio, loro Creatore [Cf
Gen 2,7; Gen 2,22]. L'uomo e la donna sono, con una identica dignità, “a
immagine di Dio”. Nel loro “essere-uomo” ed “essere-donna”, riflettono
la sapienza e la bontà del Creatore.
370
Dio non è a immagine dell'uomo. Egli non è né uomo né donna. Dio è puro
spirito, e in lui, perciò, non c'è spazio per le differenze di sesso. Ma le
“perfezioni” dell'uomo e della donna riflettono qualche cosa dell'infinita
perfezione di Dio: quelle di una madre [Cf Is 49,14-15; Is 66,13; Sal 131,2-3] e
quelle di un padre e di uno sposo [Cf Os 11,1-4; 370 Ger 3,4-19].
“L'uno per l'altro” - “una unità a due”
371
Creati insieme, l'uomo e la donna sono voluti da Dio l'uno per l'altro. La
Parola di Dio ce lo lascia capire attraverso diversi passi del testo sacro.
“Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia
simile” (Gen 2,18). Nessuno degli animali può essere questo “vis-à-vis”
dell'uomo [Cf Gen 2,19-20]. La donna che Dio “plasma” con la costola tolta
all'uomo e che conduce all'uomo, strappa all'uomo un grido d'ammirazione,
un'esclamazione d'amore e di comunione: “Questa volta essa è carne dalla mia
carne e osso dalle mie ossa” (Gen 2,23). L'uomo scopre la donna come un altro
“io”, della stessa umanità.
372
L'uomo e la donna sono fatti “l'uno per l'altro”: non già che Dio li abbia
creati “a metà” ed “incompleti”; li ha creati per una comunione di
persone, nella quale ognuno può essere “aiuto” per l'altro, perché sono ad
un tempo uguali in quanto persone (osso dalle mie ossa. . . ”) e complementari
in quanto maschio e femmina. Nel matrimonio, Dio li unisce in modo che, formando
“una sola carne” (Gen 2,24), possano trasmettere la vita umana: “Siate
fecondi e moltiplicatevi,riempite la terra”(Gen 1,28) Trasmettendo ai loro
figli la vita umana, l'uomo e la donna, come sposi e genitori, cooperano in un
modo unico all'opera del Creatore [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 50].
373
Nel disegno di Dio, l'uomo e la donna sono chiamati a “dominare” la terra [Cf
Gen 1,28] come “amministratori” di Dio. Questa sovranità non deve essere un
dominio arbitrario e distruttivo. A immagine del Creatore, “che ama tutte le
cose esistenti” (Sap 11,24), l'uomo e la donna sono chiamati a partecipare
alla Provvidenza divina verso le altre creature. Da qui la loro responsabilità
nei confronti del mondo che Dio ha loro affidato.
IV. L'uomo nel Paradiso
374 Il
primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una
tale amicizia con il suo Creatore e in una tale armonia con se stesso e con la
creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in
Cristo.
375 La
Chiesa, interpretando autenticamente il simbolismo del linguaggio biblico alla
luce del Nuovo Testamento e della Tradizione, insegna che i nostri progenitori
Adamo ed Eva sono stati costituiti in uno stato “di santità e di giustizia
originali” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1511]. La grazia della santità
originale era una “partecipazione alla vita divina” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
2].
376 Tutte le
dimensioni della vita dell'uomo erano potenziate dall'irradiamento di questa
grazia. Finché fosse rimasto nell'intimità divina, l'uomo non avrebbe dovuto né
morire, [Cf Gen 2,17; Gen 3,19] né soffrire [Cf Gen 3,16]. L'armonia interiore
della persona umana, l'armonia tra l'uomo e la donna, [Cf Gen 2,25] infine
l'armonia tra la prima coppia e tutta la creazione costituiva la condizione
detta “giustizia originale”.
377 Il
“dominio” del mondo che Dio, fin dagli inizi, aveva concesso all'uomo, si
realizzava innanzi tutto nell'uomo stesso come padronanza di sé. L'uomo era
integro e ordinato in tutto il suo essere, perché libero dalla triplice
concupiscenza [Cf 1Gv 2,16] che lo rende schiavo dei piaceri dei sensi, della
cupidigia dei beni terreni e dell'affermazione di sé contro gli imperativi
della ragione.
378 Il
segno della familiarità dell'uomo con Dio è il fatto che Dio lo colloca nel
giardino, [Cf Gen 2,8] dove egli vive “ per coltivarlo e custodirlo ” (Gen
2,15): il lavoro non è una fatica penosa, [Cf Gen 3,17-19] ma la collaborazione
dell'uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile.
379
Per il peccato dei nostri progenitori andrà perduta tutta l'armonia della
giustizia originale che Dio, nel suo disegno, aveva previsto per l'uomo.
380
“Padre santo, . . . a tua immagine hai formato l'uomo, alle sue mani operose
hai affidato l'universo, perché, nell'obbedienza a te, suo Creatore,
esercitasse il dominio sul creato” [Messale Romano, Preghiera eucaristica IV].
381
L'uomo è predestinato a riprodurre l'immagine del Figlio di Dio fatto uomo -
“immagine del Dio invisibile” (Col 1,15) - affinché Cristo sia il
primogenito di una moltitudine di fratelli e sorelle [Cf Ef 1,3-6; Rm 8,29].
382
L'uomo è “unità di anima e di corpo” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
14]. La dottrina della fede afferma che l'anima spirituale e immortale è creata
direttamente da Dio.
383
“Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio "maschio e
femmina li creò" (Gen 1,27), e la loro unione costituisce la prima forma
di comunione di persone” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].
384 La
Rivelazione ci fa conoscere lo stato di santità e di giustizia originali
dell'uomo e della donna prima del peccato: dalla loro amicizia con Dio derivava
la felicità della loro esistenza nel Paradiso.
LA
CADUTA
385
Dio è infinitamente buono e tutte le sue opere sono buone. Tuttavia nessuno
sfugge all'esperienza della sofferenza, dei mali presenti nella natura - che
appaiono legati ai limiti propri delle creature - e soprattutto al problema del
male morale. Da dove viene il male? “Quaerebam unde malum et non erat exitus -
Mi chiedevo donde il male, e non sapevo darmi risposta”, dice sant'Agostino,
[Sant'Agostino, Confessiones, 7, 7, 11] e la sua sofferta ricerca non troverà
sbocco che nella conversione al Dio vivente. Infatti “il mistero dell'iniquità”
(2Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del “Mistero della pietà” (1Tm
3,16). La rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo
l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia [Cf Rm 5,20]. Dobbiamo,
dunque, affrontare la questione dell'origine del male, tenendo fisso lo sguardo
della nostra fede su colui che, solo, ne è il vincitore [Cf Lc 11,21-22; Gv
16,11; 1Gv 3,8].
I. “Laddove è abbondato il peccato,
ha
sovrabbondato la grazia”
La realtà del peccato
386
Nella storia dell'uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo
o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che
cosa sia il peccato, si deve innanzi tutto riconoscere il profondo legame
dell'uomo con Dio, perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato
non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione
a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell'uomo e sulla storia.
387 La
realtà del peccato, e più particolarmente del peccato delle origini, si
chiarisce soltanto alla luce della Rivelazione divina. Senza la conoscenza di
Dio che essa ci dà, non si può riconoscere chiaramente il peccato, e si è
tentati di spiegarlo semplicemente come un difetto di crescita, come una
debolezza psicologica, un errore, come l'inevitabile conseguenza di una
struttura sociale inadeguata, ecc. Soltanto conoscendo il disegno di Dio
sull'uomo, si capisce che il peccato è un abuso di quella libertà che Dio dona
alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente.
Il peccato originale - una verità essenziale della
fede
388
Col progresso della Rivelazione viene chiarita anche la realtà del peccato.
Sebbene il Popolo di Dio dell'Antico Testamento abbia in qualche modo conosciuto
la condizione umana alla luce della storia della caduta narrata dalla Genesi,
non era però in grado di comprendere il significato ultimo di tale storia,
significato che si manifesta appieno soltanto alla luce della morte e della
Risurrezione di Gesù Cristo [Cf Rm 5,12-21]. Bisogna conoscere Cristo come
sorgente della grazia per conoscere Adamo come sorgente del peccato. E' lo
Spirito Paraclito, mandato da Cristo risorto, che è venuto a convincere “il
mondo quanto al peccato” (Gv 16,8), rivelando colui che del peccato è il
Redentore.
389 La
dottrina del peccato originale è, per così dire, “il rovescio” della Buona
Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno
della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa,
che ha il senso di Cristo, [Cf 1Cor 2,16] ben sa che non si può intaccare la
rivelazione del peccato originale senza attentare al Mistero di Cristo.
Per leggere il racconto della caduta
390 Il
racconto della caduta (Gen 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un
avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all'inizio della storia
dell'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13]. La Rivelazione ci dà
la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale
liberamente commessa dai nostri progenitori [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm.,
1513; Pio XII, Lett.enc. Humani generis: Denz.-Schönm., 3897; Paolo VI,
discorso dell'11 luglio 1966].
II. La caduta degli angeli
391
Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è una voce seduttrice,
che si oppone a Dio, [Cf Gen 3,1-5] la quale, per invidia, li fa cadere nella
morte [Cf Sap 2,24]. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo
essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo [Cf Gv 8,44; 391 Ap 12,9]. La
Chiesa insegna che all'inizio era un angelo buono, creato da Dio. “Diabolus
enim et alii dÍmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se
facti sunt mali - Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio
naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi” [Concilio
Lateranense IV (1215): Denz. -Schönm., 800].
392 La
Scrittura parla di un peccato di questi angeli [Cf 2Pt 2,4]. Tale “caduta”
consiste nell'avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed
irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa
ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori:
“Diventerete come Dio” (Gen 3,5). “Il diavolo è peccatore fin dal
principio” (1Gv 3,8), “padre della menzogna” (Gv 8,44).
393 A
far sì che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere
irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell'infinita misericordia
divina. “Non c'è possibilità di pentimento per loro dopo la caduta come non
c'è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte” [San Giovanni
Damasceno, De fide orthodoxa, 2, 4: PG 94, 877C].
394 La
Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama “omicida fin
dal principio” (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla
missione affidatagli dal Padre [Cf Mt 4,1-11]. “Il Figlio di Dio è apparso
per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8). Di queste opere, la più
grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto
l'uomo a disobbedire a Dio.
395 La
potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente
per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può
impedire l'edificazione del Regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per
odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi
gravi danni - di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica - per
ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina Provvidenza,
la quale guida la storia dell'uomo e del mondo con forza e dolcezza. La
permissione divina dell'attività diabolica è un grande mistero, ma “noi
sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
III. Il peccato originale
La prova della libertà
396
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e l'ha costituito nella sua amicizia.
Creatura spirituale, l'uomo non può vivere questa amicizia che come libera
sottomissione a Dio. Questo è il significato del divieto fatto all'uomo di
mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male, “perché quando tu
ne mangiassi, certamente moriresti” (Gen 2,17). “L'albero della conoscenza
del bene e del male” (Gen 2,17) evoca simbolicamente il limite invalicabile
che l'uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia
rispettare. L'uomo dipende dal Creatore, è sottomesso alle leggi della
creazione e alle norme morali che regolano l'uso della libertà.
Il primo peccato dell'uomo
397
L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei
confronti del suo Creatore [Cf Gen 3,1-11] e, abusando della propria libertà,
ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato
dell'uomo [Cf Rm 5,19]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e
una mancanza di fiducia nella sua bontà.
398
Con questo peccato, l'uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha
disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze
della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio
bene. Costituito in uno stato di santità, l'uomo era destinato ad essere
pienamente “divinizzato” da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto
diventare “come Dio”, [Cf Gen 3,5] ma “senza Dio e anteponendosi a Dio,
non secondo Dio” [San Massimo il Confessore, Ambiguorum liber: PG 91, 1156C].
399 La
Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo
ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originale [Cf Rm 3,23].
Hanno paura di quel Dio [Cf Gen 3,9-10] di cui si son fatti una falsa immagine,
quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative [Cf Gen 3,5].
400
L'armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è
distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell'anima sul corpo è
infranta; [Cf Gen 3,7] l'unione dell'uomo e della donna è sottoposta a
tensioni; [Cf Gen 3,11-13] i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e
dalla tendenza all'asservimento [Cf Gen 3,16]. L'armonia con la creazione è
spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo [Cf Gen
3,17; Gen 3,19]. A causa dell'uomo, la creazione è “sottomessa alla caducità”
(Rm 8,20). Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell'ipotesi della
disobbedienza [Cf Gen 2,17] si realizzerà: l'uomo tornerà in polvere, quella
polvere dalla quale è stato tratto [Cf Gen 3,19]. La morte entra nella storia
dell'umanità [Cf Rm 5,12].
401
Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera “invasione” del
peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele; [Cf Gen 4,3-15] la
corruzione universale quale conseguenza del peccato; [Cf Gen 6,5; Gen 6,12; Rm
1,18-32] nella storia d'Israele, il peccato si manifesta frequentemente
soprattutto come infedeltà al Dio dell'Alleanza e come trasgressione della
Legge di Mosè; anche dopo la Redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato
si manifesta in svariati modi [Cf 1Cor 1-6; Ap 2-3]. La Scrittura e la
Tradizione della Chiesa richiamano continuamente la presenza e l'universalità
del peccato nella storia dell'uomo:
Quel
che ci viene manifestato dalla Rivelazione divina concorda con la stessa
esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo cuore, si scopre anche
inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal
Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo
principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e
al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli
altri uomini e verso tutte le cose create [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes,
13].
Conseguenze del peccato di Adamo per l'umanità
402
Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. San Paolo lo afferma:
“Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori” (Rm
5,19); “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il
peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché
tutti hanno peccato. . . ” (Rm 5,12). All'universalità del peccato e della
morte l'Apostolo contrappone l'universalità della salvezza in Cristo: “Come
dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna,
così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini
la giustificazione che dà vita” (Rm 5,18).
403
Sulle orme di san Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che
opprime gli uomini e la loro inclinazione al male e alla morte non si possono
comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto
che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati e che
è “morte dell'anima” [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1512]. Per
questa certezza di fede, la Chiesa amministra il Battesimo per la remissione dei
peccati anche ai bambini che non hanno commesso peccati personali [Cf ibid.,
1514].
404 In
che modo il peccato di Adamo è diventato il peccato di tutti i suoi
discendenti? Tutto il genere umano è in Adamo “sicut unum corpus unius
hominis - come un unico corpo di un unico uomo” [San Tommaso d'Aquino,
Quaestiones disputatae de malo, 4, 1]. Per questa “unità del genere umano”
tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono
coinvolti nella giustizia di Cristo. Tuttavia, la trasmissione del peccato
originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno. Sappiamo però
dalla Rivelazione che Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali
non soltanto per sé, ma per tutta la natura umana: cedendo al tentatore, Adamo
ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura
umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta [Cf Concilio di Trento:
Denz. -Schönm., 1511-1512]. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per
propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana
privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato
originale è chiamato “peccato” in modo analogico: è un peccato
“contratto” e non “commesso”, uno stato e non un atto.
405 Il
peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, [Cf ibid., 1513] in nessun
discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella
privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è
interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta
all'ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato
(questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo,
donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di
nuovo l'uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e
incline al male rimangono nell'uomo e lo provocano al combattimento spirituale.
406 La
dottrina della Chiesa sulla trasmissione del peccato originale è andata
precisandosi soprattutto nel V secolo, in particolare sotto la spinta della
riflessione di sant'Agostino contro il pelagianesimo, e nel XVI secolo, in
opposizione alla Riforma protestante. Pelagio riteneva che l'uomo, con la forza
naturale della sua libera volontà, senza l'aiuto necessario della grazia di
Dio, potesse condurre una vita moralmente buona; in tal modo riduceva
l'influenza della colpa di Adamo a quella di un cattivo esempio. Al contrario, i
primi riformatori protestanti insegnavano che l'uomo era radicalmente pervertito
e la sua libertà annullata dal peccato delle origini; identificavano il peccato
ereditato da ogni uomo con l'inclinazione al male (concupiscentia”), che
sarebbe invincibile. La Chiesa si è pronunciata sul senso del dato rivelato
concernente il peccato originale soprattutto nel II Concilio di Orange nel 529 [Cf
Concilio di Orange II: Denz.-Schönm., 371-372] e nel Concilio di Trento nel
1546 [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1510-1516].
Un duro combattimento
407 La
dottrina sul peccato originale - connessa strettamente con quella della
Redenzione operata da Cristo - offre uno sguardo di lucido discernimento sulla
situazione dell'uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei
progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull'uomo, benché questi
rimanga libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio
di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” [Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm., 1510-1516]. Ignorare che l'uomo ha una natura ferita,
incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della
politica, dell'azione sociale [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus,
25] e dei costumi.
408 Le
conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini
conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può
essere definita con l'espressione di san Giovanni: “il peccato del mondo” (Gv
1,29). Con questa espressione viene anche significata l'influenza negativa
esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali
che sono frutto dei peccati degli uomini [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio
et paenitentia, 16].
409 La
drammatica condizione del mondo che “giace” tutto “sotto il potere del
maligno” (1Gv 5,19), [Cf 1Pt 5,8] fa della vita dell'uomo una lotta:
Tutta
intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le
potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall'origine del mondo, che durerà,
come dice il Signore, fino all'ultimo giorno. Inserito in questa battaglia,
l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può
conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con
l'aiuto della grazia di Dio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 37].
IV. “Tu non l'hai abbandonato in potere della
morte”
410
Dopo la caduta, l'uomo non è stato abbandonato da Dio. Al contrario, Dio lo
chiama, [Cf Gen 3,9] e gli predice in modo misterioso che il male sarà vinto e
che l'uomo sarà sollevato dalla caduta [Cf Gen 3,15]. Questo passo della Genesi
è stato chiamato “Protovangelo”, poiché è il primo annunzio del Messia
redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un
discendente di lei.
411 La
Tradizione cristiana vede in questo passo un annunzio del “nuovo Adamo”, [Cf
1Cor 15,21-22; 411 1Cor 15,45] che, con la sua obbedienza “fino alla morte di
croce” (Fil 2,8) ripara sovrabbondantemente la disobbedienza di Adamo [Cf Rm
5,19-20]. Inoltre, numerosi Padri e dottori della Chiesa vedono nella Donna
annunziata nel “protovangelo” la Madre di Cristo, Maria, come “nuova
Eva”. Ella è stata colei che, per prima e in una maniera unica, ha
beneficiato della vittoria sul peccato riportata da Cristo: è stata preservata
da ogni macchia del peccato originale [Cf Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus: Denz.
-Schönm., 2803] e, durante tutta la sua vita terrena, per una speciale grazia
di Dio, non ha commesso alcun peccato [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm.,
1573].
412 Ma
perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare? San Leone Magno risponde:
“L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui
l'invidia del demonio ci aveva privati” [San Leone Magno, Sermones, 73, 4: PL
54, 396]. E san Tommaso d'Aquino: “Nulla si oppone al fatto che la natura
umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette,
infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il
detto di san Paolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la
grazia" (Rm 5,20). E il canto dell'Exultet: "O felice colpa, che ha
meritato un tale e così grande Redentore!"” [San Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, III, 1, 3, ad 3].
413
“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. . . La morte
è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 1,13; Sap 2,24).
414
Satana o il diavolo e gli altri demoni sono angeli decaduti per avere
liberamente rifiutato di servire Dio e il suo disegno. La loro scelta contro Dio
è definitiva. Essi tentano di associare l'uomo alla loro ribellione contro Dio.
415
“Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal
Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi
contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13].
416
Per il suo peccato, Adamo, in quanto primo uomo, ha perso la santità e la
giustizia originali che aveva ricevute da Dio non soltanto per sé, ma per tutti
gli esseri umani.
417
Adamo ed Eva alla loro discendenza hanno trasmesso la natura umana ferita dal
loro primo peccato, privata, quindi, della santità e della giustizia originali.
Questa privazione è chiamata “peccato originale”.
418 In
conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue
forze, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e
inclinata al peccato (inclinazione che è chiamata “con cupiscenza”).
419
“Noi dunque riteniamo, con il Concilio di Trento, che il peccato originale
viene trasmesso insieme con la natura umana, "non per imitazione ma per
propagazione", e che perciò è "proprio a ciascuno"” [Paolo
VI, Credo del popolo di Dio, 16].
420 La
vittoria sul peccato riportata da Cristo ci ha donato beni migliori di quelli
che il peccato ci aveva tolto: “Laddove è abbondato il peccato, ha
sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).
421
Secondo la fede dei cristiani, questo mondo è stato “creato” ed è
“conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore”; questo mondo è
“certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo
crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno...” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 2].